La castità |
B265-A8
Continuiamo la pubblicazione delle meditazioni svolte dal rev. don Giuseppe Pollano nei ritiri dell'Unione Catechisti.
La presente, tenuta il 16 gennaio 1994 nella sede dell'Unione presso la Casa di Carità, è la prima delle riflessioni sui consigli evangelici, illustrati non solo con riguardo alla condizione di vita delle persone consacrate, ma con apertura alle aspettative di ogni cristiano.
Il testo, ricavato dalla registrazione al magnetofono, non è stato rivisto dall'Autore.
1. « Ciò che è, ma non è persona, non può stare senza che ci sia una persona » ( Rosmini, Logica ).
La persona è caratterizzata da un principio autonomo, irriducibi le per originalità alla realtà materiale ( la « cosa » ): essa è spirituale, dice ed è « io » ( castità-radice ).
2. « Non mi rivolgo in seconda persona che a ciò che dall'« io » è visto come capace di dare risposta » ( Marcel, Giorn. Metaf. ).
La persona in quanto tale è fatta per la reciprocità, il cui effettuarsi si chiama comunione ( castità-relazione ).
3. « Io sono tutto individuo per ciò che mi viene dalla materia, tutto persona perciò che mi viene dallo spirito » ( Maritain, Persona e bene comune ).
La reciprocità della persona umana è vissuta nella corporeità che ne è simbolo e trasparenza ( castità-realtà ).
1. La reciprocità del « tu » esige la dominanza del principio spirituale, perché esso soltanto può sapere e volere il proprio « darsi ».
In ciò il corporeo in quanto tale è inferiore al compito di consegnare la persona: illusione dell'eros e ambiguità del pathos.
2. La consegna della persona alla persona avviene per messaggi che salvaguardano, senza riduzioni, l'originalità spirituale dell'« io ».
Consegna razionale ( messaggio del filosofo, dello scienziato ), consegna estetica ( messaggio dell'artista ), consegna etica ( messaggio del riformatore, del politico ).
Consegna amicale.
La philia come categoria languente.
3. La reciprocità amicale tentata: la « reciprocità amante » dei sensi protagonisti e quella della sentimentalità protagonista, con la loro illusione fruitiva e integrativa.
4. La sessualità come segno della pienezza umana e come sede della funzione biologica: la prima inderogabile nel tempo penultimo ( caratterizzato dalla distinzione distributiva del bene ); la seconda derogabile per la sua natura di opinabilità.
5. La reciprocità spirituale è l'unica autentica per la persona, e tanto più lo è quanto più affonda nel proprio specifico originario che mette in atto interazione forte, trascendente per natura sua le interazioni deboli ( così percepite come inette alla comunione ).
Il discorso sulla castità non appartiene più, oggi, all'orizzonte dei valori sociali.
Occorre perciò andare alla sue radici per comprenderne la giustizia e la grandezza.
Il termine castità è molto ampio e ci sono più modi di accostarlo: qui non lo considereremo come l'aspetto della virtù cardinale della temperanza, che regola in modo particolare il nostro rapporto con la sessualità e l'esercizio della sessualità; non lo considereremo neppure soltanto come l'atteggiamento virtuoso che affronta la questione globale della concupiscenza.
Questi aspetti sono impliciti nell'aspetto personalistico, dove emerge come la castità sia un aspetto profondo irrinunciabile della personalità stessa.
La castità è una maniera di autointerpretarsi che la persona umana possiede, come rapporto interno tra sé e sé, tra la propria realtà spirituale e la propria realtà psico-fisica.
Non meno che questo la castità è anche e continuamente un rapporto con l'altro, con gli altri, in modo particolare con l'alterità dell'altro sesso.
Interpretarsi, relazionarsi secondo castità, prendere posizione precisa è appunto un problema personalistico.
« Ciò che è, ma non è persona, non può stare senza che ci sia una persona » ( Rosmini, Logica ).
Ecco una chiara enunciazione rispetto a ogni interpretazione fisicistica o materialistica dell'essere e della realtà.
La persona, cioè, è caratterizzata da un suo principio interiore, autonomo, che c'è, che si da, a prescindere dall'aspetto materiale: tale principio è dunque irriducibile, per la sua originalità di essere, alla realtà materiale.
Noi siamo immersi nella realtà delle cose, siano esse date dalla natura o prodotte dalla nostra ingegnosità.
Ma il rapporto ambiguo e spesso infelice tra la persona e il mondo delle cose a cui la persona si dedica, è uno dei problemi di fondo della nostra cultura: talché si parla di « manichismo » ( da manichino ), con riguardo alla frontiera sospetta tra essere ancora persona e non essere più persona, perché l'aspetto materiale ci aggredisce, ci condiziona.
Per questo è importante sottolineare che la persona come tale è spirituale, è irriducibile alla materia.
Ricordiamoci che quando diciamo « io », esprimiamo un principio spirituale, quello che la nostra tradizione culturale ha sempre chiamato « anima ».
Perché facciamo memoria di questo primo principio?
Perché esso si pone alle radici dell'atteggiamento della castità; il discorso sulla castità acquista senso se noi consideriamo il nostro essere psico-fisico da un'altra sponda, da un altro punto di vista, che lo valuti criticamente e vi si metta in rapporto.
Quando si toglie nell'uomo l'auto-consapevolezza di questo principio non materiale, come si può ancora sostenere tale sguardo critico e tale distanza che valuta?
Ecco perché l'affievolirsi o lo scomparire di alcuni concetti elementari, come quello che la persona è spirituale, influiscono molto profondamente sull'auto-interpretazione della persona e sui problemi che ne scaturiscono.
Se oggi con i giovani il discorso sulla castità è difficile, spesso quasi non agibile, ciò non dipende tanto dalla loro insofferenza etica alla questione, ma prima ancora dalla loro incapacità di interpretarsi in maniera diversa.
Come possono prendere posizione rispetto al loro essere psico-fisico, che peraltro li condiziona, se non hanno un diverso punto di appoggio?
Spesso non ci rendiamo conto di come questa crisi di cultura, che non è ancora crisi teologica ma semplicemente antropologica, ci metta in difficoltà a fondare un discorso cristiano.
Potremo continuare a condurre un discorso etico.
Ma il discorso dell'operare, della disciplina non si regge se non sul discorso dell'essere.
Dunque tutti noi in primo luogo siamo qualcosa che non è materia.
La morte sarà il punto discriminante di verifica.
Noi siamo infatti certi che il nostro principio di immortalità sussiste, si presenta a Dio quando lo psico-fisico rimane sulla terra sotto forma di cadavere.
Questa forma di grandissima autonomia, tale che ci autorizza a dire che il nostro soggetto sopravvive, che il nostro « io » responsabilmente si presenta al Creatore, è quella che fonda il discorso.
Io e voi siamo tutti soggetti spirituali: ciò però non vuol dire che, essendo ogni soggetto irripetibile, ciascuno sia soprattutto fatto per essere solo.
Secondo una interpretazione materialistica della realtà, sembrerebbe infatti che la sede del rapporto sia la materia o, come lo chiamano adesso, lo « psico-fisico » dell'uomo; mentre quanto più l'uomo emerge nella sua soggettività, tanto più si distingue e si isola.
Non che questo non accada; ma se accade, accade per difetto.
Non è vero né dal punto di vista antropologico, né dal punto di vista teologico, che ciascun soggetto sia una monade la cui dignità consista nell'affermarsi.
Ciò adombra il sogno di una specie di io assoluto.
Spesso anche noi ci comportiamo, specialmente nella piccola ferialità, come piccoli io assoluti: c'è in noi allora la depressione del peccato che ci condanna ad un orgoglioso e presuntuoso isolamento.
Ma quanto più si sale nella gradazione dell'essere, tanto più la comunione diventa regola di vita.
Ce ne dà splendida, solare testimonianza il mistero trinitario di Dio.
Ecco che, proprio in quanto io dico « io », ho bisogno che di fronte a me, insieme a me, altri lo dicano, non per affermarsi rispetto a me o contro di me, ma per realizzare il « tu » e viceversa.
Questa reciprocità è una delle riscoperte di una parte della cultura contemporanea; c'è da sperare che ridiventi un discorso culturale accettato, perché vi si può innestare meravigliosamente bene tutto l'Evangelo.
Diceva molto bene Marcel: « Non mi rivolgo in seconda ( cioè dando del tu ) che a ciò che dall'io è visto come capace di dare risposta » ( Giorn. Metaf. ).
Ho bisogno di un io che mi risponda.
Nella realtà esistiamo come soggetti soltanto per la reciprocità, che quindi non è una scelta opzionale, ma una necessità scritta dentro lo statuto del nostro essere umano.
Anche questo è un passo avanti per capire la castità.
Infatti, ci sono molti modi di relazionarsi con gli altri, ma occorre sottoporli ad un giudizio critico.
Le relazioni di carattere psico-fisico sono tali in realtà?
E quanto invece conservano di segreto, di non rivelato e perciò di non dato del nostro io agli altri?
Perché, se è vero che il massimo della comunione è Dio, è altrettanto vero che nella dissomiglianza da Dio la comunione decresce.
Ogni tipo di relazione, fino alle interazioni fortissime che legano le particelle sub-atomiche, è soltanto un aspetto, che a noi pare fondamentale, ma nella realtà è il più debole.
L'interazione trinitaria è infinitamente più intensa, è infinitamente infrangibile; non c'è scissione nel mistero trinitario; è là la forza dell'essere uno e non essere soli.
Noi viviamo invece nell'apparenza, nel riflesso; e la persona umana si trova su questa frontiera.
É grande la tentazione di credere che abbracciarsi forte sia comunicare davvero qualche cosa, e la maggior parte della gente sembrerebbe esserne convinta.
Per questo è così importante non dimenticare che solo nel profondo del nostro essere spirituale matura la relazionalità.
Anche noi cristiani spesso non ne siamo così sicuri, né teoricamente, né praticamente.
Se spesso il cristianesimo oggi cede alla attrazione delle facili relazioni, è proprio perché ha perso il segreto dei profondi rapporti interpersonali che si ancorano nello spirito.
Il mio immortale « io », il tuo immortale « io », il darsi del tu, essere tu, l'un per l'altro, questo è capire la vita; questo si chiama la comunione ed è evidente che questo non è semplicemente un problema di castità, ma un assai più ampio problema di relazione; mette in crisi molti dei nostri rapporti, perché a livello di amicizia, di comunità, di coniugalità, situazioni in cui cerchiamo di arrivare ai massimi livelli di intensità di relazione, noi siamo provocati da questa domanda: è proprio vero che l'altro per te è un tu?
Gesù ci dice che in realtà il « tu » lo costruiamo nella misura che lo stiamo amando ( parabola del buon samaritano ).
Ma è una intuizione che sta nel cuore dell'uomo, è una verità pre-evangelica: sono infatti di matrice ebraica i nuovi filoni culturali che oggi esaltano l'alterità.
Un'alterità che l'Evangelo certamente coglie, assume e colma di potenza.
Dunque la castità come relazione ha radice nel fatto che i nostri « io » spirituali si incontrano.
Altrimenti non ha radice.
Mettete insieme e vicine delle persone che, pur ossequiando dal punto di vista teorico l'amicizia, la comunità, di fatto non si incontrino con l' « io » spirituale, e sarà molto difficile parlare di castità.
E tutti i fenomeni di castità compromessa dipendono proprio dal fatto che le persone continuano a gestirsi come esseri psico-fisici, molto più che come esseri spirituali: così sono vulnerabili in partenza.
Non deve bastare uno sguardo, una simpatia, una attrazione, una affinità elettiva a farmi decidere che per me quella persona è necessaria.
Cadrei in una ideologia psico-fisica.
Ma se non siamo ricchi e vivi nel nostro io spirituale, sarà ben difficile che possiamo sottrarci a quella malia, e quindi non essere alla mercé del primo incontro fascinoso.
E se si decide di non concedersi al primo incontro fascinoso senza una motivazione appagante, allora si conduce una vita molto difficile, perché si costruisce una virtù difensiva, riottosa, di reazione, che non è propriamente la comunione del Vangelo.
Sottolineare la presenza di questo io spirituale non significa cader in una specie di angelismo travestito all'umana.
Noi siamo persone, spiriti incarnati, e quindi non rinneghiamo per nulla la nostra realtà globale; però è indispensabile partire da una radice profonda.
Diceva Maritain: « Io sono tutto individuo per ciò che mi viene dalla materia, e sono tutto persona per ciò che mi viene dallo spirito » ( Persona e bene comune ).
É un modo come un altro di esprimere quest'essere spirito e materia che ci caratterizza, per cui di fatto la nostra reciprocità ( ci guardiamo, siamo amici, siamo in relazione ), sebbene parta dal principio spirituale, non è mai disincarnata.
La reciprocità è sempre vissuta nella corporeità.
Ciò non significa che la reciprocità sia della corporeità; la corporeità infatti non è più l'origine, il punto di fruizione fondamentale del nostro incontro, ma ne è continuamente segno, simbolo, e anche trasparenza.
É necessaria la corporeità: così ci ha voluti Dio.
Cristo si è incarnato, si è incorporato nell'umano, e insieme non ha mai perso la caratteristica di icona, di qualche cosa di non riducibile a ciò che si vede: « Chi vede me vede il Padre » ( Gv 14,9 ).
Cristo è l'icona del Dio invisibile e può a sua volta essere visto in trasparenza attraverso tutta la spiritualità della Chiesa.
I santi, conformati a Cristo e ricchi della sua trasparenza, sono visibili, devono essere visibili, ma nello stesso tempo sono trascendibili.
Ora, viviamo nella cosiddetta « civiltà dell'immagine », la cui caratteristica è, come ben sappiamo, attirare e trattenere in sé l'occhio dell'altro: l'immagine non vuole esse re trascesa, non vuole trasparenza; la persona cioè vuole essere vista, apprezzata, cercata per quel che è visibilmente.
L'immagine è proprio il contrario dell'icona, la quale vuole anche essere vista, ma nello stesso tempo vuole essere superata.
Uno dei compiti faticosi di Gesù fu quello di non apparire dinanzi ai suoi come una immagine che si vede e si capisce subito - « Tu sei il Messia », per esempio - ma come una icona che si vede perché altro si capisca.
In un orientamento di vita ispirato alla trascendenza, la castità diventa reale, per ché ci accorgiamo allora che tutto è casto, cioè tutto è trasceso dallo Spirito.
Ogni nostra relazione comprende il creato, lo ama, lo ammira, ne fruisce, ne gode; ma nello sesso tempo il corpo è sempre un « medium », non è mai un luogo e una dimora.
Questo discorso è certo difficile da proporre alla nostra cultura, che è fuori da una lettura globale delle cose.
Sembra assai importante, allora, non dimenticare mai il riferimento alla persona illustrato in apertura di questo scritto, anche perché ci infonde molta fiducia.
La castità non è uno sforzo da arrampicatori sui vetri per conservare equilibri che sembrano ogni momento smentiti, minacciati e qualche volta impossibili.
Se siamo certi di essere spirito come siamo, sappiamo di possedere in noi, non come grazia pura e semplice, ne tanto meno come miracolo, ma come sostanza della nostra persona, certo elevata nella grazia, il principio della nostra indipendenza dallo psico-fisico.
É solo l'indipendenza dallo psico-fisico produce quella che chiamiamo normalmente la castità.
Più si vive come spirito, più ci si accorge che la castità c'è, e si direbbe che non crei problemi.
Come mai non ci facciamo il problema della castità dei santi?
Essi la vivono; essi ci credono e può anche darsi che talvolta la vivano con fatica; ma con tutto ciò che la loro verità va oltre: noi vediamo in loro l'uomo ricostruito che comincia dalla propria anima e non fatichiamo allora a coglierli come spirito in tutta la loro corporeità molto visibile, molto gestuale.
Basta pensare agli atteggiamenti di una Madre Teresa che è sempre in mezzo agli altri con mille gesti di misericordia, di dono: noi la cogliamo solo più come una storia superiore, che trascende, e questo ci da molta speranza.
Essere testimoni che l'uomo è un immortale è fondamentale, e bisogna insegnarlo ai giovani, affermare che anche essi lo sono e sottolineare che questo non fa parte della rivelazione di Dio, ma di una saggia riflessione dell'uomo sull'uomo: basta ragionare con una certa attenzione per cogliere questo segreto che c'è in noi.
Questo riferimento alla persona ci aiuta ad affrontare alcune questioni inerenti alla reciprocità, che è l'aspetto della castità che qui privilegiamo.
Ecco un primo pensiero: la reciprocità del « tu », la mia pretesa di darti del tu e che tu mi dia del tu, pronome molto inflazionato e del tutto banalizzato, esige la dominanza del principio spirituale.
Perché? Perché soltanto io in quanto spirito so cosa vuol dire darmi a te.
E siccome sono spirituale, finché io non so spiritualmente concedermi a te, io non mi concedo a te, anche se credo di farlo.
É la storia di tanti matrimoni sgretola ti, bruciati nel giro di poco tempo, quando l'illusione dello psico-fisico ha dominato tutto e gli sposi, non sospettando neppure che ci fosse qualcosa di più profondo, hanno direttamente legato lo psico-fisico, friabilissimo, al Sacramento, solidissimo: manca la mediazione della loro anima viva, e la Grazia si appoggia sulla sabbia.
Soltanto nel mio profondo so chi sono e cosa vuol dire dunque darmi a te.
Darsi all'altro è perciò un fenomeno nobile.
E ignobile darsi all'altro come se niente fosse, perché in realtà non ci si dà a nessuno.
Il fenomeno limite di questo darsi che non è darsi, è dare il corpo, la prostituzione della persona.
É anche un fenomeno simbolico: molte persone vivono prostituendosi, anche se hanno l'immagine di essere molto per bene, nel senso che non incontrano l'altro nel profondo e quindi si tradiscono e tradiscono.
Il corporeo in quanto tale è inferiore al compito di consegnare la persona.
Se riuscissimo a farlo capire ai giovani!
Infatti troviamo dei giovani malati di solitudine, o se vogliamo malati del nulla, i quali avrebbero tanta necessità di consegnarsi.
In ciò hanno ragione, perché donarsi è il loro scopo.
Però non si consegneranno mai mettendo a disposizione il loro fisico e il loro psico-fisico.
E invece assistiamo allo spettacolo di una enorme facilità di relazione.
É concepibile, oggi, che una ragazza di 15/16 anni non abbia il partner e viceversa? Certo no!
Diventa un'immagine sociale strana; gli altri ne ridono e le domandano: ma che fai?
E con l'avanzarsi della reciprocità sessuale, diventa un disperato modo di cercarsi, al di là evidentemente dell'attrattiva, della fruizione sessuale, cresce l'abisso di queste solitudini che non sono più state educate.
É terribile voler consegnare un mare, che è la propria infinità, dentro un bicchiere d'acqua, ed è una delle ragioni della disperazione erotica della nostra società che sembra sempre più accanirsi, in questo accanimento corporeo che è l'erotismo, a cercare una possibilità dell'altro che è perduta.
Ma per i giovani dovrebbe essere un criterio educativo fondamentale questa massima: « Ciò che in te è corporeo non consegnerà mai tutto tè stesso; ricordalo, per evitare delusioni, se possibile »;
Vi è illusione dell'eros, ma anche l'ambiguità del pathos, cioè del mondo sentimentale.
I ragazzi possono trovarsi ad una svolta della loro maturazione ed affermare che in precedenza si consegnavano interamente e prendevano tutto, ma che dopo l'incontro con la ragazza giusta il loro comportamento è cambiato.
Si è passati dall'eros al pathos, per così dire; ma chissà se si è andati ancora un po' oltre e si sta scoprendo l'irripetibile spiritualità dell'altro.
In ogni caso il nostro mondo è un mondo molto patetico; tra l'erotico e il patetico; la sentimentalità ci domina tutti.
La stessa morale, nelle sue esigenze forti, quanto è insidiata da sentimentalità!
É una compassione fuori luogo, per quanto la morale sfoci senza limiti nella misericordia: abbiamo una capacità impressionante di contrarre i sentimenti dell'io a un punto piccolissimo.
Dunque, ne l'eros, ne il pathos consegnano più di tanto il nostro io.
La consegna della persona alla persona, tu e io, io e te, avviene per messaggi che salvaguardano senza riduzioni l'originalità spirituale: « ti voglio dare il mio spirito ».
Questo scambio da uno spirito all'altro non si verifica soltanto nell'amicizia: pensiamo in quanti casi un uomo conceda agli altri uomini il frutto più segreto e più nobile del proprio spirito.
Consideriamo alcuni degli importanti aspetti di tale comunicazione.
La consegna razionale: uno scienziato studia e spiritualmente elabora qualcosa che soltanto la sua genialità attinge; poi la consegna.
Nella formula della relatività, tanto per dire, abbiamo il fior fiore dello spirito di Einstein; non abbiamo una formula, ma un uomo che ha consegnato il segreto del suo spirito.
Ed è una vera consegna. Difficilmente si potrebbe conoscerlo di più al di là di questo fiore geniale del suo essere.
Dunque è una autentica consegna.
L'insegnamento, per venire ad un'applicazione pratica, potrebbe ben traversare questa dimensione, e la vera didattica fa capire che stiamo consegnando la ricchezza del nostro io; quindi non delle nozioni; ma evidentemente una persona che si dona incondizionatamente.
É questa la missione: far sbocciare le personalità degli altri sotto il benigno influsso della nostra personalità che spiritualmente si sta elargendo.
La consegna estetica: anche l'artista da il profondissimo di sé, il gelosissimo di sé, consegna la sua arte con trepidazione; sa che non sarà neppur capito.
Eppure un Beethoven non scrive una sinfonia per suonarsela da solo in camera, la deve consegnare.
Ed è un altro nobile modo di consegnarsi spiritualmente.
L'educazione estetica, oggi trascurata, aiuterebbe molto a rivalorizzare dei rapporti di consegna nobili, alti, che aiutino a capire l'altro nella sua profondità.
L'inaridimento tecnico, da questo punto di vista, ci ha molto danneggiati.
La dimensione estetica, che appartiene alla stessa teologia, ci svela la bellezza, la gratuità, il disinteresse della profondità dell'altro.
La consegna etica.
Non mi riferisco solo all'etica cristiana pura e semplice, ma al messaggio che una qualsiasi persona si presenti a svelare con i propri contenuti spirituali profondi di riforma con valori nuovi socialmente rilevanti.
Pensate al discorso politico: è ancora una volta una persona che arriva allo spirito degli altri.
Se la nostra politica è decaduta, è precisamente perché non ha più consegnato la persona alla persona, ma è scaduta a passioni psico-fisiche molto più elementari e grossolane, come quelle del potere e dell'avere, che sono retaggio soltanto dello psico-fisico.
La « filia », l'amicizia profonda è in grande crisi oggi, proprio perché per sua natura parte dallo spirito: le persone caste sono sempre amiche, non sono mai sole e nascoste.
L'amicizia e la castità quasi coincidono come comportamento.
Due coniugi sono casti se sono amici.
Se non sono più amici, non sono più niente, quando tra loro lo psico-fisico si è in qualche modo raffreddato o indifferenziato.
L'amicizia, proprio perché passa sempre attraverso la corporeità, è una forma sublime di castità.
Lo sguardo di un santo da senso ad una persona, è profondamente amico e profondamente casto.
Ma è casto perché è amico, non perché toglie qualche cosa, ma perché dona in più.
Chi è guardato da un santo o da una santa sa benissimo che non è guardato per se stesso: non vi vede né interesse né amicizia, né desiderio; percepisce però il messaggio di un io, si sente avvolto da questo messaggio che lo eleva.
Chi guarda un santo con occhio impuro, abbassa l'occhio e ne arrossisce subito, perché si confronta con un'altra statura o meglio con un'altra realtà.
Com'è importante, dal punto di vista educativo, la testimonianza pura e semplice dell'essere come siamo, ad esempio dell'essere amici dei giovani.
Non per portare in mezzo a loro un'austerità severa, che è come un monumento della virtù, ma non è un'amicizia, perché essi possono ammirare il monumento, ma lo sentono fermo rispetto alla loro vivacità.
Invece l'amicizia li conquista, perché porta la relazione a livelli più alti, che forse non immaginavano.
Per questo sussiste tutto il linguaggio di una corporeità profonda, che proprio per ché è trasparente, non abusa mai di se stessa.
Certo il confine è delicato. Si tratta di un aspetto etico che va qui ricordato: l'amicizia spirituale, diceva S. Tommaso, rischia di diventare carnale; ma rischia; non è affatto condannata a diventarlo.
Allora bisogna che questa categoria dell'amicizia, dell'amicalità, dell'io profondo che svela affetto, amore, carità attraverso i sensi, attraverso il messaggio visibile, sia ricuperata dalla cultura cristiana e da chiunque nella cultura cristiana abbia una missione educativa.
Va tenuto presente che ci sono le reciprocità amicali tentate: la reciprocità amante, dei sensi, oppure della sentimentalità.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che sono una illusione fruitiva e una illusione di integrazione.
Facciamo presente ai giovani che egli può cercare nei suoi sensi una reciprocità amante, e ciò lo desidera, lo attrae e gli da anche soddisfazione.
Sappia almeno che parte illuso e arriverà illuso.
Se lo lasci dire: egli può cercare nella reciprocità del sentimento addirittura un'integrazione.
Ma anche questo non gli darà quello che cerca.
Sono affermazioni che gli educatori dovrebbero con molta amicizia donare continuamente ai giovani, pur sapendo di parlare un linguaggio incomprensibile per la cultura dominante.
D'altronde, il nostro coraggio comincia proprio lì dove inizia la contraddizione e l'incomprensione.
« Creò l'uomo: maschio e femmina li creò » ( Gen 1,26 ).
La sessualità noi la interpretiamo come il segno della pienezza umana: l'umano, che non è né maschio né femmina, l'Adam generico sicuramente trova nella sessualità la sua pienezza, e quindi la sessualità è il segno di una pienezza realizzata.
Né l'uomo né la donna sono l'umano.
Né il maschilismo né il femminismo sono l'umano.
É una integrazione ancora da venire questa.
Il popolo di Dio ha ancora da dire la sua parola vissuta su questa integrazione reale della sessualità.
La pretesa femministica di pareggiare l'uomo è comprensibile e ingenua nello stesso tempo: c'è qual che cosa di più da fare; speriamo ce lo doni il futuro con la grazia di Dio.
Da un lato dunque la sessualità è un segno della pienezza, e dall'altro lato è anche la sede propria della funzione biologica ed essa relativa, ma non bisogna confondere la sede di una funzione con il segno di una pienezza.
La pienezza è inderogabile: in questo tempo di attesa in cui la ricchezza ha bisogno di distinzione, di distribuzione, per svelarsi tutta - mentre dinanzi a Dio raccoglieremo di nuovo la sintesi profonda dell'essere - in questo tempo qui la ricchezza dell'essere umano si distribuisce così: uomo e donna.
In mille altri modi c'è questa distribuzione, questa integrazione, questa specularità dell'essere amico.
Abbiamo bisogno di trovarci per essere davvero.
É la misura che ci rende umili e pazienti.
Dobbiamo cercare l'altro: da solo non realizziamo noi stessi.
É in questo senso che consideriamo inderogabile la sessualità.
Viceversa considerata come sede della funzione biologica-procreatrice la sessualità è derogabile, perché per sua natura è opinabile, è opzionale.
Non siamo obbligati a procreare, ma siamo obbligati a integrarci secondo il significato profondo, relazionale della sessualità.
C'è molta differenza fra questi due orizzonti, tanta differenza che non si concepisce nessun disegno umano che non sia nato dall'integrazione del mascolino e del femminino.
É per questo che la patristica ha osato chiamare Cristo e Maria nuovo Adamo e nuova Eva, trasferendo a un rapporto filiale-materno, o meglio ancora divino-creaturale, un rapporto che all'inizio era semplicemente un rapporto da partner.
« Nuovo Adamo e nuova Eva »: evidentemente non c'è qui più nessun rapporto di parità e di coniugalità; la complementarità dell'essere umano non si identifica con la coniugalità, ma nel maschile e nel femminile ci sono degli aspetti dell'umano che solo integrandosi danno il risultato della pienezza e possono essere vissuti a prescindere dall'aspetto coniugale.
Questa convinzione la Chiesa l'ha sempre vissuta senza problemi.
Da questa pienezza nasce precisamente l'umano, e l'umano cristiano.
Nessuno di noi può permettersi dunque di ignorare l'alterità, di ignorare l'altro, di ignorare l'aspetto maschile o femminile dell'alterità, e tutte le volte che un'ascetica severa, ma impostata in maniera un po' isolazionistica, ci ha staccati troppo dall'altro, abbiamo percepito di avere una certa carenza.
Questo è un aspetto interessante, biblico e spirituale, e va capito anche se sulle prime non sembra facile: ci sono delle caratteristiche dell'umano che Dio ha affidato alla doppia maniera di essere persona.
E queste caratteristiche da sole non bastano: insieme si integrano.
Un esempio che sembra puramente episodico, ed invece è, a mio giudizio, emblematico: Cana.
Cana porta la potenza del Verbo di Dio e porta la presenza della femminilità di Maria.
Il « non hanno più vino » ( Gv 2,3 ) è detto da una bocca di donna, è visto con occhi di donna, è capito con cuore di donna; nella piccola concretezza di un fatto, peraltro del tutto trascurabile.
Questa provocazione nasce dal femminino, non nasce soltanto da Maria: nasce da Maria perché incarna perfettamente un femminino.
Questa provocazione, messa chiaramente in evidenza, quanto alla differenza, dalla risposta di Cristo: « Che c'è tra me e te o donna? Non è ancora venuta la mia ora » ( Gv 2,4 ), in realtà provoca l'intervento.
Quel « che c'è tra me e te o donna », biblica frase di distacco, nella realtà del Verbo ha anche un significato diverso: « so bene ciò che c'è tra me e te, o Donna: c'è un compimento che dobbiamo produrre insieme ».
Rovesciamo la cosa: Cristo affida alla femminilità di Maria, madre e sorella, tutti i suoi fratelli: « Ecco tuo figlio » ( Gv 19,26 ).
É ancor sempre una reciprocità profonda, una corporeità impegnata, ma ancora una volta è una castità di fondo.
Leggere la castità così mi sembra, oggi, l'unico modo dignitoso, vero, attraente; non tale insomma che ci dia soltanto l'impressione di vivere una moralità che è per lo più la fatica di nuotare continuamente controcorrente.
La reciprocità spirituale è l'unica autentica per la persona e tanto più è autentica, tanto più affonda nello spirito, cioè nel proprio specifico originario che è l'anima.
La reciprocità spirituale mette in atto una interazione fortissima; la fedeltà, ad esempio, si radica nello spirito, non nello psico-fisico.
L'eros non è fedele, e il pathos lo è fin ché è gratificato.
Soltanto lo spirito è fedele sia a Dio che agli altri; e ancora una volta ribadiamo che la crisi del principio richiamato iniziando, il fatto che siamo spirituali, induce ad una totale caduta di tutte le fedeltà.
Tutto ciò di cui ci lamentiamo oggi non è che il risultato di una promessa mancata.
Mancata perché non si radicava nello spirito che c'è in noi, ma nel sentimento nello slancio, che non avevano fondamento.
Più siamo invece radicati nel nostro spirito più siamo capaci di superare le interazioni deboli: le interazioni forti superano queste e creano amicizie potenti.
Ecco perché la persona casta può permettersi molte amicizie perché, quand'anche da parte dell'altro ci fosse un'interpretazione ambigua, l'amico eleva o qualche volta, se l'altro non accetta, tronca, ma comunque tiene le cose su un piano di relazioni forti.
Sono le persone caste che creano le comunità, le solidarietà culturali e politiche e ogni genere di solidarietà fedeli e disinteressate.
In ogni campo, infatti, lo psico-fisico continuamente ci compromette
A quale dignità invece, siamo chiamati nella nostra semplicità di rapporti: essere profondamente amici e portare questa corporeità dignitosa!
Ci sono persone che appe na entrate in un ambiente, non lo raffreddano per nulla, ma lo rendono serio capaci di una cordialità che smorza le volgarità e che eleva il tono.
L'occhio guarda, vede ( ecco la corporeità ), dice « oh, c'è lui »; e allora si è contenti.
É l'effetto che faceva il signore: Lo videro e ne furono attratti ( Mt 28,17; Gv 12,32; Gv 20,20 ).
É questo rapporto profondamente casto con Gesù che fonda un'amicizia profondissima.
Pensiamo a Giovanni, il discepolo che Gesù amava e a cui ha consentito di poggiare il capo sul cuore; è un gesto fisico, pienamente casto.
Don Giuseppe Pollano
( Dalla registrazione al magnetofono, non rivista dall'Autore )
Don Pollano al ritiro dell'Unione svolge il tema sulla castità.