Il Coraggio della sofferenza |
B293-A11
- L. P. -
Carissimi amici,
la solennità di tutti i Santi e la commemorazione dei Fedeli defunti che ci sono state riproposte nel mese di novembre, ci hanno richiamati alla rapidità del nostro soggiorno terreno e alle realtà ultime che ci attendono.
Dio ci ha creati per la vita, non per la morte, ci ha insegnato Gesù, ci ha creati per farci partecipare da figli alla sua gloria in cielo.
La morte per noi cristiani non è dunque un salto nel buio, ma un gioioso incontro con Gesù nostro amabilissimo Signore.
Il vicino Natale ci richiama la prima venuta di Gesù tra noi; ora attendiamo la sua seconda venuta, dove Dio sarà tutto in tutti nel suo regno glorioso.
Si può davvero affermare che l'uomo interessi al cuore di Dio?
Che l'uomo conti per Dio?
Tutta la Sacra Scrittura ci dice di sì.
Dio ama gli uomini.
Nell'Antico Testamento la parola usata per amicizia, per paternità, per rapporti sponsali è la stessa usata per definire l'amore di Dio per gli uomini.
E nel Nuovo Testamento Dio stesso è definito amore.
Dio, per amore, ci ha comunicato, in Gesù, tutta la sua vita. Ci ha dato tutto se stesso.
« Dio è Amore » e i cristiani, in quanto figli di Dio - grazie a Gesù - possiedono tutto l'amore e il compiacimento del Padre Celeste.
Per approfondire questa consolante verità, penso che non ci sia più efficace riferimento che la parola di Dio, e particolarmente la prima lettera di S. Giovanni, della quale riporto alcuni stralci, perché li possiamo subito farne oggetto di riflessione.
Dalla Prima lettera di san Giovanni: « Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui.
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. »
« Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi.
Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito.
E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.
Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio.
Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi.
Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui ».
« Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo.
Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore ».
« Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.
Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore.
Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.
Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello ». ( 1 Gv 4,7-21 )
Dopo la parola di Dio ritengo opportuno riportare gli insegnamenti e le esortazioni del Magistero.
Sul tema della carità, intesa come attributo sostanziale di Dio, dato che Dio è amore, i documenti pontifici sono ridondanti.
Mi limito a riportarne due: uno di Giovanni Paolo II dall'enciclica "Redemptor hominis" al n.9, l'altro di Benedetto XVI, dalla recente e profonda enciclica "Deus Caritas est" che tanta risonanza ha avuto, e ha tuttora, dalla sua pubblicazione.
Afferma Giovanni Paolo II: « Il Dio della creazione si rivela come Dio della redenzione, come Dio "fedele a se stesso" ( 1 Ts 5,24 ), fedele al suo amore verso l'uomo e verso il mondo, già rivelato nel giorno della creazione.
E il suo è amore che non indietreggia davanti a nulla di ciò che in lui stesso esige la giustizia.
E per questo il Figlio "che non aveva conosciuto peccato" Dio lo trattò da peccato in nostro favore. ( 2 Cor 5,21 ).
Se "trattò da peccato" Colui che era assolutamente senza alcun peccato, lo fece per rivelare l'amore che è sempre più grande di tutto il creato, l'amore che è Lui stesso, perché "Dio è amore" ( 1 Gv 4,8.16 ).
E soprattutto l'amore è più grande del peccato, della debolezza, della "caducità del creato" ( Rm 8,20 ), più forte della morte; è amore sempre pronto a sollevare e a perdonare, sempre pronto ad andare incontro al figliol prodigo ( Lc 15,11-32 ), sempre alla ricerca della "rivelazione dei figli di Dio" ( Rm 8,21 ), che sono chiamati alla gloria futura.
Questa rivelazione dell'amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell'amore e della misericordia ha nella storia dell'uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo ».
E con riguardo alla "Deus Caritas est", riportiamo uno stralcio in cui il Pontefice tratta il problema della sofferenza ( n.38 ), argomento che è particolarmente consono a questo scritto, rivolto particolarmente a quanti sono uniti dalla solidarietà spirituale nel dolore: « Certo Giobbe può lamentarsi di fronte a Dio per la sofferenza incomprensibile, e apparentemente ingiustificabile, presente nel mondo.
[ … ] « Spesso non ci è dato di conoscere il motivo per cui Dio trattiene il suo braccio invece di intervenire.
Del resto, Egli neppure ci impedisce di gridare, come Gesù in croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ( Mt 27,46 ).
Noi dovremmo rimanere con questa domanda di fronte al suo volto, in dialogo orante: "Fino a quando esiterai ancora, Signore, tu che sei santo e verace?" ( Ap 6,10 ).
È sant'Agostino che dà a questa nostra sofferenza la risposta della fede: "Si comprehendis, non est Deus".
Se tu lo comprendi, allora non è Dio.
La nostra protesta non vuole sfidare Dio, né insinuare la presenza in Lui di errore, debolezza o indifferenza.
Per il credente non è possibile pensare che Egli sia impotente, oppure che "stia dormendo" ( 1 Re 18,27 ).
Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà.
I cristiani infatti continuano a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella « bontà di Dio » e nel "suo amore per gli uomini" ( Tt 3,4 ).
Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi ».
Carissimi, "l'amore ci spinge"; offriamo dunque a Dio la vita di ogni giorno con il suo carico di gioie e di fatiche, per intercedere dalla sua misericordia il dono di nuove sante vocazioni, e perseveranza di quanti Egli ha già chiamato al suo servizio, fino alla morte.
La generosa offerta delle sofferenze di quanti si uniscono ai patimenti di Gesù e alla sua intercessione presso il Padre per il prezioso dono delle vocazioni, rientra nelle finalità del Movimento Adoratori e Adoratrici di Gesù Crocifisso, i cui membri si impegnano ad adorare ogni giorno le Piaghe sanguinanti e gloriose del Signore, perpetuando in tal modo come una eco la liturgia della Chiesa nel Venerdì Santo.
Queste persone, mosse da profondo senso di riconoscenza verso Gesù, che ha accettato i dolori della passione e ci ha amato fino a dare la vita per noi, gli esprimono il loro più sincero grazie e con totale confidenza e umiltà gli chiedono di essere liberate dai mali
del corpo e dello spirito, fiduciose che venga loro donato tutto ciò di cui necessitano per essere suoi fedeli discepoli.
Ma il loro obiettivo specifico è l'offerta delle sofferenze per le vocazioni.
Difatti quanti fanno parte di questo Movimento di intimi amici di Gesù, non si impongono per vistose e roboanti iniziative, ma operano nel nascondimento per divenire il lievito che prepara il pane della vita.
Nel silenzio adorante, noto solo a Dio, e in ascolto della parola di Gesù, "pregate il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe" ( Mt 9,38 ), offrono a Gesù, in unione al suo sacrificio, le gioie e le sofferenze di ogni giorno per il dono delle vocazioni, perché "la messe è molta, ma gli operai sono pochi" ( Mt 9,37 ).
Con questo invito alla preghiera, Gesù trasmette agli apostoli e ai suoi discepoli di ogni tempo la sua compassione e trepidazione
per tanta gente "stanca, scoraggiata come pecore senza pastore" (
Mt 9,36 ).
La preghiera per le vocazioni è condividere l'ansia di salvezza che Gesù ha trasmesso ai suoi e che noi dobbiamo fare nostra.
La preghiera vocazionale cambia e arricchisce chi la fa, e da essa nasceranno rigogliosi frutti di vita.
Non siamo lontani, carissimi amici, dal santo Natale in cui contempleremo più intimamente il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio.
Viviamo con gioia e gratitudine questi giorni di grazia, per la certezza di essere amati da Dio.
Buon Natale dunque, carissimi amici, sempre uniti nella preghiera.