"Riflessioni sul Logos dal Vangelo secondo Giovanni" |
B348-A3
di mons. Giuseppe Pollano.
Quinta serie, sui versetti Gv 1,12-13: "A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventarefigli di Dio: ai credenti nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati".
Questi versetti contengono quattro messaggi di fondamentale importanza per la vita cristiana:
É la capacità strutturale dell'uomo, non solo una tra le varie di cui siamo dotati ( volontà, intelligenza, sensibilità, ecc. ), ma avendo come destinazione Dio stesso, è l'impegno basilare, indipendentemente da come sia, o non sia, attuato.
La storia delle religioni attesta i modi in cui questa aspirazione - o senso del soprannaturale - sia realizzata.
Anche nell'estremo della non-credenza religiosa tale esigenza emerge: l'ateismo lo conferma nello stesso negare Dio: se Dio semplicemente non ci fosse, nessuno se ne darebbe pensiero, e l'ateismo non è certo una lotta contro i mulini a vento.
Il desiderio della visione di Dio è naturale: lo riprova la nostra inclinazione a divinizzare, cioè a rendere assoluti certi valori ( come bontà, bellezza, giustizia. libertà, ecc. ).
Il desiderio di felicità perfetta, la quale ci assimilerebbe a Dio, si rivela un'illusione, sia a livello personale, che a quello sociale, per le difficoltà e le disgrazie cui siamo soggetti.
Constatiamo una sproporzione tra felicità immaginabile e quella esistenzialmente possibile per l'uomo, nato da sangue, da volere di sangue, operante per volere proprio ( Gv 1,12-13 ): è il disincanto per la nostra limitatezza e precarietà.
Ma la volontà umana non si arrende e persevera nel tentativo di raggiungere ciò che è utopico, come la storia dimostra ( a ciò si aggiunga il funambulismo della magia e del falso spiritualismo ).
Si tenga fermo però che la carne e il sangue restano simboli di impotenza per la pienezza di vita: la non accoglienza del Logos di Dio è incomprensione della sua grandezza, più che affermazione della nostra grandezza propria.
Il raggiungimento della vita divina genera nell'uomo una spinta persistente all'autodeificazione.
È nota, anche se a livello di slogan, la massima di Nietzsche: "Il Superuomo è il senso della terra".
Da tale tensione derivano tutti gli assolutismi, sospinti dal "furor di gloria", il che non è razionale perché è un eccesso non realistico dell'essere uomo.
Il Superuomo è determinato a "calpestare il povero" ( Ez 22,29 ) per conseguire il successo, e la storia registra quante tragedie tale atteggiamento abbia usato nella politica e in altri settori.
Esso però non riguarda solo alcuni leader o vip, ma come sete di autoesaltazione è nascosto nel cuore di ciascuno.
Ma ecco la rivelazione abbagliante: "quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" ( 1 Gv 3,1 ).
È un evento antologico, cioè di esistenza, che genera una speranza mistica senza uguali verso nuova realtà: "Ciò che saremo non è ancora stato rivelato.
Sappiamo però che quando egli ( Dio ) si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro" ( 1 Gv 3,2 ).
L'origine di questo evento è Gesù Cristo, il Logos fatto uomo, l'essere teandrico, nell'unità di Creatore e creatura.
Lui consente interazioni tra Dio e noi, e noi e Dio: l'essenza del Cristianesimo.