Statuto

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Premessa allo Statuto

Con lo sguardo rivolto al futuro

Lo Statuto che Vittorio Bachelet e Franco Costa, con l'allora Giunta Centrale, hanno dato all'ACI nel 1969 mantiene immutati i suoi caratteri di attualità, in quella dimensione ideale che ha fatto dell'Azione Cattolica una scuola per imparare il Concilio e un tirocinio per sperimentarne la ricchezza.

Proprio per conservare intatto questo ideale l'ACI ha sentito l'esigenza di aggiornare le forme attraverso cui può essere vissuta la propria esperienza nel contesto della Chiesa e della società italiana.

In questi decenni, notevoli cambiamenti hanno interessato lo scenario internazionale e il nostro Paese, investendo anche la Chiesa universale e quella italiana.

Il mutamento non ha risparmiato la vicenda del laicato, sia nella sua esperienza di servizio che di testimonianza, sia attraverso il percorso della riflessione teologica e delle affermazioni del magistero sulla vocazione e missione dei laici.

Tutto ciò esige da parte nostra un aggiornamento del nostro modo di essere associazione e prima ancora del modo con cui comprendiamo ed esprimiamo la nostra identità.

Questo Statuto si aggiorna

confermando le scelte più profonde della nostra vita associativa;

aggiornando il nostro modo di essere nella Chiesa e nella società;

cambiando ciò che è superato dalla realtà attuale dell'associazione.

Anche l'associazione infatti è cambiata: per restare fedele alla sua tradizione e all'ideale conciliare su cui si fonda essa ha bisogno di aggiornamenti; non per fare una nuova AC, ma per fare nuova l'AC di sempre, perché continui a pulsare il suo cuore più vero.

Dunque ci aggiorniamo non per mutare la nostra identità profonda ma per fedeltà: la fedeltà è sempre creativa e chiede anche il coraggio di cambiare.

Raccogliere la ricchezza di questi anni

L'ACI ha deciso di aggiornare lo Statuto per raccogliere la ricchezza di questi trent'anni di esperienza ecclesiale e laicale, accesa dal Concilio e resa possibile dallo Statuto stesso.

In questi anni abbiamo visto succedersi diversi modi di denominare l'anima dell'esperienza dell'Azione Cattolica.

Definita dal Concilio "ministero necessario" ( AG 15 ), è stata successivamente delineata da Paolo VI come "singolare forma di ministerialità laicale" ad indicare il suo servizio alla Chiesa, in quanto esperienza di laici.

Oggi il magistero di Giovanni Paolo II e dei vescovi italiani parla dell'Azione Cattolica come di una realtà radicata in un carisma della Chiesa: l'AC è dono della Chiesa ed espressione di soggettività laicale, unite in una singolare esperienza coerente con la vocazione battesimale dei laici cristiani che costituiscono l'associazione stessa.

Modi per dire come l'AC, scelta con maturità e consapevolezza,

è un'esperienza che dà forma alla vita personale;

delinea un preciso cammino verso la santità;

è decisione che non si assume per abitudine o per tradizione;

è scelta che non può durare una stagione,

perché segna in profondità la vita cristiana di quanti la compiono.

Scegliere l'AC è dire con la propria vita che l'esistenza cristiana che nasce nella parrocchia e vive nelle cose di tutti è esperienza forte e radicale, che intende testimoniare che la santità è possibile nella fedeltà semplice e seria al Vangelo, custodita e alimentata nella Chiesa di tutti.

Radicati nella Chiesa locale

Il cammino associativo di questi trent'anni ci ha consentito di sperimentare la ricchezza della scelta ecclesiale dello Statuto del 1969: l'assumere cioè come propria finalità la finalità stessa della Chiesa, vivendo questo orientamento non in un generico riferimento ad essa, ma nella concretezza del radicamento locale, là dove la Chiesa prende il volto di una terra, di una cultura, di una storia, di una città e prende la forma di una comunità raccolta attorno al proprio vescovo.

L'intuizione espressa all'art. 6 dello Statuto del 1969 è diventata vita; e oggi essa può essere riproposta in maniera più consapevole e decisa, con la forza di una prospettiva che è già stata messa alla prova, in una più matura e piena assunzione del magistero conciliare sulla Chiesa locale, che ci siamo impegnati a vivere e che vogliamo continuare ad arricchire con la nostra riflessione ed esperienza.

I nostri vescovi hanno definito l'AC come l'esperienza di "laici dedicati con legame diretto e organico alla comunità diocesana" ( n. 4** ).

Abbiamo accolto volentieri e con gioia una definizione che interpreta le intenzioni più profonde della nostra vita associativa, che sente come vitale il legame con la propria Chiesa, che vuole realizzarsi non facendo questa o quella cosa, assumendo questo o quel progetto ma piuttosto attraverso una disponibilità aperta e totale, creativa e responsabile alla propria Chiesa e al suo cammino, nel desiderio di contribuire a costruirla con il pensiero e con il servizio, nella condivisione della sua fede e della sua missione, con la corresponsabilità pastorale e con la disponibilità ad esplorare nuovi spazi di missione.

In modo particolare l'AC vuole stringersi attorno al proprio vescovo per condividere il suo ministero di costruzione della comunione, perché le nostre comunità annuncino il Vangelo presentandosi prima di tutto come spazi aperti, fraterni, accoglienti.

Scegliamo di vivere radicati nella Diocesi al punto che, pur rimanendo noi stessi, questa dedizione viene prima di ogni nostra scelta specifica, pronti a far nostre le specificità di ogni Chiesa locale.

La scelta dell'atto normativo diocesano ( cfr art. 21** dello Statuto ) ha qui la sua ragion d'essere: perché l'AC possa servire meglio la propria Chiesa nelle mete e nei progetti che essa si dà.

Non perderemo nessuna "unità", semmai supereremo il rischio di una certa "rigida uniformità" e soprattutto, in un contesto di cambiamenti velocissimi, libereremo quella "fedeltà creativa" che viene dallo Spirito e dalla ricchezza delle nostre associazioni.

Sappiamo che il luogo naturale e quotidiano in cui vivere il no stro radicamento ecclesiale è la parrocchia, dove la Chiesa si fa incontro a tutti; in cui fa famiglia, nel condividere la vicenda umana di tante persone e portando accanto a ciascuno la luce e la forza del Vangelo.

La comunità parrocchiale continua ad essere il contesto ecclesiale in cui l'AC si impegna a svolgere il suo servizio quotidiano perché la Chiesa divenga ogni giorno casa per tutti, capace di annunciare a ciascuno la speranza del Vangelo.

Per una civiltà dell'amore

Il cuore della nostra esperienza è la scelta di vivere l'essenziale della vita cristiana, cioè la vocazione battesimale, dentro l'universale esperienza delle donne e degli uomini di oggi, senza nulla togliere a ciò che è comune a tutti.

Questo ci chiede l'impegno a dare valore alla vita attraverso l'operosità, l'amore, la responsabilità, la dedizione; a costruire per tutti una civiltà dell'amore, come ci ha invitato a fare il Papa nel suo Messaggio all'Assemblea: "voi siete laici esperti nella splendida avventura di far incontrare il Vangelo con la vita e di mostrare quanto la "bella notizia" corrisponda alle domande profonde del cuore di ogni persona e sia la luce più alta e più vera che possa orientare la società nella costruzione della civiltà dell'amore".1

Anche se sono passati tanti anni dal Concilio ci sono ancora molte fatiche nella Chiesa per diventare popolo di Dio dove i laici hanno un posto e una corresponsabilità precise; quindi la riflessione sulla laicità è ancora attuale anche di fronte ai nuovi modi di essere della Chiesa locale ( unità pastorali, strutture di comunione … ).

Siamo convinti che la Chiesa abbia bisogno della vocazione laicale per aprirsi sempre più alla vita, per accogliere ogni dimensione e salvarla, per diventare casa aperta, comunione offerta a tutti, vicenda di popolo.

La nostra vocazione di laici cristiani è a servizio del compito della Chiesa tutta ad aprirsi al mondo, al territorio, alla vita, all'esistenza concreta di ogni persona.

Occorre che la riflessione e l'esperienza delle nostre comunità dicano che si può essere santi vivendo l'essenziale; dicano che la vocazione laicale è importante e senza di essa una comunità è meno pronta al dialogo con il mondo ed è meno se stessa.

Occorre tornare a parlare di promozione della vocazione dei laici, anche superando il loro impegno solo pragmatico;

valorizzando la loro soggettività, con un'attenzione particolare per le realtà associative;

favorendo il loro coinvolgimento nella responsabilità dentro una reale esperienza di comunione in cui sia evidente che ogni dono ha valore.

Il Vangelo nella città

I vescovi hanno riconosciuto all'AC un'esemplarità formativa che ancora oggi le viene richiesta, anche come servizio a tutta la comunità.2

È un riconoscimento della ricchezza di una tradizione che ha formato generazioni di laici cristiani testimoni del Vangelo nella vita quotidiana, con una serietà che ha portato non pochi di loro a camminare verso gli onori degli altari.

Quando pensiamo a quanti, attraverso la formazione ricevuta in AC, hanno compiuto e compiono scelte vocazionali e radicali di vita cristiana espresse nella famiglia, nella professione, nella politica … sentiamo che la nostra responsabilità aumenta.

Il cammino formativo dell'AC deve anche oggi aprire la strada alla santità,

attraverso una vita cristiana essenziale,

che abbia il suo cuore nella Parola e nella carità,

nell'Eucaristia

e nella vita sacramentale;

nella condivisione del cammino di fede della propria comunità,

nell'impegno ad acquisire uno stile mite e semplice, sobrio e accogliente, fraterno e partecipe …;

nel testimoniare con gioia e maturità quell'aspetto paradossale della vita cristiana che ci fa essere leali cittadini nella nostra città, nella storia di oggi, ma al tempo stesso custodi gelosi di un originale stile evangelico.

La fedeltà alla nostra tradizione e alla Chiesa di oggi ci dicono che ci sono dei percorsi obbligati per questa formazione:

sono quelli che passano attraverso la Parola che costruisce la coscienza nell'ascolto e nella docilità allo Spirito;

attraverso lo studio e quella pensosità che contrasta con la superficialità frettolosa che non sa osare l'interiorità;

attraverso l'attenzione ai temi e ai problemi del tempo e della città,

in un discernimento continuo condotto con gli strumenti della cultura e con quell'atteggiamento di amore al mondo che si esprime con la stessa intensità sia quando consente che quando contesta.

La serietà di questa formazione consentirà anche oggi di far emergere il carattere alternativo della proposta cristiana, che si rivolge alle coscienze, che fa conto sulla straordinaria forza della libertà e dell'amore, che lo Spirito suscita nella profondità di ogni persona.

Queste scelte hanno bisogno di leggerezza e libertà; della ricchezza della diversità e della responsabilità di tutti.

La configurazione associativa e la scelta democratica sono essenziali e necessarie allo spirito conciliare ed ecclesiale dell'AC.

Laici, cioè missionari

La Chiesa italiana in questi anni ha compiuto con determinazione la scelta di "comunicare il Vangelo".

L'ACI condivide questo impegno e lo assume nel desiderio di esprimere in esso la propria soggettività di associazione di laici.

Sappiamo che per essere fedeli al mandato missionario del Signore occorre essere disposti a far risuonare anche nel mondo di oggi l'annuncio del Vangelo,

perché le persone del nostro tempo possano riconoscere la sete di Dio che portano nel cuore;

perché possano ascoltare la Parola che invita a non avere paura e ad affrontare con fiducia e con speranza il futuro.

L'impegno dell'AC è rivolto ad animare le scelte missionarie delle comunità parrocchiali, perché recuperino slancio missionario insieme alla fiducia di poter entrare in comunicazione anche con gli adulti e i giovani di oggi.

L'impegno dell'AC è rivolto anche ad ampliare gli spazi tradizionali della missione vivendo la laicità come un talento prezioso che permette di mostrare il volto buono della realtà, di farsene responsabili, di testimoniare nei luoghi della vita quotidiana che il Vangelo dà pienezza all'esistenza e alla nostra stessa umanità.

La ricerca e il dialogo, una testimonianza radicale ed esemplare ai valori evangelici, la ricchezza della nostra esperienza umana sono i percorsi lungo i quali da laici possiamo mostrare la forza e la bellezza del Vangelo e farci carico della domanda di speranza delle donne e degli uomini di oggi.

Conclusione

Siamo grati al magistero della Chiesa che attraverso le parole di Giovanni Paolo II e dei nostri Vescovi ci ha ripetuto in questi anni che l'A C è un dono di cui la Chiesa non può fare a meno.

È un riconoscimento che ci dà gioia e ci impegna a mostrare con l'esperienza della nostra vita e delle nostre associazioni diocesane e parrocchiali che effettivamente una comunità senza l'AC è più povera; che l'AC è una realtà su cui oggi la Chiesa può tornare a scommettere.

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1 Giovanni Paolo II all'Assemblea Straordinaria, 14 settembre 2003, n 3
2 Cfr Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 6