Convegno ecclesiale di Verona |
I contributi delle Diocesi e degli organismi ecclesiali, prima di inserire proposte e indicazioni relative agli ambiti della testimonianza, in molti casi si soffermano a riflettere sul tema generale del Convegno, spesso accompagnando le prospettive individuate con un generale « esame di coscienza » sulla qualità della testimonianza nel proprio vissuto ecclesiale.
Alle « direzioni da seguire », contenenti le scelte su cui maggiormente converge la riflessione, è dunque importante premettere il riconoscimento di quanto, dall'interno o dall'esterno della vita ecclesiale, indebolisce la testimonianza dei fedeli e delle comunità.
Le condizioni del nostro tempo incidono sul modo di vivere la fede e di proporla.
Nasce da qui la fatica di una dialettica culturale che consenta la crescita della fede e la percezione della sua bellezza, dentro ( e nonostante ) i processi culturali in atto, incidendo nella mentalità e nei comportamenti della gente.
Il quadro di analisi risulta omogeneo in tutte le Chiese locali sparse nel territorio italiano: i flussi culturali tendono d'altra parte a globalizzarsi, schiacciando ogni forma di singolarità nella percezione di sé e della realtà.
A questi livelli, la cultura è come l'aria che si respira.
Così, nel tempo definito « del rischio e dell'incertezza », del « pensiero debole » o anche della « coscienza infranta », la stessa domanda di senso - cui corrisponde la risposta della fede - è indebolita nel frastuono di « non - risposte » mondane, cercate con bramosia e nel bisogno di una soddisfazione immediata « qui e ora ».
Massificazione e individualismo vanno di pari passo, mentre le Chiese non sempre riescono a offrire percorsi di maturazione in cui la persona è esaltata nella sua dignità di soggetto in relazione, cioè nella sua vocazione alla solidarietà, alla compagnia, alla cooperazione.
L'individualismo, in particolare, scava le coscienze e le mette in competizione a ogni livello, penetrando surrettiziamente anche nell'esperienza ecclesiale e costituendo quasi un diaframma insuperabile rispetto alla testimonianza da rendere al Vangelo che, invece, esige di camminare insieme, nel reciproco aiuto, nella mutua accettazione, collaborando con creatività a progetti aperti al futuro, cioè capaci di integrare i diritti delle generazioni future.
Il rischio è che anche la fede venga vissuta come « gioco individualistico », a proprio uso e consumo, per la soddisfazione dei propri bisogni, sentiti come assoluti e insindacabili quanto più vengono percepiti come diritti individuali.
Si insinua per questa via una sorta di schizofrenia religiosa che consente di vivere anche momenti forti di preghiera e di liturgia e, a un tempo, di compiere quella « apostasia silenziosa » evidente nelle tante contraddizioni della vita di molti praticanti.
Anche l'appartenenza ecclesiale risulta sfilacciata, mentre si impoverisce il senso dell'oggettività salvifica dei sacramenti e anche il significato autentico del magistero nella Chiesa: si accolgono così solo alcune delle verità del cristianesimo, intese peraltro in modo del tutto soggettivo, senza considerarne lo spessore morale, non solo in campo di etica sessuale, ma anche nell'ambito dell'etica sociale e politica.
Il rischio che la fede resti un « fatto privato » è altissimo, per l'incapacità di confrontarsi con la vita e la storia: consuetudini religiose e tradizioni irrigidite diventano palliativi di una fede immobile che non si traduce in gesti concreti di amore e di comunione e vanno a incrementare quel dramma del cattolicesimo - ben identificato dagli ultimi pontefici - della separazione tra fede e vita, tra Vangelo e cultura.
La comunità cristiana, pressata da queste spinte individualistiche, fatica così a maturare una coscienza ecclesiale, che tanto più appare indispensabile per un'autentica testimonianza cristiana nel mondo.
Il secolarismo, che è una perversione del processo di secolarizzazione, ha fatto emergere una cultura della superficialità e dell'effimero.
Essa pervade, soprattutto attraverso i media, le generazioni più giovani e ostacola fortemente i tentativi pastorali di impostare e proporre percorsi seri di conversione di vita, dentro progetti di amicizia e di solidarietà duraturi e profondi.
Il rischio è che, mentre si indeboliscono i tradizionali meccanismi di trasmissione della fede da una generazione all'altra, le proposte di formazione si adattino a questo clima culturale, che riduce la religione ad atmosfera: senza impegni, senza regole, senza dogmi e - talvolta - senza istituzioni di riferimento.
Il consumismo tipico delle società altamente secolarizzate facilita il vissuto di una religione « fai da te », dove tutto è consumo ( anche il rapporto con Dio ), mentre l'educazione cristiana fatica a trovare motivi convincenti per esigere dalla libertà personale la partecipazione ai sacramenti, l'obbedienza ai comandamenti della fede e agli orientamenti etici che ne consentono la concretizzazione nella vita.
Per questa via, la fede cristiana diventa sempre più marginale nella società e d'altra parte i cristiani faticano a comprenderne le conseguenze, sia per la testimonianza del Vangelo e sia per lo sviluppo umano della società.
Ciò costituisce anche il motivo della fatica a comprendere il mondo contemporaneo, rispetto al quale risulta comunque disastroso e devastante per la testimonianza un duplice atteggiamento: quello apologetico della condanna inappellabile, che pone il credente « fuori dal mondo », e quello dell'accoglienza acritica di tanti aspetti della contemporaneità che sono in realtà solo deformazioni banalizzanti e riduttive dell'umanità.
Nel mutato scenario culturale è sempre più difficile che alla Chiesa sia riconosciuto quel ruolo centrale di socializzazione che un tempo possedeva e che costituiva una forza preziosa per la comunicazione e l'educazione della fede.
La riduzione della presenza sociale della Chiesa, frutto anche di legittimi processi di secolarizzazione, pone i cristiani in una situazione imprevista, caratterizzata da una specie di « lacuna di sostegno » da parte del contesto sociale e civile.
È una situazione da saper accogliere come una sfida che richiede una nuova fantasia pastorale, che spinga la comunità cristiana a ripensare se stessa e il proprio modo di operare.
Capire questo è indispensabile per poter vivere una fede senza compromessi ed evitare i rischi verso cui spinge il secolarismo laicista.
Proprio il laicismo pretende di relegare il cristianesimo nelle sagrestie e nel privato dei templi, denunciando come indebita ingerenza in campi non pertinenti alla fede l'impegno del cristiano nella sfera pubblica, sottraendo alla testimonianza della fede proprio quegli ambiti nei quali in modo più alto si decide delle modalità della convivenza civile e della vita stessa, dal suo inizio al suo tramonto: si pensi alle problematiche odierne legate alla bioetica, al matrimonio e alla famiglia.
In questo contesto, numerosi sono i rischi per la fede e la vita della comunità cristiana:
- il rischio che la fede venga vissuta come intransigenza implacabile e il credente si renda incapace di dialogo e di convincimento, perdendo la speranza di « rendere ragione » del carattere vitale e vivificante del cristianesimo, ricadendo nel lamento accusatorio e rendendosi incapace di intercettare gli aspetti promettenti che rendono il nostro tempo un tempo opportuno per l'annuncio del Vangelo;
- il rischio della chiusura in se stessi e dell'autoreferenzialità, che porta a « nutrire solo i già nutriti » e a proporre le solite cose ai soliti che ancora resistono nel recinto, mentre i « pascoli » sono disattesi e non abitati;
- il rischio di pensare a irrobustire la propria presenza nel mondo erigendo strutture e ingigantendo l'organizzazione, e scivolando in un attivismo che dimentica l'essenziale del cristianesimo e produce comunità impegnate a tenere in vita istituzioni e attività che appaiono sempre più fini a se stesse, e che sembrano acquisire come obiettivo prevalente la propria sopravvivenza.
La missione rischia di languire e con essa anche la visibilità di una Chiesa vicina alla gente, esperta in umanità, capace di dare speranza ai tanti sentieri interrotti della vita personale e comunitaria.
In questo panorama, c'è anche chi segnala il pericolo di alcune forme di involuzione ecclesiale, riconoscibili ad esempio in due fenomeni, speculari e convergenti nell'indebolire l'efficacia della testimonianza credente: quello del « clericalismo laicale » e quello del « laicismo clericale ».
Il primo rischia di rinchiudere i laici nelle mansioni del clero, evadendo le responsabilità tipiche della testimonianza cristiana nel mondo; il secondo porta il clero ad assumere ruoli organizzativi di tipo manageriale che deresponsabilizzano i fedeli laici nei loro impegni secolari, e li privano anche della guida spirituale e della formazione delle coscienze.
Si comprende allora l'importanza di recuperare e attuare sempre meglio l'ecclesiologia di comunione del Vaticano II, affinché la Chiesa risplenda nel suo volto di corpo ben compaginato che, valorizzando i carismi e i ministeri di tutti, può compiere la propria missione nel mondo, realizzando la propria vocazione: l'annuncio del regno di Dio e della sua giustizia, secondo la volontà di Dio per l'uomo comunicata in Gesù di Nazaret, perché tutti si sentano e vivano da fratelli, in comunione tra loro.
Pur nella condizione del « piccolo gregge » la comunità cristiana non esclude nessuno, valorizza le proprie risorse e opera le sue scelte nella prospettiva di continuare a evangelizzare con più ardore, di riprendere sempre nuovamente il lavoro pastorale senza stancarsi, esercitando la profezia di cui la dota il messaggio che porta al mondo e superando soprattutto l'accidia, che è « allentamento della tensione dell'anima, un senso di vuoto, noia e svogliatezza, spossatezza e ansietà del cuore » ( Cassiano ), vizio cui la potrebbero spingere le condizioni esasperatamente secolarizzate del tempo presente.
La Chiesa confida nel Signore risorto, è animata da un speranza viva garantita dalla compagnia dello Spirito che la pone sempre in cammino e la spinge sempre avanti.
Fatiche e rischi non mancano, dunque.
La Chiesa ne ha consapevolezza, come pure ha la certezza di avere in sé quanto nel tempo è necessario per attuare questa missione di comunione nella storia e rendere luminosa la speranza cristiana.
I contributi lo mettono in risalto soprattutto dando spazio alle esperienze positive e alle numerose testimonianze del passato e del presente.
Sono numerosi i segni di speranza individuati da tutti, nella direzione di percorsi significativi di vita cristiana, esempi di dedizione e di fedeltà al Vangelo, luoghi accoglienti e capaci di offrire risposte sia ai bisogni materiali che alle domande profonde di senso, sperimentazioni pastorali nel segno della comunione e della corresponsabilità, l'incremento della consapevolezza missionaria e della capacità di comunicazione con tutti i mezzi, proposte volte alla personalizzazione della fede e alla radicalità della vita cristiana, il fascino perdurante di forme di consacrazione antiche e nuove.
Non si tratta - si fa notare - di un elenco da contrapporre alle debolezze e alle incoerenze dei credenti e delle comunità, né di semplici inviti all'ottimismo, quanto di riconoscere i segni di « vita risorta » che il Signore non manca di disseminare nella sua Chiesa oggi come sempre.
È da questi doni e promesse, dalla forza della testimonianza vissuta - per lo più nel nascondimento e non raramente fino al martirio - che nascono le indicazioni delle vie da seguire per il futuro, insieme alla lode e all'invocazione rivolte al « primo testimone », il Signore Gesù, vivo e presente in mezzo ai suoi discepoli.
Il discernimento ecclesiale è per se stesso un modello culturale importante e necessario per manifestare il volto sempre giovane della Chiesa.
Testimoniare la speranza significa anzitutto « far apparire » e « mostrare » l'evento che ha dato speranza al mondo e alla storia dell'uomo.
L'evento dell'amore di Dio riversatesi sull'umanità - attraverso il Risorto dai morti - assume forme concrete e precise: anzitutto quella della comunione di persone che, seguendo Gesù di Nazaret, in fedeltà a quanto hanno visto e sperimentato, si impegnano a comunicare con la vita e l'azione la loro « speranza viva », tutta riposta nel Signore risorto.
L'esercizio del discernimento è pertanto una dimensione indispensabile della testimonianza che i contributi chiedono di promuovere con maggiore decisione e generosità nella prassi pastorale, anche come frutto di quella spiritualità di comunione indicata da Giovanni Paolo II nella Nova millennio ineunte, espressiva dell'ecclesiologia di comunione del concilio Vaticano II, che deve diventare « prassi ordinaria » delle comunità cristiane.
Occorrerà inoltre riscoprire e meglio realizzare l'intera ricchezza di questo Concilio per la crescita di comunità cristiane missionarie, impegnate a vivere una fede adulta nelle vicende tortuose della storia e nelle possibilità dischiuse dai cambiamenti culturali di oggi.
La strada è ancora lunga da percorrere, ma il cammino è iniziato e aperto.
In quanto ecclesiale, il discernimento è manifestazione della fede.
È pertanto misurato dal Vangelo, si compie come accoglienza, ascolto e meditazione della salvezza ottenuta in Cristo, i cui contenuti non sono una dottrina, benché la implichino, ma piuttosto un rinnovamento della vita, una trasformazione dell'esistenza.
Il discernimento ecclesiale non è semplicemente una operazione teorica: è contemplazione della vita alla luce del Vangelo - della sapienza che viene dall'alto - per penetrare nelle profondità della storia umana e produrre stili di vita conformi al Vangelo, spesso alternativi a quelli della cultura diffusa e dell'ambiente circostante: stili fondati nella frequentazione assidua del Signore, radicati nei sacramenti della Chiesa, capaci di dare speranza ai fatti della vita quotidiana.
Il Vangelo esige incarnazione nell'esistenza.
Il discernimento delle forme concrete di questa incarnazione porta a immaginare modelli culturali atti a « guardare » l'uomo nella concretezza delle sue situazioni ordinarie e dei suoi bisogni più veri: nascita, vita, dolore, gioia, morte, affetti, relazioni umane, lavoro, impegno sociale, cura dell'altro.
La natura propria del discernimento ecclesiale impone una fantasia creativa di modelli culturali attraverso i quali il Vangelo ritorni a essere luce che illumina i passi concreti degli uomini, dove fortemente si stringe il rapporto tra rivelazione di Dio e fatti della vita: dal rispetto della vita umana al lavoro dignitoso per guadagnarsi il pane, dal sacrificio per mantenere unita la famiglia al desiderio di farsi carico delle tante fragilità presenti nel territorio, senza dimenticare di lasciarsi aiutare anche dalla bellezza dei luoghi naturali e dalla nobiltà della storia locale, allo scopo di esaltare la tensione alla trascendenza dell'uomo, il senso religioso della gente, l'attitudine alla contemplazione e anche la memoria della storia di santità che Dio ha compiuto nelle vicende singolari di tantissime comunità.
Così, l'esercizio del discernimento ecclesiale porta alla promozione di modelli culturali ispirati al Vangelo e viceversa: la promozione dei modelli culturali ispirati al Vangelo implica l'esercizio ecclesiale del discernimento.
Questo nesso appare inscindibile e prezioso, mentre più forte emerge l'urgenza che l'educazione al discernimento ecclesiale diventi una costante ineliminabile dell'azione formativa della Chiesa.
È necessario, infatti, che si moltiplichino i luoghi in cui si ascolta e si dialoga, si cerchino insieme risposte, rompendo con la logica della comunicazione unidirezionale e aprendosi invece alla logica della partecipazione.
Il discernimento ecclesiale, personale e comunitario, favorisce la vigilanza sul nostro modo di essere cristiani, esige il coraggio del confronto, della verifica e dell'apertura all'altro.
Veri « avamposti della missione » e insostituibili luoghi di discernimento sono i media cattolici, diffusi capillarmente nel territorio e in feconda relazione con esso.
Se i mezzi di comunicazione sociale sono spesso motivo di diffusione di una cultura estranea al Vangelo, essi sono anche - già oggi - soggetti attivi nel racconto e nell'interpretazione della realtà alla luce della fede.
La sinergia tra i media ecclesiali è l'esempio di una cultura della collaborazione e della ricerca dei linguaggi più adatti per testimoniare nella nostra società la speranza cristiana.
Per questo, essi vanno diffusi nelle Chiese locali e collegati tra loro con sempre maggiore convinzione.
La preparazione del Convegno ha visto lo sforzo di valorizzare e di mettere in sinergia carismi e competenze di tutto il popolo di Dio, accogliendo soprattutto il contributo dei fedeli laici: senza rivendicazioni sterili, e in piena corresponsabilità, con un forte senso di partecipazione nella comunione, sotto la guida dei vescovi e dei presbiteri.
Questo stile sinodale è segno di maturità ecclesiale, fecondo di conseguenze per il futuro.
L'esperienza del cammino preparatorio ha dato almeno due risultati importanti, degni di menzione:
- la possibilità di interagire tra realtà diocesane, anche diverse, dentro un progetto unitario, specie in regioni ecclesiastiche la cui configurazione geografica spinge alla dispersione e alla frammentazione;
- la possibilità di interloquire, ponendole in un circuito fruttuoso, con competenze artistiche, letterarie, scientifiche e sociologiche che hanno consentito di confrontarsi con i vari linguaggi della cultura moderna, anche di quei settori, spesso percepiti come ostili o pericolosi rispetto al messaggio cristiano.
L'esito ultimo è stata la chiara percezione che le sfide culturali del tempo presente devono e possono aiutare in termini positivi la Chiesa a ripensarsi globalmente e a inventare nuovi modi di operare e di proporsi agli uomini e alle donne nostri contemporanei.
Le difficoltà del discernimento ecclesiale sono interne ed esterne: rimandano cioè alla bellezza del mistero di comunione della Chiesa, sempre da riscoprire e amare, e anche al cambiamento rapido di una società che vive un ritmo accelerato, e spesso disorienta.
Resta però che non si può non discernere e non si può non farlo insieme, nella concretezza della vita feriale, perché ogni uomo e ogni donna ritorni a trovare nel Vangelo di Cristo la risposta vera alle tante domande di senso e di verità, nascoste nei tanti drammi dell'esistenza e intuite nei tanti progetti di speranza per un futuro migliore.
Tutto questo esalterà, da una parte, il fatto che l'azione pastorale va ripensata e vissuta in comunione e, dall'altra, la necessità di tradurre l'annuncio del Vangelo in una visione di vita fondata su irrinunciabili valori etici.
Così tutto il popolo di Dio sarà il soggetto - e non semplicemente l'oggetto - dell'azione pastorale e la Chiesa potrà esercitare il suo doveroso ruolo pubblico a servizio dell'umanità dell'uomo, in nome del Dio di Gesù Cristo, potendo essere percepita non solo come istituzione sociale, ma piuttosto come presenza visibile dell'amore di Dio in mezzo agli uomini.
Per questa via, la fede cristiana - testimoniata perché vissuta in comunione - potrà sfuggire al rischio sempre latente dell'intimismo religioso, che la relega nelle zone separate e infeconde dell'inespressività rituale, nel chiuso dei templi e delle sagrestie o dei devozionalismi individuali, diventando invece la forma buona e ordinaria della vita che misura l'esperienza umana - anche sociale e politica - alla luce del Vangelo e sa affrontare con serenità e vigore i tanti problemi dell'esistenza, aprendo alla speranza di una possibile ed effettiva liberazione.
Il Dio di Gesù Cristo e lo stesso Cristo non sono concetti astratti, un generico ideale di umanità, né tanto meno una regola morale: sono una storia d'amore nella vita degli uomini, i quali possono imprimere la forza della risurrezione in ogni concreta situazione di morte, nella riscoperta della propria vocazione.
Gli uomini, infatti, non sono destinati alla solitudine e all'isolamento, ma sono chiamati alla condivisione, all'amicizia autentica, alla libertà del dono di sé nell'unità dell'amore.
Una fede ecclesiale che faccia trasparire tutto ciò offre un paradigma antropologico nuovo non solo a livello personale, ma anche nei rapporti con la realtà sociale e politica.
Un'azione pastorale di tale spessore punterà sulla formazione di coscienze critiche che sappiano leggere i « segni dei tempi », intercettando in essi la volontà salvifica di Dio per oggi, dando testimonianza della possibilità - proprio nelle mutate condizioni culturali - di una fede adulta, adulta anzitutto perché, contro tutti gli impulsi schizofrenici a separare, sa tenere uniti e coniugare fede e ragione, esperienza personale e vita sociale, contemplazione di Dio e impegno per l'uomo.
La testimonianza è manifestazione di una fede adulta: il cristiano adulto è un testimone; ma adulti nella fede non si nasce, si diventa.
Il cristiano non si sente un arrivato, ma si percepisce sempre come un « umile viandante », si mette in gioco con la consapevolezza delle proprie povertà e ricchezze: sa di sé, ha coscienza del proprio battesimo, ne custodisce i tesori inestimabili di grazia e li fa fruttificare.
La fede adulta preme perché la Chiesa sia meno ritualistica, meno abitudinaria e più profetica, missionaria, testimone della radicalità evangelica e della speranza teologale, che è anzitutto speranza di fare un salto di qualità nella fede.
Per questo, i contributi al Convegno guardano con grande interesse al progettarsi e attuarsi di seri cammini di fede, fondati nell'ascolto della parola di Dio e nel discernimento ecclesiale delle istanze dell'uomo contemporaneo.
Aperte all'imprevedibilità di Dio e alla sua creatività, le comunità cristiane hanno oggi gli strumenti adeguati per formare le coscienze all'esperienza cristiana autentica, che stringe indissolubilmente il legame tra Dio e l'uomo, tra contemplazione e impegno nel mondo, ripensando anzitutto il proprio stile di comportamento perché sia adeguato al proprio essere.
I contributi, in proposito, mettono in risalto l'accresciuta consapevolezza che la missione non è un fatto straordinario, un'attività episodica, ma è costitutiva dell'identità cristiana.
Non esistono vicende umane che non siano anche « storia di Dio ».
Perciò i cristiani, inseriti in questa storia d'amore, si sentono debitori del Vangelo verso tutti, servi di una Verità che salva e libera tutti gli uomini, e di cui occorre mostrare il vero volto.
Si comprende perché l'urgenza di passare da una pastorale di conservazione a una pastorale di missione deve essere ancora ribadita, meglio pensata e organizzata, comunitariamente, e anche attenta a far sorgere un linguaggio idoneo a evocare il cambiamento: non « missione al popolo » ma « popolo in missione »; da una « pastorale dei concetti » a una « pastorale dei contatti ».
Contro le derive pastorali cui spinge l'autoreferenzialità di tante comunità cristiane, di alcuni gruppi e singole persone, è necessario riscoprire e dare maggiore attenzione alla dimensione comunitaria del soggetto pastorale e alla dimensione personale della fede che si comunica « cuore a cuore ».
La « conversione pastorale » alla missione, avviata in questi anni, non deve far trascurare la missio ad gentes, che anzi costituisce il suo costante orizzonte e paradigma.
La missione infatti è unica e universale e, pur avendo modalità e urgenze diverse nei diversi contesti, si alimenta dell'unica passione per la testimonianza della fede e l'annuncio del Vangelo.
Per questa via emergeranno le insondabili profondità e larghezze della missione cristiana: nella logica dell'incarnazione essa corrisponde alle vere provocazioni e domande dell'uomo incontrato nella concretezza delle sue situazioni di esistenza, sempre da amare, ascoltandone e condividendone i bisogni, con l'avvertenza di saper sempre annunciare il Vangelo della speranza.
In questa impresa è difficile offrire ricette preconfezionate ma è bene ribadire che l'annuncio va fatto, perché la vicinanza solidale del cristiano sia percepita come un atto di « carità cristiana » e non riduttivamente come un servizio sociale.
Ogni impegno nel mondo, inoltre, deve trovare la sua ultima motivazione nel riconoscimento gioioso della presenza di Cristo risorto nella storia, aiutando a maturare per sé e per gli altri uno sguardo contemplativo sull'uomo e sui suoi rapporti sociali, per sottrarli alla forbice riduttiva della produzione - consumo.
La fede adulta del cristiano va curata, creando le condizioni comunitarie perché sorga e si sviluppi nel tempo, producendo « nuovi evangelizzatori » per la « nuova evangelizzazione ».
Perciò si avverte l'urgenza di ripensare « da cima a fondo » il cammino di iniziazione cristiana, nel necessario circolo virtuoso tra catechesi - liturgia - vita.
L'attività educativa dovrà valorizzare la comunicazione di esperienze e l'esempio offerto dai testimoni della fede, ed essere attenta alla realtà, sfruttando la forma narrativa del racconto, perché si noti con immediatezza che la fede ispira fatti di esistenza.
Da qui la sottolineatura di « formare per la vita cristiana » e non solo « alla vita cristiana ».
La via dell'esperienza nell'educazione alla fede non può far dimenticare l'importanza che i cristiani « sappiano » quello in cui credono: tutta la ricchezza e la bellezza del cristianesimo va conosciuta perché possa essere mostrata.
L'ignoranza dei cattolici circa il cristianesimo, le sue fonti e la sua storia è una lacuna da superare.
Nessun sacramento dovrebbe essere amministrato senza far comprendere il senso, il significato e le conseguenze per la vita.
Saper rendere ragione della speranza esige che si sia in grado di declinare la sapienza del Vangelo dentro le situazioni della vita.
In questo contesto, viene osservato in diversi contributi che occorre dare più ampia ministerialità pastorale all'insegnamento della teologia, come luogo dell'esercizio critico di una fede vissuta con intelligenza, valorizzando le istituzioni teologiche deputate al suo sviluppo.
La formazione teologica del popolo di Dio appare per il futuro come un compito da non eludere: si tratterà di immaginare nuove forme e modalità perché sia possibile formare teologicamente, specie quelli che condividono più da vicino la corresponsabilità pastorale.
L'accentuazione della testimonianza per una fede adulta non può sbilanciare il credente a una pratica religiosa senza consapevolezza e senza intelligenza.
La fede è adulta anche perché pensata.
In particolare va curata la formazione teologica dei giovani sacerdoti, perché sappiano a loro volta educare a un cristianesimo completo, capace di mediazione culturale.
Senza questa mediazione, infatti, la fede rischia di scadere in intimismo e in spiritualismo e di scadere nell'indifferenza e nel distacco dalle questioni vitali dell'uomo ( personali, sociali, politiche, storiche ).
L'interpretazione credente della vita avviene a tanti livelli, tutti indispensabili oggi, nel tempo delle società complesse e in continua trasformazione culturale.
C'è il livello scientifico della teologia e quello del dialogo non negligente con tutti gli uomini di buona volontà, così come c'è l'incontro personale con il Signore con la Scrittura e nella preghiera.
Una sapiente coniugazione tra impegno nel mondo e contemplazione aiuterà anche la riscoperta del valore pubblico della fede, della sua incarnazione nella vita e dunque della necessità di una cultura nuova, incentrata sulla persona umana, sulla sua dignità e integralità.
Ciò impedirà la riduzione cultuale della fede, ma anche il superamento di compromessi tra credenti, Chiese e istituzioni civili, aprendo alla libertà di un rapporto di reciproca stima e collaborazione, nell'autonomia delle sfere di competenza, senza favoritismi o deleghe che possano bloccare la capacità profetica di denuncia e di presenza, propria di comunità cristiane quotidianamente rigenerate dal Vangelo.
Nella libertà guadagnata dal Cristo crocifisso, che chiede di rinunciare a ogni nostalgia di posizioni di potere, le Chiese e i cristiani devono testimoniare con coraggio e audacia il senso della giustizia proprio del Vangelo, il quale supera ogni sua attuazione storica, spinge sempre in avanti e critica profeticamente ogni forma di giustizia umana che pretenda con presunzione di imporsi come assoluta.
In questa luce, va sottolineato l'impegno della comunità cristiana nel promuovere una nuova cultura della vita e della pace, attraverso percorsi condivisi, che riconoscano la complessità delle problematiche, il valore del dialogo, la laicità come progetto di convivialità umana.
Una visione globale e unitaria dei problemi porterà a meglio tutelare la vita nella sua interezza e ad annunciare la bellezza della vita in modo globale e gioioso, favorendo un clima di fiducia e serenità, e valorizzando il contributo di tutti.
L'impegno credente nel mondo non può essere svolto senza un profondo radicamento spirituale: la gioia di vivere che dona speranza a un mondo attraversato dalla tristezza e dalla noia esige una corrispondente spiritualità della gioia, che la lectio divina, la partecipazione liturgica, la preghiera personale possono far sorgere, motivare e continuamente alimentare, perché l'opacità del quotidiano possa essere perforata dalla luce della bellezza cristiana.
In particolare, la parola di Dio, ascoltata e meditata, produce un modo nuovo di pensare e di essere, fornisce le categorie di giudizio e di valutazione, vero valore aggiunto per rigenerare il quotidiano e disporlo alla via creativa della speranza.
Irrobustite dal nutrimento spirituale, le comunità cristiane eviteranno la tentazione di chiudersi in un atteggiamento di difesa ( sindrome della cittadella assediata ), e sapranno sfruttare tutte le occasioni di dialogo e di confronto sui temi centrali dell'esistenza umana con chiunque sia disponibile a lavorare per l'uomo e la sua libertà, vivendo forme sempre più profonde di simpatia per il mondo e per l'uomo, via della Chiesa.
La fede adulta porta a forme diverse di coniugazione tra contemplazione e impegno nel mondo.
Unica è tuttavia la linfa vitale che le attraversa: la comunicazione della speranza cristiana che rigenera la vita e la apre a un futuro di gioia e di sapienza, nella necessaria edificazione di una convivenza pacifica e giusta tra gli uomini, in nome di Dio.
La fede però è adulta anche perché non è infantilmente ingenua: sa delle fatiche e dei rischi presenti nel proprio cammino, vive nel « dramma » umano e perciò affronta le sue « agonie », le sue lotte per l'esistenza, le sue battaglie per il diritto - dovere di annunciare il Vangelo e di viverlo con integralità, senza riduzioni pratiche o dottrinali, mostrando la grande gioia che deriva dal praticarlo.
Quando la luce del Risorto irrompe nell'ordinarietà della vita personale, tutto cambia.
L'essere ricreati nel battesimo manifesta tutta la sua bellezza in un vissuto umano che solo Dio rende possibile.
Le comunità cristiane devono mostrarlo con atteggiamenti e comportamenti che rivelino la cura misericordiosa con la quale il Padre incontra ogni uomo nella propria singolare vicenda e nella storia di tutti.
Testimoniare la speranza significa soprattutto comunicare che il Dio della nostra speranza è un Dio vicino.
Alcune scelte di fondo dovranno visibilizzare questo annuncio centrale dell'esperienza cristiana.
La prima di tali scelte è quella che esprime la compagnia all'uomo.
Maestra in umanità, la Chiesa ha la sapienza necessaria per interpretare nel profondo i bisogni degli uomini, le ansie, le attese del cuore, la loro fame di vita e di senso.
Deve però fare uno sforzo particolare oggi, nel tempo della babele dei linguaggi e del disorientamento delle coscienze, per aiutare l'uomo a formulare alcune domande e a cercare la verità là dove essa si trova.
Il processo di decodificazione del mondo dell'altro è faticoso, ma è anche espressivo della vicinanza più profonda alla sua vita: nel mondo siamo diversi e le dimensioni multietniche e multireligiose cresceranno ancor più nel futuro.
È una sfida e allo stesso tempo una ricchezza, un grande impegno di partecipazione all'umano concreto delle persone che devono essere accolte oltre ogni pregiudizio, incomprensione, barriera.
L'attenzione alla singola persona, alla sua storia, alla sua biografia, prendendo l'iniziativa di andare incontro a tutti, è la chiave di volta dell'efficacia della missione.
L'esempio del « buon pastore » resta luminoso e indimenticabile: conosce le sue pecore, singolarmente.
La fede ha una insuperabile dimensione comunitaria e popolare: questo però non impedisce, anzi esige che, nel popolo, sia la persona a essere incontrata, guardata, custodita nella sua specifica fragilità, perché trovi in Cristo il « medico della sua anima ».
In questa direzione va riconfermata la scelta della parrocchia quale figura di una Chiesa vicina alla gente, e per questo missionaria, aperta al territorio, secondo i precisi orientamenti pastorali di Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia e della nota su Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia.
Una nuova creatività pastorale è richiesta per migliorare la qualità della proposta ordinaria con cui si alimenta la vita spirituale del credente, perché la parrocchia venga percepita come « famiglia di famiglie », sfuggendo all'individualismo e all'autoreferenzialità, e offra effettivamente esperienza di comunità.
I tre grandi servizi ricordati da Benedetto XVI nella sua enciclica ( annuncio della Parola, liturgia e servizio della carità ) restano quelli di sempre, ma andranno « personalizzati » dalla comunità, ossia resi « appropriabili » da ogni persona, che in essi trova risposte profonde alle attese della sua vita e i segni di speranza per la propria e per l'altrui esistenza.
Grande aiuto potrà venire, in questo, dalle esperienze di vita ecclesiale delle giovani Chiese nel mondo, attingendo da esse nuove intuizioni apostoliche, tra cui l'indicazione ad articolare le parrocchie in piccoli nuclei, facilitando l'ascolto in profondità della Parola, stimolando i laici all'impegno negli ambienti di vita, e facendosi carico della folla mondiale dei poveri.
In quest'ottica, non è difficile comprendere l'importanza di rendere « evangelicamente significativi » tutti i rapporti legati agli itinerari di fede, mostrando la vitale relazione tra i momenti salienti della vicenda umana delle persone ( nascita, crescita, maturità, dolore, declino ) e la parola della speranza donata da Dio in queste situazioni esistenziali.
In particolare, la comunità cristiana dovrà essere attenta a far sì che la sofferenza umana, provocata dalle concrete situazioni di bisogno ( disoccupazione, mancanza di casa, solitudine, abbandono degli anziani, presenza di persone diversamente abili ), sia un luogo in cui sperimentare la premurosa vicinanza di Dio, attraverso la reale vicinanza della famiglia dei credenti, e potendo così veramente avvertire che il Vangelo di Cristo è « una buona notizia ».
L'educazione alla fede si impone come priorità.
Essa dovrà essere sempre più organica e permanente, a questo potranno servire momenti di studio e di riflessione sulla parola di Dio, la proposta di itinerari di spiritualità, la conoscenza necessaria del magistero e anche una formazione teologica di base che aiuti il discernimento ecclesiale nell'odierna società complessa.
Un impegno continuo va posto sul ripensamento dell'iniziazione cristiana e sulla conseguente revisione dei percorsi di preparazione ai sacramenti.
Il carattere esperienziale e non solo dottrinale dell'impatto con il mistero di Cristo esige che la catechesi abbia una maggiore impostazione mistagogica, dentro un percorso « catecumenale » nel quale il singolo credente, a partire dall'adulto, si senta accompagnato dalla comunità.
Nuovo impulso andrà dato anche all''apostolato biblico nelle Diocesi, nelle parrocchie, nei vari gruppi, attraverso un ampio ventaglio di modalità e strumenti.
Nell'educazione alla fede, e più in generale nella pastorale e nell'evangelizzazione, non si potrà fare a meno della famiglia, la cui centralità va ribadita, perché venga - in quanto tale - coinvolta in tutte le dinamiche ecclesiali.
La famiglia non è solo oggetto di missione, deve diventare sempre più soggetto, ricordando anche che le relazioni familiari, gli affetti custoditi nella famiglia sono un modello per ridare spessore pastorale ai rapporti interpersonali.
La vita nuova in Cristo radica in un affetto nuovo, più forte e creativo di quello dei rapporti di sangue, anch'essi spesso sospesi e impoveriti dall'indifferenza e sacrificati all'interesse economico.
Questa comunione « affettuosa », da non confondersi con sentimentale, è l'anima della comunità cristiana e deve essere il frutto della partecipazione al suo cammino e alla sua vita sacramentale, in piena libertà e senza forzature, affinché il cristianesimo non appaia come un'immensa « macchina del sacro » distributrice di servizi religiosi.
Per questo occorre programmare e accompagnare, incentivare e promuovere cammini formativi per le famiglie, perché esse possano assolvere il loro insostituibile ruolo nella trasmissione della fede.
Nella famiglia la persona umana viene generata alla vita e la famiglia - con i suoi tempi, le sue straordinarie risorse umane, le modalità proprie della sua relazionalità, i soggetti diversi che la compongono - dovrà essere una delle risorse più preziose per quella « pastorale delle generazioni » che si prende cura degli inizi del credere, dei suoi sviluppi e anche della comunicazione della fede ai « lontani ».
Perciò, sarà opportuno lanciare delle sfide educative e una « alleanza educativa » con le famiglie.
La Chiesa deve scegliere di annunciare Cristo « integralmente », nella verità della dottrina e nella serietà delle sue conseguenze etiche, senza equivoci o annacquamenti di linguaggio, senza paura di essere rifiutata.
Lo deve fare, però, nel rispetto della libertà di coscienza, senza forzature, presentando ciò che è bene e ciò che è male come un appello alla scelta responsabile della persona, la cui libertà non è compromessa dall'obbedienza della fede.
Quest'ultima in realtà esalta la libertà umana, che non può essere fraintesa con l'arbitrio di poter fare quello che si vuole: i comandamenti del Signore sono per la liberazione della libertà, per l'autenticità dell'esperienza umana consapevole e matura.
Questo deve essere spiegato, senz'altro, con argomenti convincenti e con riflessioni di carattere biblico e filosofico, ma soprattutto deve essere mostrato vitalmente, attraverso la testimonianza delle persone.
I contributi mettono in evidenza quanto risulti sempre più indispensabile la corresponsabilità pastorale del laicato: tutti i fedeli laici, in quanto battezzati, sono soggetti attivi e responsabili della missione della Chiesa, e insostituibile è la loro testimonianza negli ambienti e nelle esperienze della vita quotidiana.
La vita dei cristiani è la prima risorsa capace di mostrare coi fatti quanto il Vangelo liberi la vita, la affranchi da tante catene esterne e interiori e risulti salvezza delle relazioni umane, perché promuove l'umano dell'uomo e l'autentico sviluppo della persona.
Viene così ribadito che la nuova ministerìalità laicale - anche quando si esprime nell'assunzione di responsabilità « interne » alla vita della comunità cristiana - non chiude il fedele laico « nel tempio », ma lo invia all'esterno con un più alto impegno di manifestazione e di rappresentatività: tutta la vita del fedele laico è luogo in cui si può testimoniare che il Vangelo dischiude orizzonti nuovi di compimento della libertà nel dono di sé, nell'amore che tiene unita la famiglia e che edifica la comunità civile.
Andranno pertanto ricercate le forme, e rinnovate quelle esistenti, per una reale corresponsabilità dei laici nella vita della Chiesa, un ascolto effettivo della loro esperienza, una valorizzazione nella fiducia e nell'affidamento di idonee responsabilità.
Nella sinfonia dei doni e dei carismi di cui la comunità cristiana è ricca, si potranno riconoscere le plurali e diversificate figure vocazionali.
Ogni stato di vita assume una connotazione vocazionale specifica e singolare: la vita consacrata, il sacerdozio ministeriale, la famiglia, i laici e - in modo proprio - le associazioni e i movimenti di ispirazione cristiana.
Si tratta, insomma, di scoprire dimensioni nuove delle stesse vocazioni, perché in ogni situazione della vita vissuta si dia la testimonianza cristiana e la fede sia incarnata, specie nei luoghi, nei tempi e nelle condizioni in cui è evasa e la si vuole zittire mettere da parte.
I consacrati sono fortemente interpellati: compito specifico della forma di vita secondo i consigli evangelici è proprio l'affermare il primato di Dio, rivelateci in Gesù Cristo.
Di questo i consacrati sono testimonianza, innanzitutto con la propria scelta di vita.
Essi, in forza della vocazione specifica, testimoniano la verità di Dio che si offre alla libertà dell'uomo come fonte per ciascuno di vita autentica e rinnovata.
Anche il ruolo delle donne appare decisivo.
Esse, che furono le prime testimoni della risurrezione di Cristo, sono un risorsa indispensabile oggi per i tanti aspetti legati alla vita umana e al riconoscimento della sua sacralità, per le questioni concernenti la responsabilità educativa, il valore della vita anche se debole e il primato della persona, la verità del matrimonio e della famiglia e, non ultima, la partecipazione attiva alla « cosa pubblica » mediante l'impegno sociale e politico.
La qualità della presenza cristiana nel mondo è affidata alla testimonianza che le persone riescono a offrire, in tutta umiltà, vivendo la loro condizione di vita, interagendo con le difficoltà della vicenda umana, senza evaderle e in esse mostrando che il Signore è risorto, cioè che la potenza della risurrezione è reale, viva ed efficace nella storia personale e comunitaria.
In questa direzione, tanti possono essere gli strumenti idonei a formare coscienze cristiane mature.
Negli anni passati, le Chiese ne hanno sperimentati diversi sia nella pastorale ordinaria che in quella degli ambienti: dalle iniziative intorno alla preparazione ai sacramenti a nuove modalità di educazione catechistica, dall'attenzione agli adulti e ai giovani alla creazione di opportunità per le famiglie, dai centri di ascolto del Vangelo alla partecipazione dei fedeli laici nei consigli parrocchiali.
Tutto va mantenuto in ciò che di buono ha espresso e tutto va rivitalizzato, perché divenga occasione propizia per la comunicazione del Vangelo.
Nulla può essere trascurato o banalizzato di quanto permette l'esercizio della testimonianza cristiana: dalle celebrazioni alle quali partecipano occasionalmente i non praticanti alle omelie domenicali, che costituiscono spesso l'unica possibilità di mettere il popolo a contatto con la parola di Dio.
In tutto, però, si avverte un forte bisogno di essenzialità, che investe sia la riscoperta delle radici della fede che la proposta della vita cristiana.
Da qui anche la richiesta di snellire le scelte pastorali, perché evidenzino meglio e più direttamente il legame tra la speranza di Gesù e i « luoghi » della vita ordinaria, oltre agli ambienti in cui l'uomo vive.
Alcune vie particolari, coerenti con la natura della missione ecclesiale e particolarmente apprezzate dagli uomini e dalle donne di oggi, appaiono decisive per il futuro delle Chiese.
Si tratta di:
- la via della povertà, che è scelta dell'essenzialità e della coerenza dei mezzi e di attenzione agli « ultimi »;
- la via dell'alterità, che è educazione alla ricchezza dell'altro in quanto diverso, come valore da accogliere e mai discriminare;
- la via della bellezza ( via pulchritudinis ), che è valorizzazione dell'arte come linguaggio comprensibile a tutti per parlare del mistero di Dio e dell'uomo.
Il recupero del ricco patrimonio artistico e storico - culturale disseminato nel nostro territorio va fatto nella consapevolezza che in ogni espressione artistica si mostra la genialità dello spirito umano fatto a immagine e somiglianza di Dio - e dunque dotato di intuito di trascendenza - ma soprattutto che in essa si rende visibile la bellezza della storia d'amore costruita da Dio per gli uomini e attraverso gli uomini, in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
La bellezza si esprime in tutte le forme dell'arte e prima ancora nello splendore dello spirito umano: splendore del bene reso possibile da Dio e compiuto realmente dall'uomo.
Al valore autentico della bellezza si può collegare la necessità di un modo nuovo e più evangelico di vivere la festa, intesa non come tempo « vuoto », per il disimpegno o per spezzare la routine, ma come tempo gioioso per coltivare se stessi e le relazioni umane interpersonali, familiari, comunitarie.
Esso è tempo riempito dal dono di sé in gesti di solidarietà e di vicinanza alle persone, tempo per « riposare in Dio », anche servendo i fratelli nei loro bisogni.
Nel tempo della festa, vissuto come tempo di libertà vera, si testimonia la spiritualità che anima la vita del cristiano.
Qualunque sia la sua forma e il suo contenuto, essa nulla ha a che fare con uno spiritualismo evanescente e disincarnato.
La spiritualità cristiana - da riscoprire in tutte le sue possibilità e ricchezze - è risorsa e strumento per il rinnovamento del cristianesimo futuro.
La spiritualità e il modo di vivere il tempo devono sempre lasciarsi custodire e modellare dall'Eucaristia, la festa per eccellenza della fede, criterio insuperabile cui tutto orientare come paradigma fondamentale e giudizio della qualità della proposta cristiana.
Riferita all'Eucaristia, la stessa religiosità popolare, mentre diventa « sempre più delizia e sempre meno croce », è una grande opportunità di evangelizzazione per tutto il Paese, e non solo per le comunità del Mezzogiorno.
I numerosi pellegrini che, uniti dalla devozione, accorrono verso i santuari sparsi nel territorio italiano ( e non solo ) rappresentano quasi il « segno dei tempi » di un cristianesimo che riscopre il suo carattere nomade e cerca segni incarnati di Vangelo, a partire dalla testimonianza dei santi.
Costituisce peraltro anche un pungolo per la stessa parrocchia, affinché riscopra la propria natura: non sedentaria, ma itinerante, dinamica, aperta, addetta alla pastorale « dei pascoli » e non « dei recinti », sempre in movimento.
Le nostre società vanno assumendo un volto marcatamente multiculturale: non solo per il flusso migratorio che impone l'incontro e l'interscambio culturale per una convivenza feconda, ma anche per l'affermarsi di plurali visioni del mondo e nuove ideologie, come quelle del benessere a tutti i costi e del consumismo.
In un contesto simile, per una fede matura e senza compromessi, appare difficile animare la missione senza passare attraverso stili di vita alternativi perché veramente evangelici, improntati alla gratuità, alla sobrietà, all'attenzione al prossimo, specie se bisognoso.
Così la profezia della fede si manifesta come giudizio e discernimento dei modelli di pensiero e di vita della cultura dominante, con la conseguente rinuncia ad assumerli acriticamente.
Essendo « sale e luce » nel mondo e per il mondo, il cristianesimo deve ispirare una vita alternativa, perché corrispondente all'identità dei credenti che sono in questo tempo « ospiti e pellegrini ».
Saranno perciò stili di testimonianza improntati a dolcezza, rispetto, dialogo, sincerità, umiltà, volontà di instaurare buone relazioni.
La creazione di stili di comportamento nei quali la qualità cristiana della vita si incarna appare come la via esperienziale idonea anche a ridare significato e intelligibilità a quegli elementi della tradizione cristiana che non sono più eloquenti per i nostri contemporanei nell'attuale società.
La crescita della sensibilità ecumenica, anche se resta molto da fare per un suo inserimento nelle attenzioni ordinarie delle comunità, è un segno di speranza che emerge nel presente e una via da percorrere con sempre maggiore convinzione per il futuro.
Molte sono le occasioni preziose per portare la sensibilità e il dialogo ecumenico nella vita delle comunità, a partire dai consigli locali delle Chiese cristiane.
La Charta oecumenica, in particolare, è ricca di indicazioni da accogliere e seguire con sapienza.
Un rinnovato stile di dialogo deve caratterizzare anche il rapporto con le altre comunità religiose presenti nel nostro Paese.
Occorre comprendere le differenze e approfondire la conoscenza reciproca, attivando sistematicamente momenti di incontro.
Tale processo non costituisce una minaccia ne spinge al relativismo, ma è piuttosto un arricchimento per le diverse identità religiose.
Un'attenzione particolare deve andare alle fedi che condividono il riferimento ad Abramo.
Importante quindi è una piena valorizzazione della Giornata dell'ebraismo ( 17 gennaio ) e quella per il dialogo islamo - cristiano, che già si celebra da alcuni anni in diverse Chiese locali.
La missione conosce un rilancio quando parrocchie, gruppi, famiglie, in nome di Dio, si fanno carico delle situazioni concrete di disagio, superando in loro stessi una mentalità egoistica e contrastando stili di vita utilitaristici con l'aprirsi a gesti di condivisione e di accoglienza gratuita.
Si tratta di un rinnovamento radicale di se stessi, che porta a un nuovo operare, inequivocabile perché porta i segni chiari della carità cristiana come nasce dall'Eucaristia che, incondizionatamente e senza calcoli, esige il prendersi cura dell'altro nella fraternità dell'amore.
Attraverso lo stile della vita improntato alla carità si diventa autorevoli nell'annunciare la speranza; la presenza coraggiosa della Chiesa nelle « opere di misericordia corporale » causa e giustifica la sua credibilità: « Solo l'amore è credibile » ( von Balthasar ).
Le tante forme della marginalità sociale diventano allora un « luogo teologico » nel quale Dio interpella la libertà dei credenti, perché siano operosi e lo siano « insieme », in comunione di intenti.
Una vita realmente fraterna si fonda infatti su una « spiritualità di comunione » continuamente alimentata e tradotta in cultura e in gesti che interessano tutti i campi dell'esistenza.
L'allontanamento di molti dalla fede e dai valori della tradizione cristiana non può essere affrontato facendo leva solo sulla buona volontà dei singoli: anche nell'evangelizzazione è necessaria una « cultura della rete » che impedisca la dispersione delle energie e delle esperienze, istituendo canali permanenti di comunicazione tra i singoli credenti, tra gruppi e movimenti, nelle parrocchie e tra le parrocchie, coinvolgendo le stesse realtà diocesane, in uno stile di reciprocità e di sussidiarietà.
In proposito, come emerge da molti contributi, grande speranza è riposta nella « pastorale integrata », « in cui, nell'unità della Diocesi, abbandonando ogni pretesa di autosufficienza, le parrocchie si collegano tra loro, con forme diverse a seconda delle situazioni - dalle unità pastorali alle vicarie o zone -, valorizzando la vita consacrata e i nuovi movimenti » ( Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia 6 ).
Muovendo da una « logica integrativa » si potrà meglio promuovere uno stile sinodale e mostrare la natura comunionale della Chiesa, evitando le derive dell'autoreferenzialità e della burocratizzazione.
La « pastorale integrata » apparirà come un nuovo modo di fare pastorale quanto più sarà reale e visibile la comunione - e quindi anche la collaborazione e la corresponsabilità - tra sacerdoti, diaconi, religiosi e laici.
Si tratta di un'occasione importante per ripensare il ruolo di tutti, specialmente delle aggregazioni ecclesiali, e di farlo non isolatamente, ma in un clima di comunione nel quale nessuno si senta giudicato o privato della propria identità, che va riscoperta sempre nuova nel servizio e nel dono.
Rilanciare la missione impone infatti anche la nascita di « nuovi protagonisti » dell'evangelizzazione e di un nuovo stile dell'azione pastorale, per creare spazi di reale partecipazione in cui tutti si sentano coinvolti.
L'elenco delle scelte e degli strumenti per rinvigorire la testimonianza ecclesiale è lungo e variamente articolabile.
Resta tuttavia illuminante l'insegnamento di Giovanni Paolo II: la sua figura e il suo magistero ci ricordano che « non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede, ma occorre suscitare un nuovo ardore di santità» ( Redemptoris missio 90 ).
La santità - « misura alta della vita cristiana ordinaria » dei singoli e delle comunità - è la sorgente ultima di quegli stili di vita e di testimonianza cui occorre dare priorità per rilanciare la missione e impegnarsi in una nuova evangelizzazione cristianamente feconda.
La stessa vita liturgica e sacramentale andrebbe approfondita nelle sue radici fondamentali allo scopo di creare modi di essere conformi al Vangelo, non solo per le singole persone, ma soprattutto per le comunità.
La testimonianza, infatti, come la santità, è ultimamente quella della Chiesa.
La storia di santità del cristianesimo cattolico è ricca di testimonianze e ha una geografia che copre tutto il territorio italiano.
Riferirsi a essa, alle sue vicende più significative e ai suoi santi più prestigiosi non manifesta tanto un sentimento di nostalgia o un ripiegamento verso il passato.
Tutt'altro, rappresenta invece un aspetto prezioso della missione da rilanciare.
Nei santi, infatti, ritroviamo incarnati quegli stili di vita e quei modelli culturali che dovremmo nel futuro creativamente reinventare.
Pochi giorni prima della sua elezione a Vescovo di Roma, il Card. Joseph Ratzinger, in una conferenza a Subiaco su L'Europa nella crisi delle culture, ebbe modo di ribadire il bisogno che abbiamo di uomini che, « attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo.
[ … ] Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità.
Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri.
Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini ».
Questo è il profilo del testimone che, sull'esempio della fede di chi ci ha preceduto, continua a raccontare il Vangelo, a incontrare il Risorto, a mostrare la Salvezza: la triade indivisa di Parola, sacramento e vita costituirà anche per il futuro la garanzia che il seme buono del seminatore, caduto nel campo della vita dell'uomo, darà frutto « dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento ».
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