Venite e vedrete |
CCC nn. 595-598 ( vedi pure nn. 574-593 )
Le ragioni storiche della condanna di Gesù sono problema assai dibattuto.
Alcuni vorrebbero vedere dietro ad essa motivazioni puramente politico-sociali: Gesù sarebbe stato condannato perché ritenuto pericoloso per l'ordine pubblico, un sovvertitore della società e un istigatore alla ribellione contro il potere romano.
La proclamazione della messianicità di Gesù, nell'interrogatorio di fronte alle autorità ebraiche di Gerusalemme, sarebbe quindi una forzatura degli evangelisti, preoccupati di dare una lettura religiosa della morte di Gesù e di attenuare la responsabilità del potere romano.
C'è però da osservare che, se altri si sono proclamati Messia senza per questo venire condannati a morte dal Sinedrio, Gesù non si è proposto come Messia in un modo qualunque.
Questa sua proclamazione è infatti collegata a una presa di posizione nei confronti della Legge che, pur rispettosa della tradizione, rivendica alla sua parola una posizione preminente rispetto alla Legge stessa: egli ne propone un'interpretazione che comporta anche la decadenza di alcune sue parti, come quelle concernenti i cibi puri e impuri o quelle che regolano l'osservanza del sabato.
Soprattutto egli si pone al di sopra del tempio e quindi dell'intero ordinamento religioso del tempo.
Sta proprio nel suo atteggiamento verso il tempio il motivo ultimo che spinge gruppi sacerdotali legati all'ambiente sadduceo a prendere l'iniziativa di perseguitarlo.
Il pericolo che questi ambienti legati al tempio vedono nella pretesa messianica di Gesù viene poi tradotto in termini sociali e politici, per proporlo in modo accettabile al tribunale romano, il solo competente per una condanna a morte, obiettivo della loro azione.
A una lettura attenta dei Vangeli è difficile dire se ci fu una vera e propria condanna formale da parte del Sinedrio, ovvero se, dopo un interrogatorio informale e un coinvolgimento anche di altri esponenti del potere ebraico del tempo, tutto fu trasferito di fronte al tribunale romano, in cui si svolse il vero processo che si concluse con una condanna.
Che essa implicasse un risvolto al tempo stesso religioso e politico lo dice anche la sua formulazione: Gesù viene condannato come "Re dei giudei" ( Mc 15,26 ), titolo messianico e al tempo stesso politico.
Il suo proclamarsi Cristo e Figlio di Dio viene giudicato bestemmia e perciò meritevole di condanna ( Mc 14,61-62 ).
Questa ricostruzione degli eventi lascia capire quanto infondato sia, non solo sul piano teologico ma anche sul piano storico, attribuire al popolo ebraico la responsabilità della condanna di Gesù: all'origine dell'opposizione a lui c'è si il suo proclamarsi Messia, ma chi lo condanna è l'autorità romana; coinvolti nel promuovere l'azione contro Gesù sono alcuni gruppi religiosi del tempo, che strumentalizzano la piazza; l'intero popolo non può come tale ritenersi colpevole; tanto meno le responsabilità possono attribuirsi al popolo ebraico in quanto tale.
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