Quale bellezza salverà il mondo? |
Gli apostoli che Gesù invita a salire con sé sul monte, sei giorni dopo l'annuncio di una prossima misteriosa manifestazione del Figlio dell'uomo, ( Mt 17,1 ) portavano con sé le domande sempre più gravi che venivano emergendo nel loro cuore.
Stando con Gesù e imparando a confrontare la loro precedente visione della vita e della storia con quanto egli veniva operando e insegnando, si chiedevano: in che modo questo Maestro, che esercita un così grande fascino, corrisponde alle promesse di Dio per la salvezza del suo popolo?
Come può un uomo così buono e mite mettere ordine in un mondo così cattivo? e che cosa significa il destino di sconfitta e di morte di cui ci sta parlando?. ( Mt 16,21-23 )
Sono le domande che noi cristiani sentiamo riemergere alla fine di questo secolo e di questo millennio: come può la mite bellezza del Crocifisso risorto portare salvezza a questa umanità cinica e crudele?
È l'interrogativo che Dostoevskij metteva in bocca a Ippolit un secolo fa e che riecheggia oggi almeno in diverse forme, a esempio:
nel grande scenario della storia, dove la guerra dei Balcani ha riaperto ferite che almeno in Europa si pensavano rimarginate per sempre;
nella fatica e nella stanchezza che spesso si avverte anche fra i credenti a rendere ragione, con entusiasmo e convinzione, della speranza che è in loro davanti al male del mondo;
nello scoraggiamento che tenta un po' tutti di fronte alla banalità del quotidiano, alle tante forme di bruttezza del vivere, con l'incapacità a leggervi un richiamo a qualcosa di più grande, per cui valga la pena spendersi.
Gli eventi del 1999 nei Balcani hanno come cancellato il giudizio diffuso che il '900 fosse il "secolo breve" ( Eric Hobsbawm ), concluso col fatidico 1989.
Ciò che sembrava irripetibile delle atrocità del Novecento ricompare: guerra, genocidi, distruzioni e morte.
Il secolo che sembrava chiudersi con la crisi delle ideologie si ritrova attraversato da steccati e contrapposizioni ideologiche analoghe a quelle delle due guerre mondiali o dei lunghi decenni della guerra fredda: in questo senso si potrebbe dire che il nostro è "il secolo non più breve", il secolo cioè in cui le ideologie che si credevano finite continuano in realtà a influenzare, con la loro logica di contrapposizioni, le scelte dei singoli e dei popoli, producendo nuove e terribili violenze.
Noi sappiamo infatti che quanto è avvenuto nei Balcani non è che una delle tragedie che segnano tanti altri paesi, soprattutto nell'Africa.
Alle soglie dell'anno giubilare - che siamo invitati a vivere come una contemplazione dello svolgersi del tempo nel seno della Trinità - sembrano dunque tornare le drammatiche domande di sempre, radicate nel dolore umano:
che senso ha la storia?
come Dio si rivela nella tragedia?
perché il Padre delle misericordie sembra tacere davanti alla sofferenza delle sue creature?
perché permette che fra di esse vi sia tanto odio e tanta violenza?
Ciò che sembra imporsi alla meditazione della nostra fede è lo sforzo di coniugare l'oggi del dolore umano all'oggi di Dio Salvatore, di cui il giubileo celebra i 2000 anni dalla nascita nel tempo.
Una lettura sintetica di questi venti secoli, il cui potenziale tragico sembra riassunto nei recenti eventi di guerra, cerca luce nella rivelazione dell'amore trinitario compiutasi nella Pasqua di resurrezione del Crocifisso.
La Pasqua rivela il senso della storia: una storia orientata alla finale vittoria di Dio, di cui la resurrezione del Crocifisso è anticipazione e promessa.
Eppure sembra che nel cuore dei credenti ci sia tanta fatica a render ragione della speranza che è in loro. ( 1 Pt 3,15 )
È quindi urgente ascoltare la parola della vicinanza e della consolazione di Dio, rivelata a Pasqua: è lì che Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito; ( Gv 3,16 ) è lì che il Padre si rivela come amore nel gesto supremo del sacrificio di Gesù. ( 1 Gv 4,8ss )
È davanti a questo amore che ognuno di noi può far sue le parole di Pietro sul monte dinanzi alla rivelazione della Trinità: "È bello per noi stare qui".
È in questo amore rivelato sulla Croce che è possibile riconoscere e indicare a tutti - credenti e non credenti in ricerca - la bellezza che salva e che si offre come luce e forza anche nel frammento frastornante e dolorante del nostro presente.
È nella "contemplazione" del mistero pasquale che intravedo come una "cifra", una chiave di lettura del mio cammino episcopale durante questi venti anni.
Abbiamo voluto esercitarci a contemplare la storia alla luce della Trinità e la Trinità nella trama degli eventi di questo mondo.
Ciò che ci spinge a cercare tanto intensamente la bellezza di Dio rivelata a Pasqua è anche il suo contrario, cioè la negazione della bellezza.
La vera bellezza è negata dovunque il male sembra trionfare, dovunque la violenza e l'odio prendono il posto dell'amore e la sopraffazione quello della giustizia.
Ma la vera bellezza è negata anche dove non c'è più gioia, specialmente là dove il cuore dei credenti sembra essersi arreso all'evidenza del male, dove manca l'entusiasmo della vita di fede e non si irradia più il fervore di chi crede e segue il Signore della storia.
È vero che qualche lettore di buona volontà potrebbe dire a questo punto: ma io, che pur vorrei amare il Signore, sono certo di irradiarlo?
Vi sono talora sofferenze fisiche, psichiche e spirituali che appesantiscono la vita e danno l'impressione di non saper comunicare la gioia del vangelo.
Tuttavia chi legge nel cuore vi scopre una pace di fondo, che è silenziosa testimonianza del senso di una vita donata a Cristo.
Io parlo qui, invece, di quella negazione della bellezza che è spesso sottile e pervasiva e abita la vita di credenti e non credenti:
è la mediocrità che avanza,
il calcolo egoistico che prende il posto della generosità,
l'abitudine ripetitiva e vuota che sostituisce la fedeltà vissuta come continua novità del cuore e della vita.
Come credenti, dovremmo chiederci se la Chiesa che costruiamo ogni giorno è bella e capace di irradiare la bellezza di Dio.
Coloro che si sono impegnati a una mutua fedeltà nell'amore sponsale si domandino se, al di là degli inevitabili pesi della vita, traspare qualcosa della bellezza della reciproca donazione.
Anche i presbiteri e i consacrati si interroghino se a volte l'abitudine o le immancabili disillusioni non abbiano spento l'entusiasmo degli inizi.
Nessuna negazione della bellezza è così triste come quella che proviene da chi con la sua intera vita è stato chiamato a essere il testimone dell'amore crocifisso, e quindi l'apostolo della bellezza che salva.
Prima di concludere questa prima parte sento che un altro interrogativo emerge nel mio cuore.
In quali condizioni i nostri ragazzi e adolescenti sono chiamati oggi a cogliere la bellezza di Dio e della vita secondo il vangelo?
Come possono, in un mondo consumistico, in cui sembra che sia possibile comprare tutto col denaro, non lasciarsi illudere dall'effimero e decidersi invece per ciò che vale e costa sacrificio?
Come far comprendere loro che la vocazione alla bellezza passa per una coraggiosa ascesi della mente e del cuore?
Sono convinto che la "bella testimonianza" ( 1 Tm 6,13 ) di Colui che ha dato la vita per amore di ciascuno di noi, riflessa nelle pagine della Scrittura, assimilata nella lectio divina e incarnata nella vita di tanti testimoni del nostro tempo ( da Padre Kolbe a Gianna Beretta Molla a Madre Teresa di Calcutta… ) è tutt'oggi capace di vincere i condizionamenti del nostro tempo e di entusiasmare per la vera bellezza di Dio.
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