La formazione ecumenica nella Chiesa particolare |
Il problema ecumenico in Italia potrebbe sembrare periferico: i cattolici sono in maggioranza; a Roma ( e quindi in Italia ) avvengono, sì, fatti significativi per la Chiesa universale e si prendono decisioni rilevanti, ma noi - pare - ci limitiamo a « ospitarli ».
Ma non è così.
Il solo fatto di essere maggioranza ( al di là del problema della secolarizzazione che mette in crisi la rilevanza e la effettiva incidenza dei cristiani sulla realtà umana ) comporta maggiore responsabilità nel dare l'esempio e nel precedere altri, quando si tratti della « causa di Dio » e della « causa dell'uomo ».
E anche il fatto di « ospitare » eventi e gesti che animano l'ecumenismo mondiale non permette di restare spettatori, anzi obbliga a coinvolgersi maggiormente.
Anche solo riferendoci al Papa, che è anzitutto Vescovo di Roma, dobbiamo riconoscere che la nostra recente vicenda ecumenica d'Italia è marcata da interventi e gesti profetici.
Basti ricordare la partecipazione di preghiera di Giovanni Paolo II nella Chiesa luterana di Roma, nel dicembre 1983.4
Ma anche altri eventi ci hanno coinvolto.
Uno fra tanti: il simposio delle Chiese d'Europa, terzo dei quattro finora realizzati, espressione dell'incontro fra il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee ( CCEE ) e la Conferenza delle Chiese Europee ( KEK ), che ha avuto luogo a Riva del Garda nel 1984, e si è concluso solennemente nel duomo di Trento con un gesto di riconciliazione davanti al Crocifisso e ha offerto una importante confessione comune della fede niceno-costantinopolitana.5
Di notevole rilievo è stata la riunione a Bari, per due anni consecutivi ( 1986-87 ), della Commissione Internazionale Cattolico-Ortodossa che ha approvato un documento su Chiesa, sacramenti e unità della fede, segnando un passo in avanti nel cammino verso l'unità della Chiesa d'oriente e d'occidente.
A Venezia la Roman Catholic International Commission realizza incontri con confessioni diverse, recentemente, con anglicani e metodisti.
Ultimo in ordine di tempo e particolarmente significativo è l'evento ecumenico di Basilea ( 1989 ) che ha visto l'impegno di tutte le Chiese cristiane del nostro continente ad approfondire tematiche di grande attualità per il futuro dell'uomo e della storia.
La risonanza ampia che questo fatto ha avuto anche in Italia e la volontà di continuare il dialogo avviato in questa occasione dalle delegazioni cattolica ed evangelica del nostro paese è una premessa per promuovere, anche in altri ambiti, ulteriori e feconde vie ecumeniche di dialogo e esemplare collaborazione.
È nella logica di tali fatti che possiamo richiamare l'importanza del convegno ecclesiale di Loreto 1985, con la sua decisione di assumere l'impegno ecumenico come momento integrante della pastorale.6
La nota della CEI, che ne ha tratto un bilancio prospettico, ha potuto dichiarare solennemente: « Perché la comunione ecclesiale sia esperienza di riconciliazione, essa deve nutrirsi di uno stile di dialogo, che sappia congiungere la verità con l'amore.
Emerge così, innanzitutto, l'importanza del dialogo ecumenico, che porta a vivere la tensione carità-verità come espressione dell'amore e della ricerca che si dirige all'unità in Cristo.
L'ecumenismo si presenta così non come una attività fra altre, ma come una dimensione fondamentale di tutte le attività della Chiesa » ( n. 26 ).7
Tutti questi eventi, certamente, non emergono dal nulla.
Prima di essi esisteva già una solida dottrina conciliare che, con il decreto Unitatis redintegratio li fondava e li prevedeva.
Eppure, come d'un colpo, in forza di quei gesti, quella dottrina conciliare è parsa entrare effettivamente in circolo vitale dentro la Chiesa intera, anzi dentro l'intera umanità.
Quegli eventi coinvolgono la Chiesa italiana.
Chi li ha « ospitati » è impegnato a farli maturare, perché portino frutti anche per la vita della Chiesa e della società in Italia.
La situazione in cui oggi ci troviamo, anche in Italia, non permette di isolarci, col pretesto di essere maggioranza e fingendo che non esistano altre realtà religiose.
Veniamo sempre più a contatto con fratelli delle Chiese d'oriente, e con fratelli delle Chiese nate dalla Riforma e con molti cristiani di confessione diversa immigrati nel nostro paese.
Spesso alcuni nuclei di cristiani non cattolici si presentano radicati saldamente nella nostra storia, e con una vivacità di presenza anche teologica e culturale che va molto al di là della loro consistenza numerica.
Dal concilio a oggi, grazie a Dio, registriamo un progressivo miglioramento dei nostri rapporti reciproci; anche se permangono a volte resistenze all'apertura ecumenica e atteggiamenti di rifiuto o di chiusura sia da parte dei fratelli cristiani che di comunità cattoliche.
Problemi di non facile soluzione restano ancora il classico discorso sul proselitismo e la sempre più acuta questione dei matrimoni misti.
A seconda delle regioni e delle diocesi, esiste notevole diversità di rapporto.
Basti pensare alle comunità valdesi nel Piemonte, che da secoli si intrecciano soprattutto con la diocesi di Pinerolo.
In alcune regioni è radicata la presenza di comunità ortodosse alle quali attualmente si aggiungono nuclei della Chiesa copta e ortodossa romena.
Singolarissima, poi, è la situazione delle comunità di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia, che, sempre unite con Roma, mantengono fraterni legami col mondo dell'ortodossia.
Tali esperienze dovrebbero costituire provvidenziali fermenti di promozione della comunione e dello scambio fra tradizioni ecclesiali diverse.
Di fatto anche in Italia il concilio Vaticano II ha destato singolari entusiasmi e fervori sul piano ecumenico.
Basti ricordare che già nel 1966 si costituiva la commissione CEI per l'ecumenismo, la quale si mise subito al lavoro per organizzare incontri e convegni, sia per i teologi che per i pastoralisti.
Tra le iniziative più efficaci vanno ricordate quelle promosse da persone, gruppi e movimenti singoli o di base, in cui l'ecumenismo ha potuto esprimersi in qualità, in intensità e vivacità, come carisma di minoranze profetiche, ma non come forma di vita di comunità e di Chiese.
Anche in questo modo si è venuta costruendo una ricchezza a disposizione della Chiesa italiana.
Si sono moltiplicati i centri operativi o di riflessione teologico-pastorale, le esperienze e le iniziative di contatto e di dialogo, le pubblicazioni; si è potuto, perciò, parlare di un « patrimonio » ( quasi di una « tradizione » ), capitalizzato a beneficio della vita teologico-spirituale-pastorale della Chiesa italiana, cui si potrà ormai attingere con gioia e gratitudine.
Una iniziativa di elevato valore ecumenico è stata la traduzione interconfessionale ( detta anche « in lingua corrente » ) della Bibbia, cui si è legato un rilancio della diffusione del libro sacro, a testimonianza concreta dell'unità fondamentale che già stringe fra loro i cristiani e le Chiese, vale a dire l'unità intorno e sotto la parola di Dio.
La CEI, a sua volta, per quanto le è stato possibile ha cercato di tenere aperte agli aspetti ecumenici le sue proprie iniziative di rinnovamento della catechesi e della liturgia, e i suoi vari piani pastorali.
Riconosciamo umilmente che il cammino percorso è inadeguato
È vero che anche in altre parti del mondo ci si lamenta del fatto che l'ecumenismo non entra ancora pienamente nella vita delle comunità cristiane.
Ma la cosa desta maggiori preoccupazioni quando si tratta di una Chiesa come la nostra così vicina al centro della cattolicità.
Dobbiamo ancora insistere sul piano della informazione e della sensibilizzazione.
Non ci si può permettere di ignorare tuttora il contenuto dei testi ecumenici del concilio; e di restare estranei alla conoscenza di ciò che sono in verità le altre confessioni cristiane ( storia, dottrina, prassi ).
È necessario promuovere una reciproca informazione sulle esperienze ecumeniche che qualificano una crescita costante dell'impegno ecumenico nella nostra Italia, mirando all'ideale di una « cultura ecumenica » diffusa e popolare e di una mentalità ecumenica generalizzata.
Vanno superate soprattutto la scarsa informazione e le scarse sensibilità che ancora si riscontrano proprio in quei settori che dovrebbero qualificare la vita della Chiesa: teologia, predicazione, catechesi, liturgia.
Non ci possono essere ancora seminari, istituti teologici, centri di formazione nei quali non sia promosso l'insegnamento specifico di ecumenismo, e dove le materie continuino a rimanere estranee alla dimensione ecumenica.
Nella predicazione e nella catechesi devono scomparire segni di antichi pregiudizi antiecumenici: devono entrare nella mentalità e nella prassi pastorale i criteri sanciti dal concilio per quanto riguarda
il primato della parola di Dio,
lo spirito biblico,
il nesso profondo tra Antico e Nuovo Testamento,
la riconduzione al mistero trinitario e cristologico nella presentazione della verità della fede,
la valorizzazione del momento liturgico quale « culmine e fonte » di tutta la vita della Chiesa,
la centralità della « comunione » della carità nella pastorale
Dobbiamo prendere coscienza di quanto grande sia il volume delle « cose comuni » che già ci uniscono fra cristiani di Chiese diverse, e che quindi permetterebbero di « fare insieme » già ora molte cose, almeno sul piano pastorale.
Indice |
4 | Nel Discorso alla Curia Romana, citato in nota n. 1, il Papa ricorda esplicitamente la visita alla comunità luterana di Roma del dicembre 1983. |
5 | Il 1° simposio, sul tema Essere uno perché il mondo creda si è tenuto a Chantilly, Francia, nel 1978; il 2° sul tema Chiamati a una sola speranza, a Logum Kloster, Danimarca, nel 1981; il 4° sul tema Venga il tuo regno, a Erfut, Germania Orientale, l'anno 1988. Il tema del simposio di Riva del Garda era Il credo della nostra speranza: il documento finale stato pubblicato in « Studi Ecumenicin », 4 ( 1986 ), pp. 262-280. |
6 | Cf Atti, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, AVE, 1985, pp. 328-337: a Loreto, per la prima volta, una delle Cornmissloni di lavoro è stata dedicata all'ecumenismo. |
7 | Cf Ivi. |