Volto missionario delle parrocchie nel mondo che cambia |
11 Per mantenere il carattere popolare della Chiesa in Italia, la rete capillare delle parrocchie costituisce una risorsa importante, decisiva per il legame degli italiani con la Chiesa cattolica.
Ma ora occorre partire dal radicamento locale per aprirsi a una visione più ampia, che scaturisce dal riconoscere nella Chiesa particolare il contesto teologico proprio della parrocchia.
La radice locale è la nostra forza, perché rende la nostra presenza diffusa e rispondente alle diverse situazioni.
Ma se diventa chiuso particolarismo, si trasforma nel nostro limite, in quanto impedisce di operare insieme, a scapito della nostra incidenza sociale e culturale.
L'attuale organizzazione parrocchiale, che vede spesso piccole e numerose parrocchie disseminate sul territorio, esige un profondo ripensamento.
Occorre però evitare un'operazione di pura "ingegneria ecclesiastica", che rischierebbe di far passare sopra la vita della gente decisioni che non risolverebbero il problema né favorirebbero lo spirito di comunione.
È necessario peraltro che gli interventi di revisione non riguardino solo le piccole parrocchie, ma coinvolgano anche quelle più grandi, tutt'altro che esenti dal rischio del ripiegamento su se stesse.
Tutte devono acquisire la consapevolezza che è finito il tempo della parrocchia autosufficiente.
Per rispondere a queste esigenze la riforma dell'organizzazione parrocchiale in molte diocesi segue una logica prevalentemente "integrativa" e non "aggregativa": se non ci sono ragioni per agire altrimenti, più che sopprimere parrocchie limitrofe accorpandole in una più ampia, si cerca di mettere le parrocchie "in rete" in uno slancio di pastorale d'insieme.
Non viene ignorata la comunità locale, ma si invita ad abitare in modo diverso il territorio, tenendo conto dei mutamenti in atto, della maggiore facilità degli spostamenti, come pure delle domande diversificate rivolte oggi alla Chiesa e della presenza di immigrati, ai quali si rivolgono i centri pastorali etnici che stanno sorgendo in molte città.
Così le nuove forme di comunità potranno lasciar trasparire il servizio concreto all'esistenza cristiana non solo a livello ideale, ma anche esistenziale concreto.
A questo mirano pure i progetti attuati e in via di attuazione in diverse diocesi che vanno sotto il nome di "unità pastorali", in cui l'integrazione prende una forma anche strutturalmente definita.
Con le unità pastorali si vuole non solo rispondere al problema della sempre più evidente diminuzione del clero, lasciando al sacerdote il compito di guida delle comunità cristiane locali, ma soprattutto superare l'incapacità di tante parrocchie ad attuare da sole la loro proposta pastorale.
Qui si deve distinguere tra i gesti essenziali di cui ciascuna comunità non può rimanere priva e la risposta a istanze - in ambiti come carità, lavoro, sanità, scuola, cultura, giovani, famiglie, formazione, ecc. - in ordine alle quali non si potrà non lavorare insieme sul territorio più vasto, scoprire nuove ministerialità, far convergere i progetti.
In questo cammino di collaborazione e corresponsabilità, la comunione tra sacerdoti, diaconi, religiosi e laici, e la loro disponibilità a lavorare insieme costituiscono la premessa necessaria di un modo nuovo di fare pastorale.
La logica "integrativa" non deve reggere solo il rapporto tra le parrocchie, ma ancor prima quello delle parrocchie con la Chiesa particolare.
La parrocchia ha due riferimenti: la diocesi da una parte e il territorio dall'altra.
Il riferimento alla diocesi è primario.
In essa l'unico pastore del popolo di Dio è il vescovo, segno di Cristo pastore.
Il parroco lo rende "in certo modo presente"21 nella parrocchia, nella comunione dell'unico presbiterio.
La missionarietà della parrocchia è legata alla capacità che essa ha di procedere non da sola, ma articolando nel territorio il cammino indicato dagli orientamenti pastorali della diocesi e dai vari interventi del magistero del vescovo.
Ogni parrocchia dovrà volentieri avvalersi degli strumenti pastorali offerti dalla Chiesa diocesana, in particolare dagli uffici e servizi della curia.
Ed è ancora a partire dalla diocesi che religiosi e religiose e altre forme di vita consacrata concorrono con i propri carismi all'elaborazione e all'attuazione dei progetti pastorali e offrono sostegno al servizio parrocchiale, nel dialogo e nella collaborazione.
Un ulteriore livello di integrazione riguarda i movimenti e le nuove realtà ecclesiali, che hanno un ruolo particolare nella sfida ai fenomeni di scristianizzazione e nella risposta alle domande di religiosità, incontrando quindi, nell'ottica della missione, la parrocchia.
La loro natura li colloca a livello diocesano, ma questo non li rende alternativi alle parrocchie.
Sta al vescovo sollecitare la loro convergenza nel cammino pastorale diocesano e al parroco favorirne la presenza nel tessuto comunitario, della cui comunione è responsabile, senza appartenenze privilegiate e senza esclusioni.
In questo contesto il Vescovo non ha solo un compito di coordinamento e integrazione, ma di vera guida della pastorale d'insieme, chiamando tutti a vivere la comunione diocesana e chiedendo a ciascuno di riconoscere la propria parrocchia come presenza concreta e visibile della Chiesa particolare in quel luogo.
La diocesi e la parrocchia favoriranno da parte loro l'ospitalità verso le varie aggregazioni, assicurando la formazione cristiana di tutti e garantendo a ciascuna aggregazione un adeguato cammino formativo rispettoso del suo carisma.
Il rapporto più tradizionale della parrocchia con le diverse associazioni ecclesiali va rinnovato, riconoscendo ad esse spazio per l'agire apostolico e sostegno per il cammino formativo, sollecitando forme opportune di collaborazione.
Va ribadito che l'Azione Cattolica non è un'aggregazione tra le altre ma, per la sua dedizione stabile alla Chiesa diocesana e per la sua collocazione all'interno della parrocchia, deve essere attivamente promossa in ogni parrocchia.
Da essa è lecito attendersi che continui ad essere quella scuola di santità laicale che ha sempre garantito presenze qualificate di laici per il mondo e per la Chiesa.
A questo disegno complessivo diamo il nome di "pastorale integrata", intesa come stile della parrocchia missionaria.
Non c'è missione efficace, se non dentro uno stile di comunione.
Già nei primi tempi della Chiesa la missione si realizzava componendo una pluralità di esperienze e situazioni, di doni e ministeri, che Paolo nella lettera ai Romani presenta come una trama di fraternità per il Signore e il Vangelo ( Rm 16,1-16 ).
La Chiesa non si realizza se non nell'unità della missione.
Questa unità deve farsi visibile anche in una pastorale comune.
Ciò significa realizzare gesti di visibile convergenza, all'interno di percorsi costruiti insieme, poiché la Chiesa non è la scelta di singoli ma un dono dall'alto, in una pluralità di carismi e nell'unità della missione.
La proposta di una "pastorale integrata" mette in luce che la parrocchia di oggi e di domani dovrà concepirsi come un tessuto di relazioni stabili.
Indice |
21 | Lumen Gentium 28 |