Mercoledì, 27 gennaio 1960
Venerabili Fratelli, diletti figli.
La caratteristica singolare del sacerdote cattolico è l'esercizio del ministero pastorale.
Ogni prete è cristiano.
Ma si dice cristiano per sé: e sacerdote per gli altri: christianus cibi: sacerdos aliis.
Non è necessario essere sacerdote per divenire santo.
Anche nello stato laicale vi sono anime eccelse, che nella vita ordinaria, nutrita dalla grazia di Dio, furono seguite, ammirate, conclamate come sante e come tali la S. Chiesa le onora e le esalta.
Ma al sacerdozio non si arriva se non per una vocazione speciale, per un mandato straordinario del Signore che prepara da tempo i suoi eletti e dice a ciascuno: Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech. ( Sal 110,4.9 )
San Paolo nella sua lettera agli Ebrei esprime con accenti incomparabili l'eccellenza del nuovo sacerdozio, il sacerdozio di Cristo la cui virtù e dignità viene distribuita e trasmessa a ciascuno di questi privilegiati, a cui si applicano le parole.
Ex hominibus assumptus pro hominibus constituitur in iis quae sunt ad Deum, ut offerat dona et sacrificia pro peccatis. ( Eb 5,1 )
Per salvare l'uomo, Lui, il Cristo, il Verbo di Dio si è fatto uomo.
Al tempo esatto segnatogli dal Padre, iniziò la sua conversazione sulla terra, cum hominibus conversatus est: ( Bar 3,38 ) per poter meglio compatire alle miserie umane si è rivestito delle miserie umane stesse - di tutte fuorché del peccato - e divenne maestro di celeste dottrina, di pazienza infinita nel sopportare le asprezze della vita, nell'accettare la croce, consumando così l'olocausto di se stesso al Padre, e lasciando in eredità ai suoi più intimi la sua missione, e la continuazione del suo esempio e del suo sacrificio pro peccatis et ad redemptionem totius mundi.
Intimi depositari della sua eredità e della sua grazia di magistero e di continuazione del suo sacrificio, questi prediletti hanno costituito le primizie dell'ordine sacerdotale, e ne costituiscono dopo duemila anni la mirabile perennità di privilegio e di onore.
É di questa perennità che noi godiamo la sublimità ed il beneficio.
Ringraziamo Iddio colla testa chinata nella polvere.
Ora Gesù benedetto nell'istruire da maestro divino i contemporanei della sua vita mortale, - lo sguardo rivolto all'avvenire del mondo intero, rappresentato dalla sua Chiesa, la Chiesa di tutti i secoli e di tutti i popoli, che è quanto dire il suo regno nel tempo e nella eternità -, si serviva di immagini semplici ma vivaci e toccanti.
Ecco, diceva, io sono la vite, voi i tralci, io sono il pane della vita, la via, la verità, la vita: io sono la luce del mondo, io sono la porta del gregge.
Ego sum vitis, vos palmites: ego sum panis vitae - via, veritas et vita - lux mundi - ego sum ostium ovium. ( Gv 15,5; Gv 6,3a; Gv 14,6; Gv 8,12; Gv 10,7 )
E la enumerazione termina col più grazioso dei titoli, che egli diede a se stesso nell'intimo contatto con i suoi, continuatori presignati dell'opera sua.
Ecco: io sono il buon pastore.
Notevole questo particolare.
Le due immagini della porta del gregge: ostium ovium e del: pastor bonus si veggono associate e si rincorrono nelle parabole del linguaggio di Gesù.
Si direbbe persino che una è posta in rapporto con l'altra sino a camminare dello stesso passo; due volte Gesù dice: ego sum ostium, e due volte: ego sum pastor ovium. ( Gv 10,7-9; Gv 10,11-14 )
A Giovanni, il confidente più intimo, questa particolarità non è sfuggita.
La porta si apre e si chiude alle pecorelle - egli scrive - il pastore ne veglia e ne governa l'entrata e l'uscita.
Diletti Fratelli e figli: non è qui dispiegato il mistero del nostro sacerdozio?
Non è la luce del Pastore Divino che si dipinge sul volto di ogni giovane neo levita nell'atto di levarsi dall'altare della sua sacra ordinazione e di iniziare il suo cammino sotto lo sguardo di Gesù, che sta alla porta del gregge, per dove le pecorelle entrano o escono pronte ai cenni di Lui?
Figliuolo di umile e semplice ma onorata famiglia, non ti sei fatto prete ad un cenno di Gesù che ti ha toccato il cuore, forse fino dalla infanzia innocente, e ti ha chiamato al suo sacerdozio?
non è forse perchè tu fossi tutto di Gesù, e venissi a Lui associato nel compimento della dilatazione del suo regno spirituale nel mondo?
Ebbene che cosa accadde in te?
Come mai: dopo le prime prove del tuo sacerdozio pensi ad altro che alle anime da salvare, che al ministero caratteristico per cui il sacerdozio fu istituito: cioè la pastorazione diretta delle anime, regimen animarum?
Eccoci qui innanzi al grave problema del clero Romano.
La Chiesa cattolica è come « castrorum acies ordinata » ( Ct 6,3 ) per la diffusione del regno di Dio.
Nel sacerdozio si dispiegano i vari gradi dell'ordine ecclesiastico: dal giovane prete al coadiutore, al parroco, al Vescovo, e, a Roma e per la Chiesa universale, al Sommo Pontefice.
Così a Roma come dappertutto: e questo va detto per il clero secolare come per il clero regolare.
Di fatto: questo avviene: il carattere centrale di Roma come città di riferimento del mondo intero al capo della Cristianità e alla sede del governo universale ha creato e mantiene delle esigenze di organizzazione del buon lavoro, che assorbono energie sacerdotali molteplici, e determinano distrazioni notevoli del ministero pastorale propriamente detto.
Sono distrazioni tentatrici che inducono sovente al compromesso fra il contatto e l'azione sacerdotale diretta ed immediata colle anime, e l'azione indiretta di servizio della Chiesa, attraverso il veicolo della amministrazione ecclesiastica, pur bene regolata come è, grazie al Signore; o attraverso i vari impieghi di alta portata che, conducendo l'anima sacerdotale sulle vie del mondo, rischiano di inaridire il fervore e la pratica dello zelo pastorale, con pregiudizio delle precise e immediate finalità del sacerdozio cattolico.
Venerabili Fratelli e diletti figliuoli: riconosciamo la dura realtà.
La città di Roma conta circa due milioni di anime.
All'assistenza pastorale di esse sono applicati duecentoventi sacerdoti secolari e trecento settanta regolari: cinquecentonovanta in tutto.
Il che significa: un sacerdote ogni tremilatrecento anime!
Ma a Roma, per ragione di ufficio o di studio, ci sono altri sacerdoti, tanti, tanti: come sacerdoti chiamati tutti, tutti, al ministero pastorale diretto delle anime.
La Santa Chiesa, per altro, per il suo sviluppo, per il suo governo in Roma, per i suoi successi in vista dei beni superiori che interessano il mondo intero, ha bisogno di energie sacerdotali molteplici anche al di là della stretta amministrazione dei Sacramenti.
Essa deve pur tenere in gran conto tutto ciò che è esercizio di insegnamento - ore et calamo - di carità, soprattutto di carità, strenua, apostolica, amplissima, secondo le varie contingenze della vita contemporanea, secondo il precetto del Signore: euntes docete omnes gentes: ( Mt 28,19 ) deve essere egualmente attenta: ad esercitare la sua luminosa e benefica influenza nel buon ordine sociale e internazionale: deve poter contare sopra le varie famiglie religiose regolari in collaborazione col clero secolare, tutte queste famiglie religiose antiche e moderne, maschili e femminili, di vita contemplativa e di vita attiva.
Anche questo, ed altro ed altro che si potrebbe aggiungere, e moltiplicare, potrebbe, dovrebbe essere rivolto a fiamma viva di vita, di zelo pastorale, a collaborazione ordinata e preziosissima della cura delle anime, per la cui salute il mistero della Incarnazione del Verbo, il Vangelo, la Croce e l'Eucaristia, il Nobiscum Deus, hanno luce, significazione e trionfo.
Questa infatti è la Chiesa di Cristo: questa la sua fisionomia la più autentica e la più splendente, questa: è la sua vera gloria.
Appare subito a questi brevi accenni la naturalezza di una distinzione fra, l'azione pastorale diretta ed una azione indiretta, ma con carattere di vera e squisita collaborazione al sacro ministero delle anime.
E qui accade che per ogni sacerdote, specialmente se ancora all'abbrivo della vita - ma anche per anziani già ben stagionati -, per il fatto della povera nostra comune natura umana e non angelica, cioè non prontissima come flamma ignis ad ogni cenno del Signore, accade, ripetiamo, che innanzi alla distinzione fra ministero diretto delle anime e ministero indiretto e di collaborazione si preferisca il secondo al primo, e che il primo ne scapiti in considerazione, e anche il secondo a lungo o breve andare ne perda di vigore.
Per ciò sarà sempre più vantaggioso ai progressi della vita spirituale di ciascuno di noi abituarci al buon apprezzamento di ciò che più vale, di ciò che più vale innanzi a Dio per la felicità vera della nostra vita presente e della futura in aeternum.
Noi sacerdoti dell'Altissimo siamo tutti delle anime privilegiate: ma fin che il Signore ci lascia vivere quaggiù a suo servizio ed a servizio della santa Chiesa e del popolo cristiano, siamo sempre accompagnati da quell'omnis caro foenum di cui ci parlava anche ieri S. Pietro, il nostro primo Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. ( 1 Pt 2,4 )
Questa configurazione della preziosità dei vantaggi della vita pastorale diretta o indiretta per i sacerdoti di Roma ci sia buon ammonimento a scegliere bene e ad apprezzare tutto giustamente.
Può essere stato questo richiamo che ha suggerito agli antichi maestri di cerimonie della Basilica di S. Pietro di sostituire, nella cerimonia della solenne coronazione del nuovo Papa, la stoppa che gli viene abbruciata sotto gli occhi al foenum di cui scrive il Principe degli Apostoli nella lettera sua.
A parte speciali disposizioni di stretta obbedienza ed in ogni caso ( li cercate conformità alla volontà, non nostra, ma di Dio, in materia di vita pastorale diretta o indiretta, come sono facili gli abbagli e le confusioni fra apparenza e realtà!
La semplicità confidenziale di questi colloqui con voi, Nostri dilettissimi sacerdoti collaboratori nel compito di Vescovo di Roma, Ci permette, a titolo di sollievo innocente del nostro conversare, di ricordarvi tre forti impressioni che avemmo giusto qui in S. Pietro, rimaste profonde nella Nostra vita.
La prima è d'una sera di gennaio del 1905 per una Beatificazione.
Basilica Vaticana in vivacissimo splendore, nobili personaggi, folla lietissima e plaudente, e in alto sullo sfondo dell'abside nella gloria del Bernini la figura squallida ma dagli occhi rapiti in gloria di beatitudine celeste del B. Giovanni Battista Vianney, il Curato d'Ars, proclamato Santo alcuni anni dopo.
Sul Nostro spirito di giovanissimo sacerdote, quella visione Ci stava ad indicare ciò che veramente è prezioso nella vita sacerdotale, ciò che è più prezioso: e non la dimenticammo mai.
Più volte Ci recammo ad Ars a venerare il corpo benedetto di quel grande, a cui pochi mesi or sono, nel centenario della sua morte, godemmo di poter offrire con l'Enciclica « Sacerdotii Nostri primordia » un elogio della sua virtù pastorale ad edificazione del mondo intero.
Altra impressione: del 1903 il 9 agosto: la cerimonia della Incoronazione del nuovo Papa S. Pio X in S. Pietro.
L'imponenza del trionfo pontificale che si avviava, subì un primo momento di commossa delusione per chi era stato abituato ai rari ingressi di Papa Leone ultranovantenne, erigentesi ancora con sforzo sopra l'età cadente, a salutare ed a benedire la folla entusiasta.
Papa Sarto veniva dalla campagna Trevigiana; in grande demissione di spirito, e pensoso in volto.
Il corteo ad un certo punto si arrestò alquanto.
Al triplice gesto del prelato che, bruciando la stoppa innanzi agli occhi del Papa, ripete a tre riprese le parole: Sic transit gloria mundi, tutti videro quella faccia grave e solenne piegarsi, quasi come a dire barcollando « questa è la grande e austera dignità del pontificato ».
Il fasto e l'onore esteriore perdono qui molto del loro valore.
Ciò che veramente conta sono i passi del pastore di anime fatti fino a quel momento, da Tombolo, a Salzano, a Treviso, a Mantova, a Venezia sino ad arrivare a questo punto, per riprendere più che mai la lena affannata del pastore nella custodia del gregge, nella ricerca insaziata delle anime che Cristo redense nel Sangue suo.
L'ultima impressione fu quella del 4 novembre di due anni or sono, quando l'umile prete venuto anche lui dalla campagna e dalla successione del Santo patriarca di Venezia, si trovò per la prima volta come trasfigurato nel bagliore della devozione e dell'entusiasmo della folla.
Fra quel fervore ad un certo punto il corteo si arrestò per dar tempo al rito, anche per lui, dell'asta alzata e della stoppa incandescente e crepitante al triplice monito: che si univa al senso della sua personale indegnità, non mai così vivo e sincero come in quel momento: Pater sancte: sic transit gloria mundi.
Vi possiamo dire, venerabili Fratelli e diletti figli, come lo spirito riprese la sua calma quando il corteo rivoltosi a sinistra e soffermatosi alquanto presso la tomba di Papa Pio VII - quale storia anche la sua, quale insegnamento!
- Ci permise di scorgere a pochi passi di là l'altare del Santo Pontefice Gregorio Magno, familiare, dai giovani anni, alla Nostra anima e alla Nostra devozione.
Fu una sorpresa inaspettata e rasserenante.
Avviati verso la tomba di S. Pietro, primo Vicario di Cristo e primo Vescovo di Roma, sentimmo come se Ci venisse mandato da Lui, ad incontrarCi ed a farCi coraggio, uno dei suoi più illustri successori sulla Cattedra apostolica, S. Gregorio Magno.
Pontefice Romano grande fra i più grandi, tutto ispirato nella sua vita e nei suoi insegnamenti a mettere in valore il carattere sacro e prevalente del ministero pastorale per ogni sacerdote della Chiesa di Dio, in una partecipazione diretta o indiretta, ma reale, ma sincera, ma fedele di tutti i sacerdoti dell'Urbe, come del resto per tutti i sacerdoti dell'orbe.
É giusto a Papa Gregorio I che il clero cattolico, dal secolo VI in poi, deve il codice più prezioso, dopo il Vangelo di Gesù e le Lettere Apostoliche, del governo pastorale in santificazione delle anime sacerdotali, e a direzione dei fedeli.
Questo piccolo libro, conosciutissimo in tutte le letterature ecclesiastiche, Regula Pastoralis S. Gregorii Magni ( 590-604 ),9 Ci tiene buona compagnia da quasi mezzo secolo, e Ci procura gioie ineffabili a rileggerlo in tutte le circostanze della vita.
Esso insegna ai Vescovi ed ai sacerdoti - a tutti i Vescovi e a tutti i sacerdoti - qualiter vivant e qualiter doceant -.
Può servire come specchio circa la conformità della propria vita al modello proposto dal santo Papa.
Nell'immenso lavoro di riorganizzazione della Chiesa, sotto i Carolingi, durante e dopo l'assestamento delle nuove strutture umane occorreva non solo stabilire una legislazione canonica, mettere al punto i libri liturgici, preparare un buon testo delle Sante Scritture - ciò che Alcuino potè realizzare - ma soprattutto insegnare nuovi metodi di apostolato pastorale, e più ancora una vera dottrina di buon governo spirituale e di educazione dello spirito.
Ciò già aveva compiuto a beneficio dell'Occidente S. Gregorio Magno, insegnando al clero Franco le vie più sicure per ristorare la Chiesa.
La voce discreta del grande Papa continua ancora per lungo tempo a farsi sentire e a dispensare largamente le lezioni del suo insegnamento e le virtù del suo esempio.
Sta bene ricordare che il Santo Papa Pio X, nel centenario della morte di S. Gregorio Magno ( 1904 ) all'inizio del suo Pontificato, nella sua stupenda Enciclica « Iucunda sane », raccomandava con grande elogio le lettura della Regula Pastoralis perchè ad Cleri salubrem institutionem et ad sacrorum, Antistitum regimen ( ibi ) normae traduntur, non iis modo temporibus, sed etiam nostris aptissimae.10
Nella letteratura patristica Orientale vi è la II Oratio di S. Gregorio di Nazianzo11 e il trattato De Sacerdotio di S. Giovanni Crisostomo, degne del confronto con la Regula Pastoralis.
Come Ci piace rendere omaggio a S. Giovanni Crisostomo proprio oggi nella festa sua!
Questi sono i due grandi dottori della Chiesa Orientale le cui spoglie sono venerate qui nella Basilica di S. Pietro in due altari come a far nobile compagnia al grande Papa Romano che li seguì a parecchi anni di distanza.
Certo il nostro Gregorio conobbe l'Oratio del Nazianzeno, da cui dovette prendere la celebre formula: Ars artium regimen animarum.
A Noi è gradita l'occasione di richiamare il Nostro dilettissimo clero a queste sorgenti dell'antica letteratura cristiana, così ricche di orizzonti e di indirizzi di ministero pastorale.
E avviando al termine questo Nostro terzo colloquio Ci sentiamo inspirati a rivolgere con amorevole istanza la Nostra preghiera a tutti i sacerdoti di Roma a tutti e a ciascuno senza eccezione.
La distinzione delle attribuzioni personali circa la linea principale della attività propria di ciascuno a Roma è evidente.
La Curia da una parte e la diocesi dall'altra.
Ma il Sacerdozio comune tutti unisce e tutti ispira.
È ben naturale che non si debbano trascurare, né affievolire i doveri del proprio ufficio in Curia per abbandonarsi ad effusioni di carattere pastorale eccedenti la giusta misura.
Gli addetti ai grandi uffici ecclesiastici sappiano che, attendendo diligentemente ai doveri loro caratteristici, anche se non direttamente impegnati nella cura immediata delle anime, tuttavia compiono una vera opera di apostolato, la quale se talvolta può essere meno gradevole, non per ciò è meno utile alla Chiesa o meno meritoria.
E dall'altra parte chi attende al ministero pastorale con la direzione o con la collaborazione laboriosa, esemplare e sempre amabile e paziente, resti pure nel suo campo di azione, non si occupi di imprese secolaresche, eviti ogni singolarità che turbi la edificazione che ogni sacerdote è in obbligo di dare ai fedeli.
Il decreto del Tridentino13 circa la condotta del clero è sempre là colla sua insistenza inesorabile: ma tanto significativa, preziosa e cara.
Il cunctis afferre venerationem resta pur sempre la gloria dei tempi migliori, e ne siamo ben sicuri, la gloria presente e futura del Clero Romano.
Fra le grazie che il Signore si è degnato di concedere alla Nostra umile vita, dal primo apparire nell'infanzia all'ora del vespero già inoltrata, questa della attrazione viva e insistente dello spirito verso la visione di Gesù Buon Pastore è certo la grazia prima e la più preziosa.
Essa quasi Ci assicura che anche il nostro ritorno al Padre avverrà in questo lucis … terminu a, o non senza questo.
Per ogni sacerdote la tenerezza di cui il X capitolo di S. Giovanni è soffusa, esercita un tale fascino che il resistervi o il discostarsene può pregiudicare la sua eterna salvezza e felicità.
Amen, amen: dico vobis, qui intrat per ostium pastor est ovium.
Ecco la porta che si apre, ecco il pastore che conosce tutte le sue pecorelle e le chiama per nome.
Diletti parroci: attenti vi preghiamo alla statistica bene accurata e ben seguita: impegno importantissimo per il governo di una parrocchia.
Le pecorelle corrono dietro al pastore che va innanzi a loro: la compagnia del pastore dà loro sicurezza contro ogni pericolo.
Ego sum ostium.
Per me si quis introierit salvabitur: et ingredietur et egredietur et pascua inveniet.
Ego ceni ut vitam habeant et abundantius habeant.
Vi faccio grazia delle espressioni dure che si frammischiano alle dolci: cioè quelle circa il pastore mercenario per esempio, che è entrato alla parrocchia, ma che, all'avanzarsi del lupo rapace e minaccioso, dorme o scappa, piuttosto che gridare all'invasore, o impegnarsi a combatterlo e farsi aiutare.
Il mercenario non ha cuore, non ha interesse per le sue pecorelle.
Oh! Venerati Fratelli e diletti figlioli, a svegliarci, a darci conforto, ecco che Gesù ripete la sua affermazione: una, due, tre volte: Ego sum pastor bonus.
Tale ripetizione è un invito per noi e un monito a cogliere il suo esempio, a moltiplicare i nostri sacrifici, come Lui dà la vita - come l'ha data veramente sulla croce, e continua a darla misticamente nel suo Sacramento di amore - lui, Gesù: veramente pastor bonus, pastor vigilans, pastor pius.
Singolare, verso il termine della parabola del Buon Pastore, la continuazione delle affermazioni e infine il richiamo al Padre, e nella luce del Padre l'allargarsi dell'orizzonte.
Il Padre mi conosce e mi segue come io lo conosco e vivo in lui.
Il Padre mi ama: perché io do la vita per le mie pecorelle.
Gesù dà infine un ultimo tocco: non sono tutte qui le mie pecorelle.
Oh! ve ne sono altre che non appartengono al mio ovile: ma anche quelle io le voglio e le debbo condurre a me: e, assicuro, ascolteranno la mia voce e si farà un solo ovile ed un solo pastore.
Audient vocem et fiet unum, ovile et unus pastor. ( Cfr. Gv 10,1-18 )
Che gioia per Noi nell'assicurazione così netta e così decisa che questo avverrà!
Audient vocem, et fiet unuìn ovile et unus pastor.
Questa pagina è una nuova irradiazione di luce celeste che si apre sopra il mondo missionario e quasi la prospettiva annunziante i primi albori del prossimo Concilio Ecumenico, che già sta sollevando sospiri ansiosi e palpiti di misteriosa aspettazione in tutto il mondo.
Soprattutto e certamente, può essere ben riferita al nostro sacerdozio, a quanti vivono qui sulle rive del Tevere, onorati di appartenere al Clero Romano o di collaborare con esso: a quanti fra di noi si occupano delle anime in senso pastorale, immediato e diretto ed in speciale familiarità col Sommo Pontefice, Vescovo di Roma.
Può ben essere riferita a quanti singolarmente applicati - dai gradi più alti della Prelatura ai più modesti e non meno laboriosi servigi della vasta amministrazione della Chiesa Universale nelle varie Sacre Congregazioni o nei molteplici Istituti Religiosi - sono partecipi della sollicitudo omnium Ecclesiarum, che ha per suo Capo Augusto e centro il Santo Padre come Christi Vicarius.
Tutta questa turba magna risultante ex omnibus gentibus et tribubus et populis et linguis, appare come immersa ed accesa dalla stessa luce di Gesù, il Pastore Divino, il Salvatore del mondo.
Eminentissimi e carissimi Signori Cardinali: a voi il Nostro commosso e fraterno saluto.
Colla vostra nobile presenza, e col tratto della vostra dolce maestà, voi avete edificato tutto il clero e il buon popolo di Roma.
Amiamo salutare con voi anche i vostri Colleghi che i malanni della stagione trattennero in doveroso riguardo alla loro salute.
Anche la loro pena di non esser qui fu merito e contributo di benedizioni per noi.
Questo nostro convegno ecclesiastico, che sarà salutato come il Primo Sinodo della diocesi ( di Roma, per vari titoli, con la grazia del Signore, sta per riuscire il più solenne in riferimento ad una diocesi, alla prima diocesi, perchè diocesi di S. Pietro, e, forse il più completo della storia della Chiesa Cattolica nel mondo.
Deo gratias et Deo gloriam.
Venerabili Fratelli e diletti figli!
Non sappiamo dirvi di quanto godimento spirituale Ci siano stati motivo questi incontri, questi semplici colloqui fra noi.
Ci lasciano vivo il desiderio di poterli rinnovare a manifestazione dell'interesse con cui il cuore del Padre ama tenersi in contatto con quanti nella diocesi di Roma sono i compartecipi, ciascuno per la parte sua, del ministero pastorale delle anime.
Facciamoci coraggio.
Benedictus Dominus per singulos dies.
Portat onera nostra Deus, salus nostra. ( Sal 68,11 )
La figura di Gesù, il buon Pastore Divino, ci sia sempre innanzi agli occhi nella lettura del Vangelo, così come la presenza sacramentale e viva del suo Corpo e del suo Sangue: vere cibus, vere potus, ci mantiene la grazia, che ci salva dall'errore e dal male, e anche fra le ansietà e le mortificazioni della vita resta sorgente di quella letizia, interiore, che giustamente si può chiamare godimento iniziale della gloria futura: Bone Pastor, panis vere - lesa, nostri miserere - Tu nos pasce, nos tuere - Tu nos bona fac videre - In terra viventium16
9 | Migne, PL, 77, 13-128 |
10 | Acta Pii X, vol. I, 1905, p. 206 |
11 | Migne, PG, 35, 407,514 |
13 | Sess. XXII, De Reform |
16 | Sequent. S. Thomae Aq. in Festo Corp. Christi |