27 ottobre 1968
Per noi, per tutta la Chiesa, oggi è festa di Cristo Re.
È una festa dal titolo facile, ma dal contenuto, dottrinale e spirituale, difficile.
Difficile per la ambivalenza del titolo, che può riferirsi a questo mondo terreno e temporale, che invece il Signore riferì al regno dei cieli, cioè ad
un ordine diverso e superiore, definito dal nuovo rapporto, da Lui instaurato, fra l'uomo e Dio,
un ordine che ha il suo fondamento nell'interno delle coscienze, che si riflette, per illuminarlo e sostenerlo anche sul regno del mondo esteriore,
e che avrà il suo epilogo glorioso e risolutivo nell'ultimo giorno, al di là della storia e del tempo presente.
Difficile, figli carissimi, anche perché la regalità comporta una sintesi; è principio, è centro, è vertice, è fonte, è legge, è termine.
La regalità di Cristo è, nella sfera sua propria, tutto questo.
E con caratteri suoi propri, dove i valori dello spirito, la verità e l'amore, la fede cioè e la carità, sono principii costituzionali, e dove l'azione misteriosa di Dio nella nostra vita, nella nostra storia, si fa così presente e così operante da penetrare e guidare e risolvere in sé tutta la nostra libera, ma debole e vacillante azione.
Difficile, diciamo, perché la regalità di Cristo è il disegno divino, è il mistero rivelato del Vangelo e della Chiesa che ne deriva.
Ma Gesù vi ha tessuto la sua predicazione, che appunto è il messaggio sul regno dei cieli, e vi ha dato la sua passione come testimonianza suprema, condannato, come fu, quale Re del Popolo eletto.
Segno che bisogna insistere su questo concetto, se si vuole comprendere qualche cosa del piano divino della nostra salvezza, e che bisogna mettersi al seguito e al servizio del Re divino, se vogliamo essere uomini salvi e cristiani fedeli.
Beato chi comprende.
Beato chi dà alla propria vita il senso d'un'adesione a Cristo, alfa e omega della storia umana, e si fa apostolo del suo regno.
Ci aiuti Maria, la Madre del grande Re, la nostra celeste Regina.