3 novembre 1968
La pace nel Viet-Nam è diventata l'ansia del mondo e dovrebbe essere il simbolo di tempi nuovi, quando la forza non deciderà più dei rapporti fra i popoli, né le ideologie della potenza, della rivoluzione e dell'esclusivismo totalitario domineranno la filosofia e la politica delle nazioni, che sono ormai membri di un'unica umanità.
La pace esige non solo la tregua e la rinuncia delle armi, ma la trasformazione degli spiriti secondo i principii superiori
della ragione,
della giustizia,
della libertà;
e anche questi non basteranno forse a garantire una vera concordia fra gli uomini se non saranno integrati da quelli, così veri e così alti,
della fratellanza,
del perdono reciproco,
della collaborazione leale,
dell'amore insomma;
principi questi che da Cristo derivano la loro umanissima logica e la loro applicabilità per tutti benefica e onorevole.
Anche Noi abbiamo fatto quanto Ci era possibile per questa auspicata pace.
Ma purtroppo non sembra che i sentimenti risolutivi che la rendono effettiva siano maturi negli animi di tutti.
La pace è lenta; appunto perché suppone una evoluzione spirituale, un'educazione superiore, una visione nuova della storia umana.
E tutti dobbiamo favorire questa progressiva e collettiva abilitazione alla pace, che, come sempre si è detto,
non è debolezza vile ed imbelle,
non è indifferenza ai valori non rinunciabili della giustizia e della libertà,
ma è piuttosto un senso più profondo e un'esigenza incontrovertibile di questi valori,
che devono essere ormai acquisiti e intangibili nella coscienza dell'umanità e nella continua dialettica degli avvenimenti culturali, politici e storici.
Possiamo favorirla questa pedagogia della pace, estendendo la considerazione anche alle altre piaghe di cui geme e sanguina l'umanità; possiamo acquisirla ricordando in questi giorni gli anniversari conclusivi della prima guerra mondiale; e possiamo, dobbiamo anzi favorirla, invocando dal Dio della pace il dono e l'energia per attuarla.
Ecco l'intenzione della nostra preghiera, oggi.