20 dicembre 1970
Vuol dire pace con Dio, col Quale Cristo ci ha riconciliati; e vuol dire pace interiore, dentro di noi stessi, nelle coscienze, nei cuori: l'abbiamo noi questa pace?
Vuol dire: pace nelle famiglie.
Non è il Natale la festa dell'intimità domestica?
La pace dei focolari uniti, buoni e concordi, nella gioia e nella virtù dell'amore?
Vuol dire: pace sociale.
Non siamo tutti fratelli?
Perché la giustizia e l'ordine non potrebbero essere raggiunti per via di questa fondamentale fratellanza, piuttosto che con la lotta e l'odio fra le categorie di una medesima società?
Vuol dire ancora: pace fra le nazioni, della quale abbiamo ancora, dopo l'ultima guerra mondiale, l'alto e ansioso ideale, ma lo andiamo tradendo e perdendo,
con nuove e interminabili guerre locali,
con la gara di armamenti sempre più costosi e formidabili,
con l'insorgenza delle ideologie irriducibilmente avversarie, dei razzismi esclusivisti ed egoisti
e con il facile ricorso all'oppressione e alla violenza.
Per questa pace internazionale dobbiamo oggi particolarmente pregare.
Le vicende della vita internazionale sono diventate oggetto di interesse appassionato dell'opinione pubblica mondiale, anche in Paesi estranei ai conflitti che turbano altre Nazioni.
Si avverte e si provoca una solidarietà, che va oltre i confini geografici e politici:
questo fenomeno deve per noi cristiani risolversi in un accrescimento di amore per tutti, per quelli specialmente che soffrono, vicini o lontani che siano;
dobbiamo per tutti implorare la pace, con i beni che la precedono e la seguono: la libertà, la giustizia, il benessere, la concordia.
Implorare la pace vera, la pace di quel Cristo, di cui celebriamo il Natale.
Preghiamo dunque, perché il Natale è festa di pace.