6 giugno 1971
Per i fedeli, che hanno seguito con animo recettivo, - cioè aperto a ricevere e ad assimilare -, e con animo attivo, - cioè pronto a tradurre in concreta esperienza di vita -, il grande ciclo liturgico delle feste, ora concluse, inerenti ai misteri del Signore, Incarnazione e Redenzione, si pone la domanda circa il risultato pratico, personale e comunitario, di tutta questa lunga e complessa celebrazione;
il risultato qual è?
Quale dovrebbe essere?
Noi, educati dalla scuola della preghiera e della grazia, alla fine come ci dovremmo trovare?
La risposta può essere condensata in una semplice conclusione: noi dovremmo sentirci personalmente più buoni, e socialmente più uniti.
Il risultato della nostra religione celebrata e vissuta dovrebbe essere la « comunione dei santi », cioè la formazione di un « corpo mistico », di una fratellanza spirituale e reale, di una solidarietà collettiva e superiore, che si chiama la Chiesa viva.
Se siamo stati fedeli al tirocinio liturgico, dobbiamo sentirci più personalmente partecipi della carità che ci fa una cosa sola in Cristo.
Questa urgenza di unità fra credenti e associati al Pastore, che è Cristo, deve essere accolta da chi è stato introdotto nel cuore delle sue intenzioni, non per smentire la conquista liberatrice da Lui a noi conferita, ma per integrare la nostra libertà cristiana nel senso di verità e di responsabilità, che deve dirigere ed esaltare il suo impiego.
All'istinto egoistico, centrifugo e antisociale, che sempre ci stimola, e oggi spesso ci fraziona in tanti gruppi, separati, autonomi e divergenti - anche talvolta in seno alla Chiesa -, dovrebbe succedere una cosciente tendenza alla solidarietà, al servizio, all'unione, all'amore.
Noi lo dicevamo anche nella Nostra recente Lettera apostolica, commemorativa della Rerum novarum; e lo ripetiamo ancora: bisogna « impegnarsi e prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute » ( Octogesima adveniens, 47 ).
E ciò sia per nostra fedeltà alla iniziazione cristiana, ricordata e rivissuta nel recente ciclo pasquale, e per la nostra autentica professione cattolica.