29 giugno 1972
I Romani d'una volta, nella festa odierna usavano venire a San Pietro per ascoltare l'antico inno di S. Paolino d'Aquileia ( del nono secolo ), che celebrava la gloria spirituale dell'Urbe con la famosa apostrofe:
O Roma felix!, o Roma felice, perché imporporata dal sangue dei martiri, tra i quali i più eccelsi i due principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, e perché per loro merito sei diventata splendida in tutto il mondo.
La musica ottocentesca del Raimondi piaceva allora ai gusti del tempo; e la festa religiosa diventava festa di popolo.
L'inno rimane nel breviario col suo enfatico saluto, anche se la musica rimane forse solo nei ricordi; ed è sempre di attualità: O felice Te, o Roma!
Questo è ancora vero, se si vuol credere alla storia, sempre viva nei pensieri eruditi e nei cuori fedeli.
I quali si augurano sempre di poter ripetere questo saluto, questo elogio per la nostra Città privilegiata, desiderandolo vero nei fatti: Roma, se vuole essere beata, deve essere fedele a se stessa, per la sua formazione religiosa, per la sua coscienza cattolica, cioè universale, per la sua dignità morale.
Non indarno Pietro e Paolo, che possiamo dire le prime colonne fondamentali della cristianità, hanno dato a Roma la testimonianza del loro ministero apostolico e del loro martirio;
un impegno perenne ne deriva ai Romani d'ogni secolo, e più che mai a quelli del nostro,
di conservare all'Urbe il suo volto spirituale, nella fede e
nel costume specialmente, e di qualificare cristianamente la sua caratteristica fisionomia,
non profanata dalle bassezze, che oggi il decadente agnosticismo etico rende pur troppo tanto facili e comuni.
A chi tocca difendere la bellezza morale di Roma?
A noi Romani, a noi cristiani specialmente, facendo del culto dei due grandi apostoli, oggi commemorati, lo scudo nobile di difesa e la sorgente di autentica consapevolezza civile e religiosa del suo immortale decoro.
E la regina degli Apostoli merita d'essere invocata a questo scopo.