3 febbraio 2013
Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di oggi - tratto dal capitolo quarto di san Luca - è la prosecuzione di quello di domenica scorsa.
Ci troviamo ancora nella sinagoga di Nazaret, il paese dove Gesù è cresciuto e dove tutti conoscono lui e la sua famiglia.
Ora, dopo un periodo di assenza, Egli è ritornato in un modo nuovo: durante la liturgia del sabato legge una profezia di Isaia sul Messia e ne annuncia il compimento, lasciando intendere che quella parola si riferisce a Lui, che Isaia ha parlato di Lui.
Questo fatto suscita lo sconcerto dei nazaretani: da una parte, « tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca » ( Lc 4,22 ); san Marco riferisce che molti dicevano: « Da dove gli vengono queste cose?
E che sapienza è quella che gli è stata data? » ( Mc 6,2 ).
D'altra parte, però, i suoi compaesani lo conoscono troppo bene: È uno come noi - dicono -.
La sua pretesa non può essere che una presunzione » ( cfr L'infanzia di Gesù, 11 ).
« Non è costui il figlio di Giuseppe? » ( Lc 4,22 ), come dire: un carpentiere di Nazaret, quali aspirazioni può avere?
Proprio conoscendo questa chiusura, che conferma il proverbio « nessun profeta è bene accetto nella sua patria », Gesù rivolge alla gente, nella sinagoga, parole che suonano come una provocazione.
Cita due miracoli compiuti dai grandi profeti Elia ed Eliseo in favore di persone non israelite, per dimostrare che a volte c'è più fede al di fuori d'Israele.
A quel punto la reazione è unanime: tutti si alzano e lo cacciano fuori, e cercano persino di buttarlo giù da un precipizio, ma Egli, con calma sovrana, passa in mezzo alla gente inferocita e se ne va.
A questo punto viene spontaneo chiedersi: come mai Gesù ha voluto provocare questa rottura?
All'inizio la gente era ammirata di lui, e forse avrebbe potuto ottenere un certo consenso …
Ma proprio questo è il punto: Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma - come dirà alla fine a Pilato - per « dare testimonianza alla verità » ( Gv 18,37 ).
Il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona.
È vero che Gesù è il profeta dell'amore, ma l'amore ha la sua verità.
Anzi, amore e verità sono due nomi della stessa realtà, due nomi di Dio.
Nella liturgia odierna risuonano anche queste parole di san Paolo: « La carità … non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità » ( 1 Cor 13,4-6 ).
Credere in Dio significa rinunciare ai propri pregiudizi e accogliere il volto concreto in cui Lui si è rivelato: l'uomo Gesù di Nazaret.
E questa via conduce anche a riconoscerlo e a servirlo negli altri.
In questo è illuminante l'atteggiamento di Maria.
Chi più di lei ebbe familiarità con l'umanità di Gesù?
Ma non ne fu mai scandalizzata come i compaesani di Nazaret.
Ella custodiva nel suo cuore il mistero e seppe accoglierlo sempre di più e sempre di nuovo, nel cammino della fede, fino alla notte della Croce e alla piena luce della Risurrezione.
Maria aiuti anche noi a percorrere con fedeltà e con gioia questo cammino.