Giovedì, 26 maggio 1960
Solennità dell'Ascensione di Nostro Signore Basilica Lateranense
Venerabili Fratelli e diletti figli!
Al rito solenne che stiamo celebrando conviene l'ornamento di alcune parole appropriate alla straordinaria circostanza.
Ve le rivolgiamo con la consueta semplicità di accento che sappiamo non riuscirvi discara.
Queste parole vogliono essere un tocco di buona, incoraggiante ed edificante dottrina.
1) Innanzitutto sul mistero dell'Ascensione di cui S. Luca ci fa leggere nel libro suo Actus Apostolorum i tratti vivaci e sublimi:
2) sulle schiere dei Santi ascendenti con Cristo lungo i secoli ed associati con Lui alla partecipazione della gloria celeste:
3) sul loro convenire oggi particolarmente esultanti presso il trono di Dio nel festeggiare la introduzione di S. Gregorio Barbarigo nelle sfere più alte della esaltazione di cui la Chiesa ama circondare, dopo questa vita, i suoi figli insigni, ad esempio ed a protezione del popolo cristiano.
Contempliamo dunque innanzitutto il grande mistero dell'Ascensione di Nostro Signore.
É bello, è delizioso per il nostro spirito che la più solenne celebrazione di questo mistero appartenga, per speciale privilegio, a questa basilica Costantiniana, cattedrale di Roma.
Il Pontefice suo tra i più insigni, S. Gregorio, la chiamava la basilica d'oro, aurea basilica, dedicata al Ss.mo Salvatore, e già dagli antichi tempi conclamata e « tutte le chiese di Roma e del mondo madre e capo - urbis et orbis omnium ecclesiarum mater et caput ».
Sì: il rito conviene al tempio.
E il tempio del Laterano fiammeggia della gloria e del trionfo finale di Gesù: via, veritas et vita: mundi Salvator: in aeternum.
Della storia e dell'opera redentrice di Gesù certo l'avvenimento più sacro è la Risurrezione: la festività più alta e gloriosa è la Pasqua.
Ma è ben naturale che suggellata la vittoria della vita sulla morte, a redenzione compiuta, il Verbo Divino fatto uomo tornasse trionfante al Padre a mostrargli nel corpo glorificato i segni del suo trionfo, e a dare inizio alla nuova storia dei rapporti rappacificati fra Cielo e terra col perdono di Dio, dopo la espiazione della Croce e del Sangue.
L'antifona infatti, che ricorre nella odierna salmodia, è il profeta Davide che la ispira: A summo caelo egressio eius, et occursus eius usque ad summum eius1.
Dalla divina sommità del cielo egli discese sul mondo per redimerlo e per salvarlo: ad opera di misericordia e di pietà consumata, Gesù riascende al seno del Padre donde era provenuto.
Che grande mistero è questo!
La vittoriosa riconquista di tutto il genere umano alla diretta dominazione di Chi l'avea creato: riconquista fatta splendente di luce evangelica, e di sangue divino sparso a nuova ricostruzione intima per ogni anima credente, e di nuovo ordine sociale nella successione dei popoli e dei secoli eterni: prodigio di potenza, prodigio di gloria per Gesù Salvatore: dei secoli e dei popoli re glorioso ed immortale!
Dal suo primo apparire nel seno verginale di Maria, e poi fra i vagiti e i sorrisi a Betlemme, dai silenzi e dal nascondimento umile e laborioso dei trent'anni, dall'annunzio dell'evangelium regni attraverso la Galilea e la Giudea, e infine dal tragico epilogo della Passione fino ai chiarori vittoriosi della Risurrezione, fino a questa ammirabile Ascensione che accende di luce superna i nostri occhi e penetra di grazia esultante i cuori:
oh! che successione stupenda ed ineffabile - diletti Fratelli e figli - d'avvenimenti;
oh ! che variazione inattesa di aspetti iridescenti dell'intima comunicazione del divino con l'umano, del cielo con la terra!
Ancora un istante, ancora un tocco nella contemplazione di questo quadro sublime.
All'arrivo di Gesù in cielo, egli adempie le sue promesse.
Ecco lo Spirito Santo nei bagliori delle lingue di fuoco posate sulle teste dei convenuti nel Cenacolo, in atto di operare nei petti quella fecondazione di grazia, da cui balza la Santa Chiesa nella sua distinta fisionomia di società soprannaturale e gerarchica, introducendola nella sua storia di regno di Dio militante sulla terra, perchè si evolva, poi, in purgante oltre la tomba e finalmente trionfante in cielo.
Diletti Fratelli e figliuoli!
É da questo vertice che la luce dell'Ascensione si irradia di un secondo aspetto di provvidenza divina a beneficio della umanità rigenerata: un nuovo incanto, un prodigio ineffabile di grazia e di gloria.
Con Gesù che ascende alla destra del Padre si aprono le vie dei cieli per i figli dell'uomo, ormai riassunto alla sua primitiva destinazione di creatura spirituale riservata ai beni eterni.
Già S. Matteo, il primo degli Evangelisti, aveva raccontato che al morire di Gesù sul Golgota, oltre allo scindersi del velo del tempio in due parti, al commuoversi della terra e delle pietre, anche i sepolcri si aprirono et multa corpora sanctorum qui dormierant surreoerunt, et exeuntes de monumentis post resurrectionem eius venerunt in sanctam civitatem et apparuerunt multis ( Sal 19,7 ).
Come non scorgere in questo inaspettato prodigio il primo apprestamento della processione che dopo quaranta giorni doveva sollevarsi a volo, dall'oliveto per la via luminosa dei cieli e precisamente per accompagnare il trionfante Redentore Divino, nell'atto di prendere anche in forma umana il possesso del regno eterno a cui, Agnello sacrificato per i peccati del mondo, aveva assicurato il diritto sacro e glorioso?
Tra i Padri e i Dottori che variamente interpretano questo passo di S. Matteo, l'Aquinate nel suo Commentario prende posto decisamente presso quanti asseriscono che corpora sanctorum qui dormierant surreoerunt - egli aggiunge - tamquam intraturi cum Christo in coelum ( Mt 27,52-53 ).
Spetta quindi ai morti dell'Antico Testamento, i più vicini a Gesù - nominiamone due dei più intimi alla sua vita, Giovanni Battista il Precursore e Giuseppe di Nazareth, il suo nutricatore e custode - spetta a loro - così piamente noi possiamo credere - l'onore ed il privilegio di aprire questo mirabile accompagnamento per le vie del cielo: e dare le prime note all'interminabile Te Deum delle generazioni umane salienti sulle tracce di Gesù Redentore verso la gloria promessa ai fedeli, alla grazia sua.
Anche a non toccare qui la grave questione circa il numero degli eletti, è ben certo che col nome di Gesù sulla fronte e con la grazia sua nel cuore e nella vita, durante venti secoli, il computo dei buoni discepoli e degli amici di Gesù supera ogni possibile calcolo, ed il corteo che si inizia coll'Ascensione deve confortare ed incoraggiare ogni anima credente e fiduciosa nelle promesse di Cristo.
Per noi, umili sacerdoti del Signore, e quanti anche bravi laici ci seguono da vicino, familiari come siamo ai libri sacri dei due Testamenti, gli orizzonti dello spirito si aprono facilmente a visioni confortatrici circa i beni assicurati all'esercizio delle virtù cristiane nella vita ed alla fedeltà ai precetti del Signore.
Sorprende felicemente il constatare come dei ventisette libri del Nuovo Testamento, l'ultimo che chiude la serie sia l'Apocalisse di S. Giovanni, che, a parte qualche difficoltà circa l'immediata interpretazione su alcuni sprazzi particolari di incerta significazione, il complesso ci dà tale un rapimento da farci scorgere i luminosi orizzonti della gloria degli eletti, per cui le tre denominazioni della Chiesa Santa di Gesù, militante, purgante, trionfante, si dispiegano in una ricchezza di energie spirituali, che ci infonde una tranquillità intima e coraggiosa a tutto fare, a tutto soffrire, sempre fisso lo sguardo sul volto di Cristo, sereno, mite e animatore.
Sentite come la voce del veggente di Patmos ci disvela i segreti di quanti seguono fedeli e costanti la legge del Signore.
Ecco dapprima la folla dei dodicimila segnati per ciascuna delle dodici tribù d'Israele.
Questa turba grande si distende nella vastità dell'orizzonte, così che nessuno può contare con precisione, fra il visibilio di tutti i popoli, di tutte le lingue, di tutte le Nazioni.
Riguardando questo spettacolo sorge spontanea la domanda: questi, vestiti in abito purpureo, e questi, ornati di bianca stola, e questi, tenenti in mano palme di olivo, chi sono e donde vengono, e continuano a venire?
Oh! questi sono i Santi familiari al nostro spirito, ai nostri occhi, alla nostra ammirazione.
I primi, e più antichi, ma anche i moderni, sono gli Apostoli del Vangelo, i Martiri, i Confessori, i Vergini e le Vergini, i Missionari, i Pontefici, i Sacerdoti e Religiosi di ogni età, di ogni ordine e di ogni terra.
Tutti, tutti sono lieti ora, ma tutti salgono dalla tribolazione che li ha purificati, e continuano a salire, e si dispongono poi tutti intorno al trono dell'Agnello, intorno a Gesù che primo ascese, ed oggimai abita con loro, ed è la loro vita, sorgente inesausta ed inesauribile della felicità dei secoli eterni2.
Oh! dilettissimi Fratelli e figliuoli.
Questo spettacolo che ci riempie di letizia gli occhi ed il cuore è sempre la solennità della Ascensione del Signore: che si prolunga e si raddoppia e celebra il suo complemento nella festa di Ognissanti.
S. Luca ha iniziato la prima pagina del poema della nostra vita spirituale.
Il veggente di Patmos ne canta la conclusione.
Le ultime parole son là: Veni, Domine Iesu ( Cfr. Ap 7,17 ).
Vescovo e Cardinale, Confessore e Pontefice, per la odierna proclamazione egli prende, nel culto della pietà liturgica e popolare, il posto di onore e di intercessione che la consuetudine ecclesiastica dei secoli riconosce ai più distinti.
Egli è riservato - come lo fu del resto anche sin qui - a diffondere sulla Chiesa universale, ora più che mai, un raggio folgorante di quella luce divina di santità pastorale che salva i popoli e amplifica i trionfi del regno del Signore.
In verità la Provvidenza dispose che un assai lungo tratto di età si interponesse fra il suo morire a Padova nel giugno 1697 e la presente sua esaltazione aureolata in questo 26 maggio del 1960 del fastigio della canonizzazione.
Ma a ricercare bene a fondo Ci è facile scorgere, anche in questo ritardo, un disegno di bontà celeste che tutto dispone a richiami e ad ammonimenti salutari per la presente generazione.
I progressi delle scienze moderne, lo scoprimento di insospettate energie messe a servizio della vita presente vengono creando un tal quale incantesimo, circa il facile misurarsi dello spirito con le asprezze immanchevoli, che la volontà, decisa di far onore alle proprie responsabilità individuali e collettive, deve saper superare o soffrire.
Quanto concerne l'esercizio delle virtù cristiane nell'ordinario curriculum di quaggiù, viene giudicato più o meno importante ai fini della nostra salute eterna e santificazione, o di facile compromesso con lo spirito del mondo.
E ciò produce un sensibile adattarsi alle cosiddette esigenze del pensiero moderno, un lasciar andare, ed un lasciar correre ai gusti ed alle bizzarrie del secolo, con quell'infelice ritornello: oggi si fa così: questo è il vezzo che più va: un superamento dei tempi vissuti: che poi del resto è fiacchezza, sì, ma non è negazione, di ciò che è sostanziale di dottrina rivelata, che fu gloria dei nostri padri trasmettere sino a noi.
Ora questo nostro S. Gregorio Barbarigo fu un prelato moderno nel senso più giusto ed ampio del termine.
Vescovo di Bergamo, ed a mezzo secolo di distanza da S. Carlo Borromeo, ne fu un imitatore mirabile della applicazione della legislazione post-tridentina, al reggimento della diocesi.
Passato a Padova, ed ivi pastore infaticabile di quel gregge per trentatré anni vi fece fiorire una ricchezza tale di istituzioni ecclesiastiche, di cultura, di assistenza, di apostolato, da rendere veneratissima la sua persona e immortale il suo nome, anche per i secoli che succedettero al suo così operoso passaggio.
Prelato di alta cultura scientifica, di fisica e di matematica, strettamente intesa, di letteratura latina, italiana e delle diverse lingue di Europa e di Oriente: vigile a tutte le forme più penetranti dello zelo pastorale, egli fu davvero un grande personaggio dei tempi suoi.
Ma sotto il velo prezioso della sua modernità egli coltivò innanzi tutto uno spirito squisitissimo di santità autentica, purissima che gli permise di conservare l'innocenza battesimale, e di crescere di anno in anno nell'esercizio delle virtù sacerdotali più alte ed edificanti.
Erano infatti: una fede in lui che lo mise in guardia dalle sottigliezze del quietismo e del gallicanesimo; una confidenza in Dio che gli rendeva familiare come palpito l'elevarsi continuato del suo spirito in Gesù, con continuate giaculatorie come dardi d'amore; una fortezza imperterrita, in circostanze angosciose, che gli fece dire col pugno serrato sul petto: color di porpora, color di sangue: e questo vi dica, che per la giustizia e per il buon diritto di Dio io sono disposto a sacrificare la mia vita; una carità fiammeggiante di padre e di pastore estesa alle forme molteplici e più varie della dedizione di un gran cuore di uomo insigne e di sacerdote venerabile.
La carità è la essenza della santità, e della carità di S. Gregorio Barbarigo intendiamo rendervi, diletti Fratelli e figliuoli, ancora una testimonianza stasera presso la tomba di S. Pietro.
Volgendo ora verso la fine queste Nostre semplici parole, ed ancora allietandoCi del misterioso e mistico avvenimento a cui esse pongono un sigillo che si aggiunge ai parecchi altri, manoscritti od ufficiali di questi giorni, è nuovo e legittimo motivo di compiacimento il veder applicato a S. Gregorio Barbarigo, quanto, secondo la buona dottrina fissata da Papa Benedetto XIV nella sua opera De Servorum Dei Beatificatione, libro IV, e. 41, n. 1, renda onore ai Santi di Dio proclamati tali sotto questo nome ed in virtù di Canonizzazione equipollente: per quam Summus Pontifex, aliquem Dei Servum in antiqua cultus possessione existentem et de cuius heroicis virtutibus aut martyrio, et miraculis constans est, historicorum fide dignorum, communis assentio, et continuata prodigiorum fama non deficit, iubet in universa Ecclesia coli per Officii et Missae recitationem et celebrationem, determinato aliquo die, etc …
Il nostro Santo entra così in pieno nella luce ed applicazione di questa dottrina.
E noi amiamo felicitarCi devotamente con lui scorgendolo elevato dalla Santa Chiesa al posto suo: stantem ante thronum, et in conspectu Agni, amictum stola alba, et palma in manibus eius ( Ap 22,20 ).
A più ampio contorno di festosa letizia, amiamo indicarvi, dilettissimi nostri Fratelli e figli, la singolare e bella corona di anime elettissime che, secondo la testimonianza di Papa Benedetto XIV, ebbero l'onore e il titolo della canonizzazione equipollente, come questa odierna del nostro Santo Gregorio Barbarigo.
Eccoli, eccoli procedere innanzi a noi, in magnifico corteo, Santi insigni e veneratissimi: S. Romualdo - S. Norberto - S. Brunone - S. Pietro Nolasco - S. Raimondo Nonnato - i Ss. Giovanni de Matha e Felice di Valois - Santa Margherita di Scozia - S. Stefano di Ungheria - S. Venceslao di Boemia - S. Gregorio VII - Santa Gertrude di Einsleben.
Altri Santi furono dichiarati dal tempo di Benedetto XIV in poi.
Leone XII accolse infatti in questa schiera S. Pier Damiani; Pio IX S. Bonifacio apostolo della Germania; Leone XIII fece quattro canonizzazioni equipollenti, tutte e quattro interessantissime: i Ss. Cirillo e Metodio ( 1880 ), S. Agostino di Cantorbery, S. Giovanni Damasceno, S. Beda Venerabile; Pio XI vi aggiunse S. Alberto Magno, il 16 dicembre 1931, e Pio XII Santa Margherita di Ungheria.
Egualmente cara Ci torna, come a convito di grazia e di gloria, la schiera eletta degli alunni dei nostri Seminari e Collegi Ecclesiastici di Roma, d'Italia, e di tutte le nazioni e lingue della terra.
Il Pontificio Seminario Romano, depositario della venerabile tradizione Tridentina, è qui di casa presso la basilica Lateranense come albero vigoroso sulla porta del santuario, qui trasferito dal centro dell'Urbe nel 1913 per l'ardito gesto pontificale di S. Pio X.
Con vivo compiacimento amiamo salutare accanto ad esso l'Istituto più anziano in ordine di tempo e di provvidenza, l'Almo Collegio Capranica, che, secondo una sua antica tradizione della festa della Ascensione al Laterano, accolse oggi il Papa al suo ingresso.
Sta bene conservare o richiamare antiche usanze edificanti la pietà dei fedeli.
Il Collegio Capranica prevenne modestamente di un secolo ( 1457- 1565 ), come piccola stella precorritrice di una aurora provvidenziale, lo svegliarsi delle prime energie intese a determinare una più sostanziosa formazione del clero secolare, cooperando al felice apostolato trasformatore di anime, di diocesi, di nazioni.
Su questo orizzonte, in materia di Seminari, la gloria massima è quella di S. Carlo Borromeo a Milano: già intravveduta dalle preziose consultazioni di Trento e dell'Urbe; consultazioni a cui S. Carlo partecipò in Roma, ma la cui applicazione egli risolutamente prevenne nella sua sede.
Da Roma e da Milano la scintilla si attaccò al canneto suscitando fervori e fiamme qua e là.
Ma il più grande imitatore di S. Carlo fu S. Gregorio Barbarigo a Padova, dove il Seminario per virtù sua divenne monumento ed attraverso tre secoli ancora vi rimane in aedificationem gentium.
Questa del Seminario Patavino è la sua massima gloria; ma è ancora un invito alla ricerca più profonda del tesoro di preziose energie e di eccelse virtù a cui la proclamazione della sua santità apre la via.
Durante il suo episcopato S. Gregorio Barbarigo studiò e vide tutto con grandezza di proporzioni.
A due secoli dalla sua beatificazione dei 1761, a oltre tre secoli dalla sua vita operosa e gloriosa, quelle proporzioni nei riguardi delle lotte e delle vittorie della S. Chiesa si sono dilatate: dilatate nel senso di una comprensione più viva delle grandi esigenze che l'esercizio della vita del cristiano oggi ci presenta non a depressione, ma ad incoraggiamento dello spirito.
Tra gli scritti inediti di S. Gregorio Barbarigo vi sono tracce dei suoi discorsi pronunciati così a Bergamo, come a Padova nella festa della Ascensione.
Nella loro semplicità esse sono tutte spiranti elevazioni dello spirito, e grande incoraggiamento a staccarci dalle vanità della terra, e a rettificare le grandi e le piccole intenzioni della nostra vita quotidiana.
A ciò deve muoverci tutti il grande esempio che S. Gregorio ci dà nei settantadue anni della sua vita di perfezione sacerdotale ed episcopale; e la purissima cristiana dottrina che egli trasmise fedelmente ai suoi figlioli.
Grande ricchezza del cristiano il non accontentarsi solamente dell'esercizio delle virtù morali; ma il dare a tutte le proprie azioni grazia di unione con Cristo e partecipazione viva della grazia sua.
La virtù è così bella - diceva il Santo - che invita tutti a seguirla, e a drizzare le proprie azioni a lei.
Così operarono tanti gentili virtuosi; così operano ancora molti tra i cristiani, chi servendo la patria, chi esercitando la giustizia, chi vivendo vita temperante.
Né si può dire che vivano male, nè vengano le loro azioni non approvate da Dio, il quale riconosce per care sue figliole tutte le virtù.
Approvate dunque, ma non premiate di vita eterna.
Dico non premiate di vita eterna, perchè sono premiate di cose temporali, come successe ai Romani antichi, i quali furono favoriti da Dio di essere i padroni del mondo per le varie virtù che ebbero ed esercitarono.
Alla sola purità di intenzione è riservato il premio della vita eterna.
E questa consiste in cosa tanto ragionevole e giusta che è di fare ogni nostra azione per dar gusto a Dio, per servire Dio.
Oh! che grande consolazione nelle parole di S. Paolo: Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriane. Dei tacite ( 1 Cor 10,31 ).
Queste cose S. Gregorio le diceva ai suoi figlioli; ed altre ed altre più semplici e vivaci ancora, a loro correzione, a loro edificazione.
E tutto questo in tema di Ascensione di Nostro Signore al cielo, e della nostra ascensione con lui, in che si riassumono le bellezze della vita nostra di bravi cristiani per il presente e per l'avvenire.
Arrivato a questo punto, l'Evangelista S. Luca si arresta con le parole più riassuntive e preziose del suo racconto: « Poi li condusse fuori presso Betania e alzate le mani li benedisse.
Mentre li benediceva si staccò da loro, e si sollevò su nel cielo.
Ed essi adoratolo tornarono a Gerusalemme con grande allegrezza, e stavano continuamente nel tempio a lodare e a benedire Iddio. Amen » ( Lc 24,52 ).
Diletti e carissimi Fratelli e figlioli.
Qui Ci arrestiamo per riprendere la sacra e solenne celebrazione.
Teniamoci in buona compagnia col nostro nuovo Santo Gregorio Barbarigo, perchè egli unisca la sua alla preghiera nostra.
Post Missam Ci segua egli sino sulla loggia esterna della basilica, dove, riprendendo l'uso antico dei Nostri antecessori Pontefici, daremo in nome di Gesù la Nostra Benedizione Urbi et Orbi.
Nel tardo pomeriggio vi attendiamo nella basilica Vaticana, gustando anche noi la pace e il gaudio degli Apostoli quando discesero dall'Oliveto donde Gesù si era levato verso il cielo con i Santi suoi.
1 | Vita Sancti Ubaldi, cap. VIII |
2 | Super Evang. S. Matth., Lectura, e. XVII, ed. IV, 1951, n. 2395, p. 367; I. Knabenbauer S. J., Comment. in Evang. S. Matth., Pars altera, Parislis, 1893, pp. 538-539. 8 |