Quo graviora |
10 E non è da credere che sia una abbietta calunnia l'attribuire a queste sette tutti questi mali e gli altri che Noi abbiamo tralasciato.
I libri che non si sono peritati di scrivere sulla Religione e lo Stato coloro che sono iscritti a queste sette, disprezzano il potere, bestemmiano la regalità, vanno dicendo che Cristo è scandalo e stoltezza; anzi, non di rado insegnano che Dio non esiste e che l'anima dell'uomo muore col corpo.
I Codici e gli Statuti in cui rivelano i loro propositi e le loro regole, dimostrano chiaramente che da essi provengono tutti i mali che abbiamo ricordato e che mirano a far cadere i Principati legittimi e a distruggere dalle fondamenta la Chiesa.
Questa affermazione deve essere considerata come certa e meditata: le sette, sebbene diverse nel nome, sono però congiunte tra loro dallo scellerato legame dei più turpi propositi.
11 Stando così le cose, Noi crediamo essere Nostro dovere condannare nuovamente queste sette clandestine in modo che nessuna di esse possa vantarsi di non essere compresa nella Nostra sentenza apostolica, e con questo pretesto possa indurre in errore uomini incauti o sprovveduti.
Pertanto, per consiglio dei Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa e anche motu proprio, con sicura dottrina e con matura deliberazione Nostra, Noi sotto le stesse pene comminate nelle lettere dei Nostri Predecessori che abbiamo riportato in questa Nostra Costituzione, e che espressamente confermiamo, in perpetuo proibiamo tutte le società occulte ( qualunque sia il loro nome ), tanto quelle ora esistenti, quanto quelle che forse si costituiranno in seguito e che si propongono le azioni sopra ricordate contro la Chiesa e le supreme potestà civili.
12 Pertanto a tutti e a ciascuno dei fedeli di Cristo di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, sia laici sia chierici, tanto secolari che regolari, degni anche di specifica, individuale ed esplicita menzione, ordiniamo rigorosamente, e in virtù della santa obbedienza, che nessuno sotto qualsivoglia pretesto o ricercato motivo osi o pretenda di fondare, diffondere o favorire, e nella sua casa o dimora o altrove accogliere e nascondere le predette società comunque si chiamino, come pure di iscriversi o aggregarsi ad esse o di intervenire a qualunque grado di esse o di offrire la facoltà e l'opportunità di convocarle in qualche luogo o di elargire loro qualcosa, o in altro modo prestare consiglio, aiuto o favore palese od occulto, diretto o indiretto, per sé o per altri; e ancora di esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi, ad aggregarsi o a intervenire in siffatte congreghe o in qualunque grado di esse, o di giovare loro o favorirle comunque.
I fedeli debbono assolutamente astenersi dalle società stesse, dalle loro riunioni, conferenze, aggregazioni o conventicole sotto pena di scomunica in cui incorrono sull'istante tutti i contravventori sopra descritti senza alcuna dichiarazione; dalla scomunica nessuno potrà venire assolto se non da Noi o dal Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto di morte.
13 Inoltre a tutti prescriviamo, sotto la stessa pena di scomunica, riservata aNoi e ai Romani Pontefici Nostri Successori, l'obbligo di denunciare ai Vescovi o ad altri competenti tutti coloro che notoriamente hanno dato il loro nome a queste società o si sono macchiati di qualcuno dei delitti ricordati più sopra.
14 Soprattutto poi condanniamo risolutamente e dichiariamo assolutamente vano l'empio e scellerato giuramento che vincola gli adepti di quelle sette a non rivelare mai ad alcuno tutto ciò che riguarda le sette medesime e a punire con la morte tutti i compagni che si fanno delatori presso i superiori, sia Ecclesiastici, sia Laici.
E che dunque? Poiché il giuramento va pronunciato al servizio della giustizia, non è forse delittuoso considerarlo come un legame con il quale ci si obbliga a un iniquo omicidio e a disprezzare l'autorità di coloro che, in quanto governano la Chiesa o la legittima società civile, hanno il diritto di conoscere tutto ciò da cui dipende la sicurezza di quelle istituzioni?
Non è forse somma iniquità e turpitudine il chiamare Iddio stesso a testimone e mallevadore di delitti?
Giustamente i Padri del terzo Concilio Lateranense affermano: "Non si possono definire giuramenti ma piuttosto spergiuri quelli che sono diretti contro il bene della Chiesa e gl'insegnamenti dei Santi Padri".
Ed è intollerabile l'impudenza, o la follia, di chi tra questi uomini, non nel proprio cuore soltanto ma anche pubblicamente e in pubblici scritti, afferma che "Dio non esiste", e tuttavia osa pretendere un giuramento da coloro che sono accolti nelle sette.
15 Tali sono le Nostre disposizioni rivolte a reprimere e condannare tutte queste furiose e scellerate sette.
Pertanto ora, Venerabili Fratelli Patriarchi Cattolici, Primati, Arcivescovi e Vescovi, non solo chiediamo ma piuttosto sollecitiamo il vostro impegno.
Abbiate cura di voi e di tutto il gregge in cui lo Spirito Santo vi pose come Vescovi per governare la Chiesa di Dio.
I lupi rapaci vi assaliranno se non avrete cura del gregge.
Ma non vogliate temere, e non considerate la vostra vita più preziosa di voi stessi.
Considerate per certo che da voi in gran parte dipende la perseveranza degli uomini a voi affidati nella Religione e nelle buone azioni.
Infatti, pur vivendo in giorni "che sono infausti" e in un tempo in cui molti "non difendono la sana dottrina", perdura tuttavia il rispetto di molti fedeli verso i loro Pastori che a buon diritto sono considerati ministri di Cristo e dispensatori dei suoi misteri.
Fate dunque uso, a vantaggio delle vostre pecore, di quella autorità che per immortale grazia di Dio conservate nell'animo loro.
Fate loro conoscere le frodi dei settari e con quanta attenzione debbano evitare di frequentarli.
Grazie all'autorità e al magistero vostro, abbiano orrore della malvagia dottrina di coloro che deridono i santissimi misteri della Nostra Religione e i purissimi insegnamenti di Cristo, e contestano ogni legittimo potere.
E parlerò con voi ripetendo le parole usate dal Nostro Predecessore Clemente XIII nell'Enciclica [ A quo die ] del 14 settembre 1758, diretta a tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi della Chiesa Cattolica: "Vi prego: con lo Spirito del Signore siamo pieni di forza, di giustizia e di coraggio.
Non lasciamo, a somiglianza di cani muti incapaci di latrare, che i Nostri greggi diventino una preda e le Nostre pecore il pasto d'ogni bestia selvatica; niente Ci trattenga dall'esporci ad ogni genere di sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori.
Se ci arrestiamo davanti all'audacia dei malvagi, sono già crollate la forza morale dell'Episcopato e la divina e sublime potestà di governare la Chiesa; e non possiamo più continuare a considerarci, anzi non possiamo neanche più essere Cristiani, se temiamo le minacce e le insidie degli uomini perversi".
16 Ancora con insistenza invochiamo il vostro aiuto, carissimi in Cristo Figli Nostri Cattolici Principi che apprezziamo con tanto singolare e paterno amore.
Perciò vi richiamiamo alla memoriale parole che Leone il Grande ( di cui siamo successori nella dignità e, sebbene indegni, eredi del nome ) rivolse per iscritto a Leone Imperatore: "Devi senza esitazione comprendere che il potere regale ti è stato affidato non solo per governare il mondo ma soprattutto per proteggere la Chiesa in modo che, reprimendo gli atti di empia audacia, tu possa difendere le sane istituzioni e restituire la pace a quelle sconvolte".
Quanto al presente, la situazione è tale che per difendere non solo la Religione Cattolica ma altresì l'incolumità vostra e dei popoli soggetti alla vostra autorità, dovete reprimere quelle sette.
Infatti la causa della Religione, soprattutto in quest'epoca, è talmente congiunta alla salvezza della società, che in nessun modo può essere separata l'una dall'altra.
Infatti coloro che aderiscono a quelle sette sono non meno nemici della Religione che del vostro potere.
Aggrediscono l'una e l'altro, meditano di abbattere l'una e l'altro.
E certo non consentirebbero, potendo, che la Religione o il potere regale sopravvivessero.
17 Tanta è la scaltrezza di questi uomini astuti che quando danno la rassicurante impressione di essere intenti ad ampliare il vostro potere, proprio allora mirano a sovvertirlo.
Infatti essi impartiscono molti insegnamenti per convincere che il potere Nostro e dei Vescovi deve essere ridotto e indebolito, e che ad essi devono essere trasferiti molti diritti, sia tra quelli che sono propri di questa Cattedra Apostolica e Chiesa principale, sia tra quelli che appartengono ai Vescovi che sono stati chiamati a far parte della Nostra sollecitudine.
Quei settari insegnano tali dottrine non solo per l'odio truce di cui ardono contro la Religione, ma anche perché hanno la speranza che le genti soggette al vostro magistero, se per caso si avvedono che sono violati i confini posti alle cose sacre da Cristo e dalla Chiesa da Lui fondata, facilmente si inducano, con questo esempio, a sovvertire e distruggere anche la forma del regime politico.
18 Anche a voi tutti, o figli diletti che professate la Religione Cattolica, Ci rivolgiamo con la Nostra esortativa preghiera.
Evitate con curagli uomini che chiamano luce le tenebre e le tenebre luce.
Infatti, quale vera utilità potrebbe a voi derivare dal consorzio con uomini che ritengono di non tenere in alcun conto Iddio né tutte le più alte potestà?
Essi, tramando in segrete adunanze, tentano di fare la guerra, e sebbene in pubblico e dovunque proclamino di essere amantissimi del bene pubblico, della Chiesa e della società, tuttavia in ogni loro impresa hanno dimostrato di voler sconvolgere e sovvertire ogni cosa.
Essi sono simili a quegli uomini ai quali San Giovanni ( 2 Gv 10 ) comanda di non offrire ospitalità né di rivolgere il saluto; a quegli uomini che i Nostri antenati non esitarono a chiamare primogeniti del diavolo.
Guardatevi dunque dalle loro lusinghe e dai discorsi di miele con cui cercheranno di convincervi a dare il vostro nome a quelle sette di cui essi stessi fanno parte.
Abbiate per certo che nessuno può aggregarsi a quelle sette, senza essere colpevole di gravissima ignominia; allontanate dalle vostre orecchie i discorsi di coloro i quali, pur di ottenere il vostro assenso ad iscrivervi ai gradi inferiori delle loro sette, affermano risolutamente che in quei gradi nulla si sostiene che sia contrario alla Religione; anzi, che nulla vi si comanda o si compie che non sia santo, che non sia onesto, che non sia puro.
Inoltre quel nefando giuramento che è già stato ricordato e che deve essere prestato anche per essere ammessi ai gradi inferiori, basta di per sé solo a farvi comprendere che è un delitto anche iscriversi a quei gradi meno impegnativi e partecipare ad essi.
Inoltre, sebbene ad essi non siano affidate, di solito, le imprese più torbide e scellerate, in quanto non sono ancora saliti ai gradi superiori, appare però evidente che la forza e l'ardire di queste perniciose società crescono con il consenso e il numero di coloro che vi si sono aggregati.
Pertanto anche coloro che non hanno oltrepassato i gradi inferiori, devono essere considerati complici di quei delitti.
E anche su di essi ricade quella sentenza dell'Apostolo: "Coloro che commettono tali delitti sono degni di morte, e non solo coloro che li commettono ma anche coloro che approvano chi li compie" ( Rm 1,28-29 ).
19 Infine, con amore profondo chiamiamo a Noi coloro che, dopo aver ricevuto la luce e aver assaporato il dono celeste ed essere fatti partecipi dello Spirito Santo, sono poi miseramente caduti e seguono quelle sette sia che si trovino nei gradi inferiori di esse, sia nei superiori.
Infatti, facendo le veci di Colui che dichiarò di non essere venuto per chiamare i giusti ma i peccatori ( e si paragonò al pastore che, lasciato il resto del gregge, cerca ansiosamente la pecora che ha smarrito ) li esortiamo e li scongiuriamo di ritornare a Cristo.
Sebbene si siano macchiati del più grave delitto, non devono tuttavia disperare della clemenza e della misericordia di Dio e di Gesù Cristo Suo Figlio.
Ritrovino dunque se stessi, alfine, e di nuovo si rifugino in Gesù Cristo che ha patito anche per loro e che non solo non disprezzerà il loro ravvedimento ma anzi, come un padre amoroso che già da tempo aspetta i figli prodighi, li accoglierà con sommo gaudio.
Invero Noi, per incoraggiarli quanto più possiamo e per aprire ad essi una più agevole via alla penitenza, sospendiamo per lo spazio di un intero anno ( dopo la pubblicazione di questa lettera apostolica nella regione in cui dimorano ) sia l'obbligo di denunciare i loro compagni di setta, sia la riserva delle censure nelle quali sono incorsi dando il loro nome alle sette; e dichiariamo che essi, anche senza aver denunciato i complici, possono essere assolti da quelle censure ad opera di qualunque confessore, purché sia nel numero di coloro che sono approvati dagli Ordinari del luogo ove dimorano.
Decidiamo inoltre di usare la stessa condiscendenza verso coloro che per caso si trovano nell'Urbe.
Se poi qualcuno di essi a cui è rivolto il Nostro discorso sarà così ostinato ( e non lo permetta Iddio, padre delle misericordie! ) da lasciar passare quello spazio di tempo che abbiamo fissato senza abbandonare le sette per ravvedersi davvero, trascorso quel tempo, tosto avrà effetto contro di lui l'obbligo di denunciare i complici e la riserva delle censure, né potrà ottenere l'assoluzione se non da Noi o dai Nostri Successori o da coloro che avranno ottenuto dalla Sede Apostolica la facoltà di assolvere dalle censure stesse.
20 Vogliamo inoltre che ai transunti, anche stampati, della presente Nostra lettera, sottoscritti di pugno da qualche pubblico Notaio e muniti del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica, si presti quella fede stessa che si concederebbe alla lettera originale se fosse presentata o mostrata.
21 Perciò a nessuno sia lecito violare o contestare con temeraria arroganza questo testo della Nostra dichiarazione, condanna, conferma, innovazione, mandato, proibizione, invocazione, ricerca, decreto e volontà.
Se qualcuno osasse compiere un simile attentato, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 marzo dell'anno dell'Incarnazione del Signore 1825, nell'anno secondo del Nostro Pontificato.
Leone XII
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