Auctorem fidei |
1 Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede, l'Apostolo ( Eb 12 ) vuole che ripensiamo a quale e quanto grande contraddittorio egli dovette sostenere da parte dei peccatori contro lui stesso, affinché noi, stanchi per le fatiche e i pericoli, non ci perdiamo talvolta d'animo e non rimaniamo pressoché soccombenti.
Tenendo fermo questo salutare pensiero, è assolutamente necessario che noi ci fortifichiamo e ristoriamo quando contro lo stesso Corpo di Cristo, che è la Chiesa ( Col 1 ), più veemente avvampa l'ardore di codesta feroce, interminabile congiura, affinché, confortati dal Signore e nella potenza della sua virtù, protetti dallo scudo della fede, possiamo resistere nei giorni del male ed estinguere tutti gl'infuocati dardi del maligno ( Ef 6 ).
In questo sconvolgimento dei tempi, in questa orribile confusione, tutti i buoni debbono sostenere una dura lotta nella quale i nemici combattono contro tutti coloro che hanno il nome cristiano; più dura per Noi, cui incombe un impegno maggiore per la Religione Cristiana in quanto Ci sono affidati la cura e il governo pastorale di tutto il gregge.1
Ma pure nella stessa gravezza di questo peso caricato sui Nostri omeri, cioè "di portare i pesi di tutti coloro che sono gravati", quanto più Noi siamo consapevoli della Nostra debolezza tanto più Ci solleva ad una più ferma speranza la divina istituzione di questo apostolico ministero, talmente stabilito nella persona del beato Pietro che, non dovendo questi giammai abbandonare il governo della Chiesa che gli era stato affidato da Cristo, neppure tralasciasse mai di portare i pesi dell'impegno apostolico, trasferito in coloro che Dio gli aveva affidato quali successori da sostenere e proteggere in tutta la serie perpetua.
2 In mezzo a tante tribolazioni che da ogni parte Ci assediano, per colmo di tutte le altre molestie si è aggiunto un fatto dal quale doveva derivarci motivo di sollievo e di gaudio, e dal quale per contro proviene maggiore tristezza.
"Infatti, quando qualcuno preposto alla sacrosanta Chiesa di Dio sotto il nome di sacerdote ritrae lo stesso popolo di Cristo dal sentiero della verità e lo devia nel precipizio, e ciò fa in una grandissima città, allora sì che va raddoppiato il pianto e deve usarsi una maggiore sollecitudine".2
3 Vi fu già non nelle più remote contrade, ma nella stessa zona centrale dell'Italia, sotto gli occhi di Roma e vicino alla dimora apostolica, un Vescovo insignito dell'onore di una doppia sede ( Scipione de' Ricci, già Vescovo di Pistoia e di Prato ), che abbiamo accolto con paterna carità quando venne da Noi per ricevere il ministero pastorale; per parte sua, in forza del rito stesso della sacra ordinazione, si vincolò con giuramento a prestare a Noi e a questa Apostolica Sede la dovuta obbedienza e fedeltà.
Egli è quello stesso che, congedatosi dal Nostro abbraccio con il bacio della pace, si recò presso il popolo affidatogli, dove, circuito dalle frodi di maestri di perversa sapienza radunati intorno a lui, cominciò ad indirizzare i suoi sforzi non nel custodire, onorare e perfezionare - come doveva - quella lodevole, pacata forma di istituzione cristiana che a norma della regola ecclesiastica i precedenti Vescovi avevano introdotta da gran tempo, e quasi radicata, ma, al contrario, con il pretesto di riforme, si diede a turbarla introducendo importune, sconvolgenti novità.
4 Anzi, avendo rivolto il pensiero, per Nostra esortazione, alla convocazione di un Sinodo diocesano, con sfacciata ostinazione lo convocò secondo la propria opinione, tanto che derivò un danno maggiore da dove poteva aversi un rimedio a diverse piaghe.
Infatti, appena questo Sinodo Pistoiese uscì dalle tenebre nelle quali per qualche tempo era rimasto nascosto, non ci fu persona di autentica e pia religione e di valida sapienza che non si avvedesse immediatamente che il proposito deliberato degli autori era stato quello di riunire in un sol corpo i semi delle guaste dottrine che avevano sparse in tanti libelli, di resuscitare errori già condannati, di derogare la fede e l'autorità di quei decreti che avevano espresso le condanne.
5 Noi, vedendo tali cose, che quanto più gravi erano di per sé tanto più intensamente richiedevano l'intervento della Nostra sollecitudine pastorale, non tardammo a rivolgere la mente a quelle decisioni che sembrassero più adatte a sanare o a reprimere il male nascente.
Innanzi tutto, memori del saggio ammonimento del Nostro Predecessore, il beato Zosimo,3 secondo il quale "le cose grandi richiedono un grande esame", ordinammo che il Sinodo [ Pistoiese ] in quanto pubblicato da un Vescovo fosse prima sottoposto all'esame di quattro Vescovi ai quali si aggiungessero altri teologi del clero secolare; poi incaricammo una Congregazione di più Cardinali della Santa Romana Chiesa e di altri Vescovi, i quali considerassero diligentemente tutta la serie degli Atti, confrontassero i passi sparsi qua e là, discutessero le sentenze ricavate dal Sinodo: ricevemmo per iscritto i loro pareri espressi a voce davanti a Noi.
Essi dichiararono che il Sinodo in generale era da riprovare, e varie proposizioni estratte da esso erano per se stesse da condannare con aspre censure, ed altre in connessione con altre affermazioni.
Ascoltate e ponderate le loro osservazioni, fu Nostra cura scegliere alcuni capi principali delle perverse dottrine, alle quali si possono direttamente o indirettamente riferire le sentenze riprovevoli sparse per il Sinodo; li abbiamo sistemati in un certo ordine e a ciascuno di essi è stata applicata la sua particolare censura.
6 E perché da questo confronto, sebbene accuratissimo, dei passi, e dalla discussione delle sentenze certi uomini protervi non prendessero l'occasione di malignare, allo scopo di ovviare a qualunque cavilloso commento forse già preparato, risolvemmo di utilizzare la saggia decisione che per reprimere analoghe pericolose emergenze e nocive novità adottarono cautamente molti Nostri santissimi Predecessori e Vescovi di grande autorità, ed anche, legalmente, certi Concilii generali, come è testimoniato e raccomandato da illustri esempi che Ci sono stati trasmessi.
Essi conoscevano bene l'arte maliziosa propria degli innovatori, i quali, temendo di offendere le orecchie dei cattolici, si adoperano per coprire sotto fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché l'errore, nascosto fra senso e senso,4 s'insinui negli animi più facilmente e avvenga che - alterata la verità della sentenza per mezzo di una brevissima aggiunta o variante - la testimonianza che doveva portare la salute, a seguito di una certa sottile modifica, conduca alla morte.
Se questa involuta e fallace maniera di dissertare è viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria, in nessun modo è da praticare in un Sinodo, il cui primo merito deve consistere nell'adottare nell'insegnamento un'espressione talmente chiara e limpida che non lasci spazio al pericolo di contrasti.
Però se nel parlare si sbaglia, non si può ammettere quella subdola difesa che si è soliti addurre e per la quale, allorché sia stata pronunciata qualche espressione troppo dura, si trova la medesima spiegata più chiaramente altrove, o anche corretta, quasi che questa sfrenata licenza di affermare e di negare a piacimento, che fu sempre una fraudolenta astuzia degl'innovatori a copertura dell'errore, non dovesse valere piuttosto per denunciare l'errore anziché per giustificarlo: come se alle persone particolarmente impreparate ad affrontare casualmente questa o quella parte di un Sinodo esposto a tutti in lingua volgare fossero sempre presenti gli altri passi da contrapporre, e che nel confrontarli ognuno disponesse di tale preparazione da ricondurli, da solo, a tal punto da evitare qualsiasi pericolo d'inganno che costoro spargono erroneamente.
È dannosissima quest'abilità d'insinuare l'errore che il Nostro Predecessore Celestino5 scoperse nelle lettere del vescovo Nestorio di Costantinopoli e condannò con durissimo richiamo.
L'impostore, scoperto, richiamato e raggiunto per tali lettere, con il suo incoerente multiloquio avvolgeva d'oscuro il vero e, di nuovo confondendo l'una e l'altra cosa, confessava quello che aveva negato o si sforzava di negare quello che aveva confessato.
Contro tali insidie, purtroppo rinnovatesi in ogni età, non fu messo in opera modo migliore che quello di esporre le sentenze le quali, sotto il velo dell'ambiguità, avviluppano una pericolosa discrepanza di sensi, segnalando il perverso significato sotto il quale si trova l'errore che la Dottrina Cattolica condanna.
7 Noi abbiamo abbracciato molto volentieri una condotta piena di moderazione, in quanto abbiamo ritenuto che essa sia di maggior aiuto per ricondurre gli animi all'unità dello spirito nel vincolo della pace. ( E Ci rallegriamo che con l'aiuto di Dio ciò sia già avvenuto in molti ).
Abbiamo inteso provvedere in primo luogo a che i pertinaci fautori del Sinodo ( se pur ne rimarranno, che Dio non voglia! ) non possano in avvenire, per eccitare nuovi disordini, chiamare a far parte della loro condanna, come alleate, certe scuole cattoliche le quali, ancorché ripugnanti, essi si sforzano di attirare a sé per una certa distorta somiglianza di vocaboli affini, nonostante esse testimonino espressamente diversità di contenuti.
Ad altri, poi, che inavvertitamente si fossero lasciati prendere da una più disponibile opinione a favore del Sinodo, si tolga ogni motivo di lagnanza: ad essi, che pensano rettamente, come vogliono apparire, non può dispiacere che si condannino dottrine esposte in tal modo che presentano evidenti errori dai quali si professano del tutto lontanissimi.
8 Né riteniamo di avere fino ad ora soddisfatto sufficientemente agli impulsi della Nostra mansuetudine, o, per dir meglio, della carità che nutriamo verso il Nostro fratello, al quale, per quanto sta in Noi, vogliamo sovvenire se ancora possiamo.6
Noi siamo animati da quella carità dalla quale era sollecitato il Nostro Predecessore Celestino7 che non rifiutava di aspettare - anche contro la legge, con pazienza maggiore di quella che sembrava si dovesse usare - il ravvedimento dei sacerdoti chiamati alla resipiscenza.
Pertanto, con Agostino e con i padri Milevitani, vogliamo e desideriamo che gli uomini che predicano prave dottrine "siano sanati entro la Chiesa con cura pastorale, piuttosto che, perduta ogni speranza, siano recisi da quella, a meno che a ciò non costringa qualche necessità".8
9 Quindi, per non tralasciare alcun mezzo che potesse riuscire utile per recuperare il fratello, prima di procedere oltre abbiamo ordinato di scrivergli affettuosissime lettere per invitare il predetto Vescovo a venire da Noi, promettendo che egli sarebbe stato accolto con benevolenza e che non gli sarebbe stato vietato di esporre liberamente e apertamente ciò che avesse ritenuto opportuno.
Per la verità, non avevamo perduto tutte le speranze che se egli avesse avuto quella docilità d'animo che Agostino richiedeva in un Vescovo sopra ogni altra dote,9 una volta che gli fossero stati proposti con semplicità e schiettezza, senza polemica ed asprezza, i principali casi di dottrina che sembravano maggiormente degni d'attenzione, non c'era motivo di dubitare che egli, raccogliendosi in se stesso, avrebbe esposto nel senso migliore le sentenze che presentavano una manifesta pravità e le avrebbe apertamente ripudiate.
E così, con molto onore per lui, con la lietissima soddisfazione di tutti i buoni, per mezzo di una desideratissima correzione, nella maniera più tranquilla si sarebbero quietati i rumori nati nella Chiesa.10
10 Ora, però, che egli, adducendo una malferma salute, non ha ritenuto opportuno avvalersi del beneficio offertogli, non possiamo ulteriormente differire il soddisfacimento del Nostro dovere apostolico.
Non si tratta soltanto del pericolo di una o di un'altra diocesi: "Qualunque novità colpisce la Chiesa universale".11
Già da gran tempo e da ogni parte non solo si aspetta, ma con incessanti ripetute istanze si implora il giudizio della suprema Sede apostolica.
Non sia mai che la voce di Pietro rimanga silenziosa in quella sua Cattedra nella quale egli vive e presiede per sempre, offrendo la verità della fede a coloro che la cercano.12
Una troppo lunga convivenza in tali casi non è prudente, perché chi convive in tali condizioni è pressoché reo del crimine come colui che predica massime tanto irreligiose.13
È pertanto necessario eliminare questa piaga, che ammorba non solo un membro, ma offende tutto il corpo della Chiesa.14
Con l'aiuto della divina pietà, provvederemo a che la fede cattolica, eliminati i dissensi, resti pura e, richiamati dall'errore coloro che difendono prave dottrine, con la Nostra autorità vengano rafforzati coloro la cui fede è stata provata.15
Indice |
1 | San Siricio ad Imerio di Tarragona, Lettera 1 presso il Coust |
2 | San Celestino I, Lettera 12 presso il Coust |
3 | San Zosimo, Lettera 2 presso il Coust |
4 | San Leone M., Lettera 129 dell'edizione Baller |
5 | San Celestino, Lettera 13, n. 2, presso il Coust |
6 | San Celestino, Lettera 14 al popolo C.P. n. 8, presso il Coust |
7 | Lettera 13 a Nestorio, n. 9 |
8 | Lettera 176, n. 4.178, n. 2 dell'ediz. Maur |
9 | Libro 4 del Battesimo contro i Donatisti, cap. 5, e libro 5, cap. 26 |
10 | San Celestino, Lettera 16, n. 2, presso il Coust |
11 | San Celestino, Lettera 21 ai Vescovi di Francia |
12 | San Crisologo, Lettera ad Eutiche |
13 | San Celestino, Lettera 12, n. 2 |
14 | San Celestino, Lettera 11 a Cirillo, n. 3 |
15 | San Leone M., Lettera 23 a Flaiano C.P., n. 2 |