La devozione
Roma, 2 marzo 1889
La devozione e l'affetto di cui sono improntate le parole che a nome del Sacro Collegio ella, Signor Cardinale, Ci ha rivolto, e i voti fatti per la Nostra conservazione e prosperità, non possono non commuoverci vivamente.
Ci torna di consolazione e di conforto il sapere che il Sacro Collegio prende la più sincera parte alle Nostre gioie e ai Nostri dolori: gioie e dolori che si alternano sempre nella vita, ma che con più vivo contrasto si manifestarono in questo ultimo anno.
Siamo immensamente debitori al Signore per la singolare assistenza prestataci, non solo in questo, ma in tutti gli undici anni di pontificato già trascorsi: ed al cominciare dell'ottantesimo anno di età, sentiamo più che mai il bisogno che le Nostre deboli forze siano potentemente sostenute dall'alto.
Tanto più che le difficoltà del governo della Chiesa, in tempi così critici, esigono, da chi ne porta il peso, cure molteplici e gravissime e di tutti i momenti.
Le condizioni generali d'Europa e del mondo, il Sacro Collegio ben lo conosce, sono oltremodo incerte e paurose; e si ripercuotono dolorosamente sulla Santa Sede.
Priva di una vera sovranità che le assicuri l'indipendenza, e sottoposta al potere altrui, non può non risentire le incertezze, i pericoli, i danni cui è esposta l'Italia al di dentro e al di fuori.
Onde è che ogni agitazione che sorga all'interno e particolarmente a Roma, ogni disastro che la minacci dall'estero, fa nascere nei cattolici di tutto il mondo apprensioni, ansietà e timori per la sorte del loro Capo.
A questa, che può dirsi fondamentale cagione delle Nostre sollecitudini, altre se ne aggiungono parimenti gravissime, per il lamentevole stato delle cose religiose in Italia.
Si è detto, ed anche in altro luogo si è ripetuto, che la Chiesa in Italia gode della maggior libertà e di una condizione la più invidiabile.
Ma come ascoltare senza giusta indignazione simili enormezze?
Il solo fatto di avere, coll'occupazione del principato civile, tolto alla Santa Sede la sua sovrana indipendenza, è già tale offesa che le altre comprende ed abbraccia.
Questa offesa tocca direttamente il Capo supremo della cattolicità, e la libertà della sua azione nel mondo: questa violata o comunque impedita, tutto il governo della Chiesa conviene che ne soffra.
Ma oltre questa, altre offese abbiamo a deplorare contro il Nostro spirituale potere in Italia.
Qui l'esercizio del ministero episcopale nei nuovi pastori che Noi nominiamo soffre indugi od impedimenti pel così detto Exequatur, che per sistema si differisce sempre di molti mesi, e diviene per l'autorità laica il mezzo di assoggettare le persone, da Noi con diligentissima ponderazione prescelte, ad inquisizioni fiscali, talora anche della più bassa specie.
Né è nuovo il caso che a persone degnissime, giudicate da Noi adatte agli speciali bisogni di alcune diocesi, sia negato il possesso della mensa; la qual cosa, oltre la privazione dei mezzi necessari alla vita, porta pure funesti effetti su molti atti della giurisdizione episcopale, indispensabili al governo di una diocesi.
Ma non basta; ché per alcune nomine s'impongono vincoli anche più forti coi pretesi diritti di patronato, prima abbandonati e non esercitati per più anni, poi ripresi e mantenuti duramente: i quali peraltro non potendosi da Noi in alcun modo ammettere per mancanza di ogni fondamento giuridico e delle condizioni volute dai canoni per esercitarli, avrebbero per effetto di lasciare indefinitamente senza pastori un numero non piccolo di diocesi.
E infatti ve ne sono al presente non poche, vacate da qualche anno, e tutte sommamente desiderose di avere in mezzo a loro i Vescovi da Noi da lungo tempo nominati.
Né basta ancora: ricordiamo, solo accennando, e le difficoltà opposte alla recluta del giovane Clero e alle vocazioni ecclesiastiche; e la sottrazione di tanti operai evangelici per la dispersione degli Ordini religiosi; l'esclusione della Chiesa dal pubblico insegnamento; le disposizioni del nuovo codice penale contro il Clero; la confisca di una gran parte della sostanza ecclesiastica; gli atti già consumati e gli altri che si minacciano a danno delle Opere pie, dei pii sodalizi e di qualsiasi istituzione cattolica; il favore accordato alle sette, nemiche giurate del nome cristiano.
Sarebbero queste per avventura le prove della sconfinata libertà, di cui gode ora la Chiesa in Italia?
Questo stato di cose, se nuoce alla Chiesa, è funestissimo all'Italia, e le fa correre tutti i danni di cui è causa alle nazioni l'oblio e il disprezzo della religione.
Abbiamo ricordato, non ha guari, il grande interesse che vi è per le nazioni di non allontanarsi da Cristo e dalla sua Chiesa, senza la cui sovrumana virtù invano si spera di contenere i popoli nel dovere e di assicurar loro i benefici inestimabili della pace.
Ciò vale in modo tutto proprio per l'Italia, che fatta centro per Roma della religione divina e favorita dalla Provvidenza più di ogni altra nazione, dovrebbe provare tanto più gravemente le conseguenze del suo allontanamento da Cristo, quanto maggiore sarebbe la sua ingratitudine.
Le nazioni, come gl'individui, quando si scostano dalla via tracciata loro dalla Provvidenza, vanno miseramente in decadenza ed a certa rovina.
È follia sperare che l'Italia possa godere prosperità, facendo guerra alla religione di Cristo.
È follia sperare che l'Italia possa aver pace, sicurezza, tranquillità, finché si mantiene viva la lotta contro il Papato, se ne conculcano le ragioni, e gli si nega quella condizione di vera sovranità, che è efficace tutela della sua indipendenza.
Vegga pertanto il popolo italiano e riconosca alfine dove e quali siano i suoi veri amici; e seguendo l'impulso dell'indole sua, profondamente religiosa e cristiana, s'ispiri sempre alle gloriose tradizioni dei suoi tempi migliori.
Intanto Noi, tra le difficoltà che Ci circondano, confidati negli aiuti del cielo e nella santità della causa che sosteniamo, sicuri della costante cooperazione del Sacro Collegio, proseguiremo animosi l'opera Nostra, aspettando ed affrettando colla preghiera il momento della misericordia per la Chiesa e per la società.
Ed attestando nuovamente al Sacro Collegio il Nostro grato animo, a pegno di specialissimo affetto, impartiamo ad esso e ai singoli suoi membri, come pure ai Vescovi e Prelati e a quanti sono qui presenti, l'Apostolica Benedizione.
Leone XIII