12 novembre 1944
La vostra presenza, diletti figli, richiama alla Nostra mente il ricordo di una scena svoltasi a Parigi nel dicembre del 1804.
Nella gran sala del Louvre, ove numerose delegazioni accorrevano a rendere omaggio al Vicario di Cristo e a ricevere la sua benedizione, furono presentati al Sommo Pontefice Pio VII cinque giovani medici - tra i quali era il celebre Laennec - membri della Congregazione Auxilium christianorum fondata pochi anni prima in quella Metropoli.
Il Papa non potè trattenere un primo movimento di sorpresa: « Oh! - egli disse sorridendo - medicus pius, res miranda! »
Nella pesante atmosfera di una educazione intellettuale materialistica un'Associazione, qual è la vostra Unione Italiana Medico-Biologica « San Luca » -, contribuisce ad immettere come una corrente di aria pura e salubre: innanzi tutto, dirigendo gli spiriti verso quelle verità fondamentali della sana ragione e della fede, nelle quali le grandi questioni dell'etica medica trovano la loro soluzione; in secondo luogo, affermando e applicando i principi cristiani nell'esercizio pratico della medicina e nella formazione della gioventù studiosa.
Ben diverso dai suoi colleghi in eleganti giubbe, che nella famosa « Lezione di anatomia » del Rembrandt sembrano solleciti soprattutto di trasmettere i loro lineamenti alla posterità, uno di quei personaggi attira invece l'attenzione di chi lo contempla per la vivezza e la profondità della sua espressione.
Col volto teso, trattenendo il respiro, egli immerge lo sguardo nel taglio aperto, ansioso di leggere il segreto di quelle viscere, avido di strappare alla morte i misteri della vita.
Scienza mirabile già nel campo suo proprio per tutto ciò che essa rivela, l'anatomia ha la virtù d'introdurre la mente in regioni ancor più vaste ed elevate.
Ben lo sapeva, ben lo sentiva il grande Morgagni, quando, durante una dissezione, lasciando cadere dalle sue mani il bisturi, esclamò: Ah, se io potessi amare Iddio come lo conosco!
Che se l'anatomia manifesta la potenza del Creatore nello studio della materia, la fisiologia penetra nelle funzioni del meraviglioso organismo, la biologia vi scopre le leggi della vita, le sue condizioni, le sue esigenze e le sue generose liberalità.
Arti provvidenziali, la medicina e la chirurgia applicano tutte queste scienze a difendere il corpo umano, tanto fragile quanto perfetto, a riparare le sue perdite, a guarire le sue infermità.
Inoltre, il medico, più che altri, dappertutto interviene non meno col suo cuore che con la sua intelligenza; egli non tratta una materia inerte, per quanto preziosa; un uomo come lui, un suo simile, un suo fratello soffre tra le sue mani.
Ben più, questo paziente non è una creatura isolata; è una persona che ha il suo posto e il suo ufficio nella famiglia, la sua missione, sia pure umile, nella società.
Più ancora, il medico cristiano non perde mai di vista che il suo malato, il suo ferito, il quale, grazie alle sue cure, continuerà a vivere per un tempo più o meno lungo o, nonostante le sue premure, morrà, è in via verso una vita immortale e che dalle disposizioni dell'infermo al momento del definitivo passaggio dipende la sua infelicità o la sua beatitudine eterna.
Composto di materia e di spirito, elemento egli stesso dell'ordine universale degli esseri, l'uomo è infatti diretto nella sua corsa quaggiù verso un termine al di là del tempo, verso un fine al di sopra della natura.
Da questa compenetrazione della materia e dello spirito nella perfetta unità del composto umano, da questa partecipazione al movimento di tutta la creazione visibile, consegue che il medico è spesso chiamato a dare consigli, a prendere determinazioni, a formulare principi, che, pur mirando direttamente alla cura del corpo, delle sue membra e dei suoi organi, interessano tuttavia l'anima e le sue facoltà, il destino soprannaturale dell'uomo e la sua missione sociale.
Ora, senza aver sempre presente al pensiero questa composizione dell'uomo, il suo posto e il suo ufficio nell'ordine universale degli esseri, il suo destino spirituale e soprannaturale, il medico correrà facilmente pericolo d'impigliarsi nei pregiudizi più o meno materialistici, di seguirne le conseguenze fatali di utilitarismo, di edonismo, di autonomia assoluta dalla legge morale.
Un capitano può ben saper dare istruzioni precise sul modo di manovrare la macchina o di disporre per la navigazione la vela; se egli però non conosce la meta, o non sa domandare ai suoi strumenti o alle stelle, che splendono sopra il suo capo, la posizione e la rotta della sua nave, ove lo condurrà la sua folle corsa?
Ma questo concetto di essere e di fine apre la via a più alte considerazioni.
La complessità di quel composto di materia e di spirito, come anche di quell'ordine universale, è tale che l'uomo non può dirigersi verso il fine totale ed unico del suo essere e della sua personalità, se non con l'azione armoniosa delle sue molteplici facoltà corporali e spirituali, e che non può tenere il suo posto né isolandosi dal resto del mondo, né perdendovisi, come si perdono in una agglomerazione amorfa miriadi di molecole identiche.
Ora questa complessità reale, questa armonia necessaria offrono le loro difficoltà, dettano al medico il suo dovere.
Formando l'uomo, Iddio ha regolato ciascuna delle sue funzioni; le ha distribuite fra i diversi organi; ha determinato con ciò stesso la distinzione fra quelli che sono essenziali alla vita e quelli che non interessano se non la integrità del corpo, per quanto preziosa possa essere, la sua attività, il suo benessere, la sua bellezza; al tempo stesso Egli ha fissato, prescritto e limitato l'uso di ciascuno; non può dunque permettere all'uomo di ordinare la sua vita e le funzioni dei suoi organi a suo talento, in modo contrario agli scopi interni ed immanenti ad essi assegnati.
L'uomo invero non è il proprietario, il signore assoluto del suo corpo, ma soltanto l'usufruttuario.
Da qui deriva tutta una serie di principi, e di norme, che regolano l'uso e il diritto di disporre degli organi e delle membra del corpo e che s'impongono ugualmente all'interessato e al medico chiamato a consigliarlo.
Le medesime regole debbono inoltre dirigere la soluzione dei conflitti tra interessi divergenti, secondo la scala dei valori, salvi sempre i comandamenti di Dio.
Perciò non sarà mai permesso di sacrificare gl'interessi eterni ai beni temporali, anche fra i più pregiati, come neanche sarà lecito di posporre questi ultimi ai volgari capricci e alle esigenze delle passioni.
In tali crisi, talvolta tragiche, il medico si trova ad essere spesso il consigliere e quasi l'arbitro qualificato.
Anche circoscritti e ristretti alla persona stessa, così complessa nella sua unità, i conflitti inevitabili fra interessi divergenti fanno sorgere problemi assai delicati.
Quanto più ardui sono poi quelli che la società solleva, quando fa valere diritti sul corpo, sulla sua integrità, sulla vita stessa dell'uomo!
Ora è talvolta ben difficile di determinarne in teoria i limiti; nella pratica, il medico, non meno che il singolo individuo direttamente interessato, possono vedersi nella necessità di esaminare e analizzare tali esigenze o pretese, di misurare e valutare la loro moralità e forza etica obbligante.
Qui parimente ragione e fede tracciano i confini fra i diritti rispettivi della società e dell'individuo.
Senza dubbio l'uomo è per natura sua destinato a vivere in società; ma, come insegna anche la sola ragione, in massima la società è fatta per l'uomo, e non l'uomo per la società.
Non da essa, ma nel Creatore stesso, egli ha il diritto sul proprio corpo e sulla sua vita, e al Creatore risponde dell'uso che ne fa.
Da ciò consegue che la società non può direttamente privarlo di quel diritto, fintantoché non si sia reso punibile di una tale privazione con un grave e proporzionato delitto.
Riguardo al corpo, alla vita e alla integrità corporale dei singoli individui, la posizione giuridica della società è essenzialmente diversa da quella degli individui medesimi.
Per quanto limitato, il potere dell'uomo sulle sue membra e sui suoi organi è un potere diretto, perché essi sono parti costitutive del suo essere fisico.
È chiaro infatti che, non avendo il loro differenziamento in una perfetta unità altro scopo che il bene dell'intero organismo fisico, ciascuno di questi organi e di queste membra può essere sacrificato, se mette il tutto in un pericolo che non potrebbe altrimenti scongiurarsi.
Ben diverso è il caso della società, la quale non è un essere fisico, le cui parti sarebbero i singoli uomini, ma una semplice comunanza di fine e di azione; al qual titolo essa può esigere da coloro, che la compongono e sono chiamati suoi membri, tutti i servigi necessariamente richiesti dal vero bene comune.
Tali sono le basi sulle quali deve fondarsi ogni giudizio circa il valore morale degli atti e degli interventi, permessi o imposti dai poteri pubblici, sul corpo umano, la vita e la integrità della persona.
Le verità finora esposte possono essere conosciute col solo lume della ragione.
Ma vi è una legge fondamentale, la quale si offre allo sguardo del medico più che degli altri, e il cui integro senso e fine soltanto dal lume della rivelazione può essere rischiarato e manifestato: vogliamo dire il dolore e la morte.
Senza dubbio il dolore fisico ha anche una naturale e salutare funzione: esso è un segnale d'allarme, che svela il nascere e lo svilupparsi, spesso insidioso, dell'occulto malore, e induce e spinge a procurare il rimedio.
Ma il medico incontra inevitabilmente il dolore e la morte nel corso delle sue ricerche scientifiche, come un problema di cui il suo spirito non possiede la chiave, e nell'esercizio della sua professione, come una legge ineluttabile e misteriosa, di fronte alla quale spesso la sua arte rimane impotente e la sua compassione sterile.
Egli può ben stabilire la sua diagnosi secondo tutti gli elementi del laboratorio e della clinica, formulare la sua prognosi secondo tutte le esigenze della scienza; ma nel fondo della sua coscienza, del suo cuore di uomo e di scienziato, sente che la spiegazione di quell'enimma si ostina a sfuggirgli.
Egli ne soffre; l'angoscia lo attanaglia inesorabilmente, finché egli non domanda alla fede una risposta che, sebbene non completa, quale è nel mistero dei disegni di Dio e si farà palese nella eternità, vale tutta a tranquillare il suo animo.
Ecco questa risposta.
Iddio, creando l'uomo, lo aveva per dono di grazia esentato da quella legge naturale di ogni vivente corporeo e sensibile, non aveva voluto mettere nel suo destino il dolore e la morte; il peccato ve li ha introdotti.
Ma Egli, il Padre delle misericordie, li ha presi nelle sue mani, li ha fatti passare per il corpo, le vene, il cuore del suo Figlio diletto, Dio come lui, fatto uomo per essere il Salvatore del mondo.
Così il dolore e la morte sono divenuti per ogni uomo, che non respinge Cristo, mezzi di redenzione e di santificazione.
Così il cammino del genere umano, che si svolge in tutta la sua lunghezza sotto il segno della Croce e sotto la legge del dolore e della morte, mentre matura e purifica l'anima quaggiù, la conduce alla felicità senza limiti di una vita che non ha fine.
Soffrire, morire: è bensì, per adoperare l'ardita espressione dell'Apostolo delle genti, la « stoltezza di Dio », stoltezza più saggia di tutta la sapienza degli uomini ( cfr. 1 Cor 1,21ss ).
Al pallido chiarore della sua debole fede il povero poeta potè cantare: « L'homme est un apprenti, la douleur est son maître, - Et nul ne se connait tant qu'il n'a pas souffert » ( Alfred de Musset, La nuit d'octobre ).
Alla luce della rivelazione il pio Autore della Imitazione di Cristo potè scrivere il sublime capo decimo secondo del suo secondo libro « De regia via sanctae Crucis », tutto rifulgente della più mirabile comprensione e della più alta sapienza cristiana della vita.
Di fronte dunque all'imperioso problema del dolore, quale risposta il medico potrà dare a se stesso?
quale all'infelice, che l'infermità abbatte in un cupo torpore, o che insorge in una vana ribellione contro la sofferenza e la morte?
Soltanto un cuore penetrato da una viva e profonda fede saprà trovare accenti d'intima sincerità e convinzione, capaci di far accettare la risposta dello stesso Maestro divino: È necessario patire e morire, per entrare così nella gloria ( cfr. Lc 24,26.46 ).
Egli lotterà con tutti i mezzi e gli espedienti della sua scienza e della sua abilità contro la malattia e la morte, non con la rassegnazione di un disperato pessimismo, né con la « esasperata risolutezza », che una moderna filosofia crede di dover esaltare, bensì con la calma serenità di chi vede e sa ciò che il dolore e la morte rappresentano nei disegni salvifici dell'onnisciente e infinitamente buono e misericordioso Signore.
È dunque manifesto che la persona del medico, come tutta la sua attività, si muovano costantemente nell'ambito dell'ordine morale e sotto l'impero delle sue leggi.
In nessuna dichiarazione, in nessun consiglio, in nessun provvedimento, in nessun intervento, il medico può trovarsi al di fuori del terreno della morale, svincolato e indipendente dai principi fondamentali dell'etica e della religione; né vi è alcun atto o parola, di cui non sia responsabile dinanzi a Dio e alla propria coscienza.
È ben vero che alcuni respingono come un assurdo e una chimera, in teoria e in pratica, il concetto di una « scienza medica cristiana ».
A loro avviso, non può esservi una medicina cristiana, a quel modo che non vi è una fisica o una chimica cristiana, teorica o applicata: il dominio delle scienze esatte e sperimentali - essi dicono - si estende al di fuori del terreno religioso ed etico, e perciò esse non conoscono né riconoscono che le loro proprie leggi immanenti.
Strano e ingiustificato restringimento del campo visivo del problema!
Non vedono essi che gli oggetti di quelle scienze non sono isolati nel vuoto, ma fanno parte del mondo universale degli esseri; hanno nell'ordine dei beni e dei valori un determinato posto e grado; sono in permanente contatto con gli oggetti delle altre scienze, e in particolar modo stanno sotto la legge della immanente e trascendente finalità, che li lega in un tutto ordinato?
Ammettiamo però che, quando si parla di orientazione cristiana della scienza, si ha in vista non tanto la scienza in se stessa, quanto nei suoi rappresentanti e cultori, in cui vive, si svolge e si manifesta.
Anche la fisica e la chimica, che gli scienziati e i professionisti coscienziosi fanno servire a vantaggio e beneficio dei singoli individui e della società, possono invece divenire, in mano di uomini perversi, agenti e strumenti di corruzione e di rovina.
Tanto più dunque è chiaro che nella medicina l'interesse supremo della verità e del bene si oppone a una pretesa liberazione oggettiva o soggettiva dai molteplici suoi rapporti e vincoli, che la mantengono nell'ordine generale.
Ma la vostra Unione dei medici e biologi cattolici non è preziosa soltanto perché le dotte discussioni che in essa si sollevano e si agitano, le relazioni scientifiche che essa promuove, la fedele adesione agl'insegnamenti della Chiesa che i suoi membri professano, assicurano a ciascuno di loro una più larga conoscenza, una più profonda comprensione delle verità fondamentali che delimitano e dominano il campo dei loro studi e della loro attività.
Essa offre anche un altro vantaggio: quello di agevolare nella pratica professionale la soluzione di casi particolarmente difficili conforme alla legge morale.
Sarebbe impossibile in un breve discorso di enumerare e vagliare questi singoli casi: d'altra parte, nella Nostra esortazione del passato Febbraio ai parroci e ai quaresimalisti di Roma avemmo già occasione di esporre una serie di considerazioni intorno al Decalogo, dalle quali stimiamo che anche il medico cattolico possa trarre alcuni utili ammaestramenti per l'esercizio della sua professione.
Il massimo di tutti i comandamenti è l'amore: l'amore di Dio e, come da esso fluente, l'amore del prossimo.
Il vero amore, illuminato dalla ragione e dalla fede, non rende ciechi, ma più chiaroveggenti gli uomini; né mai il medico cattolico potrà incontrare un miglior consigliere di questo vero amore, nel dettare i suoi pareri o nell'assumere e condurre a termine la cura di un malato « Dilige, et quod vis fac »: questo detto di S. Agostino ( in I Io. tr. 7 cap. 4 n. 8 ), - assioma incisivo, spesso citato fuor di proposito, trova qui la sua piena e legittima applicazione.
Quale ricompensa sarà per il medico coscienzioso l'udire nel giorno della eterna retribuzione il ringraziamento del Signore: « Ero infermo, e mi visitaste » ( Mt 25,36 )!
Un tale amore non è debole; non si presta ad alcuna diagnosi compiacente; è sordo a tutte le voci delle passioni che vorrebbero procurarsi la sua complicità: è pieno di bontà, senza invidia, senza egoismo, senza ira; non gode dell'ingiustizia; tutto crede, tutto spera, tutto sopporta: così l'Apostolo delle genti dipinge la carità cristiana nel suo mirabile inno dell'amore ( cfr. 1 Cor 13,4-7 ).
Il quinto comandamento - Non uccidere ( Es 20,13 ) -, questa sintesi dei doveri riguardanti la vita e la integrità del corpo umano, è fecondo d'insegnamenti, così per il docente sulla cattedra universitaria, come per il medico esercente.
Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine.
Della vita di un uomo, non reo di delitto punibile con la pena di morte, solo signore è Dio!
Il medico non ha diritto di disporre né della vita del bambino né di quella della madre: e niuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana potestà, può autorizzarlo alla diretta distruzione di essa.
Il suo ufficio non è di distruggere le vite, ma di salvarle.
Principi fondamentali e immutabili, che la Chiesa nel corso degli ultimi decenni si è vista nella necessità di proclamare ripetutamente e con ogni chiarezza contro opinioni e metodi opposti.
Nelle risoluzioni e nei decreti del magistero ecclesiastico il medico cattolico trova a questo riguardo una guida sicura per il suo giudizio teorico e la sua condotta pratica.
Ma vi è nell'ordine morale un vasto campo, che richiede nel medico particolare chiarezza di principi e sicurezza di azione: quello in cui fermentano le misteriose energie immesse da Dio nell'organismo dell'uomo e della donna per il sorgere di nuove vite.
È una potenza naturale, di cui lo stesso Creatore ha determinato la struttura e le forme essenziali di attività, con un fine preciso e con corrispondenti doveri, ai quali l'uomo è sottoposto in ogni cosciente uso di quella facoltà.
Lo scopo primario ( a cui i fini secondari sono essenzialmente subordinati ) voluto dalla natura in questo uso è la propagazione della vita e la educazione della prole.
Soltanto il matrimonio, regolato da Dio stesso nella sua essenza e nelle sue proprietà, assicura l'una cosa e l'altra secondo il bene e la dignità non meno della prole che dei genitori.
Tale è l'unica norma che illumina e regge tutta questa delicata materia; la norma alla quale in tutti i casi concreti, in tutte le questioni speciali, conviene risalire; la norma infine, la cui fedele osservanza garantisce in questo punto la sanità morale e fisica dei singoli individui e della società.
Non dovrebbe riuscire difficile al medico di comprendere questa immanente finalità profondamente radicata nella natura, per affermarla ed applicarla con intima convinzione nella sua attività scientifica e pratica.
A lui non di rado più che allo stesso teologo si presterà fede, quando ammonirà e avvertirà che chiunque offende e trasgredisce le leggi della natura, avrà prima o poi a soffrirne le funeste conseguenze nel suo valore personale e nella sua integrità fisica e psichica.
Ecco il giovane, che sotto l'impulso delle nascenti passioni ricorre al medico; ecco i fidanzati, i quali in vista delle loro prossime nozze gli chiedono consigli, che non di rado pur troppo desiderano in senso contrario alla natura e alla onestà; ecco i coniugi, che cercano da lui lume e assistenza o più ancora connivenza, perché pretendono di non poter trovare altra soluzione o via di scampo nei conflitti della vita, all'infuori della voluta infrazione dei vincoli e dei doveri inerenti all'uso dei rapporti matrimoniali.
Si tenterà allora da essi di far valere tutti i possibili argomenti o pretesti ( medici, eugenici, sociali, morali ), per indurre il medico a dare un consiglio o a prestare un aiuto, che permetta il soddisfacimento dell'istinto naturale, privandolo però della possibilità di raggiungere lo scopo della forza generatrice di vita.
Come potrà egli rimaner fermo di fronte a tutti questi assalti, se a lui stesso faranno difetto la chiara conoscenza e la convinzione personale che il Creatore stesso per il bene del genere umano ha legato l'uso volontario di quelle energie naturali al loro scopo immanente con un vincolo indissolubile, che non ammette alcun rilasciamento né rottura?
L'ottavo comandamento ha parimente il suo posto nella deontologia medica.
La menzogna secondo la legge morale non è a nessuno permessa; vi sono tuttavia dei casi in cui il medico, anche se interrogato, non può, pur non dicendo mai cosa positivamente falsa, manifestare crudamente tutta la verità, specialmente quando sa che il malato non avrebbe la forza di sopportarla.
Ma vi sono altri casi nei quali egli ha senza dubbio il dovere di parlare chiaramente; dovere dinanzi al quale ha da cedere ogni altra considerazione medica o umanitaria.
Non è lecito di cullare l'infermo o i parenti in una sicurezza illusoria, col pericolo di compromettere così la salute eterna di lui o l'adempimento di obblighi di giustizia o di carità.
Sarebbe in errore chi volesse giustificare o scusare una tale condotta col pretesto che il medico si esprime sempre nel modo da lui stimato più opportuno nell'interesse personale del malato, e che è colpa degli altri se prendono troppo alla lettera le sue parole.
Fra i doveri derivanti dall'ottavo comandamento è da annoverare altresì l'osservanza del segreto professionale, il quale deve servire e serve non solo all'interesse privato, ma più ancora al comune vantaggio.
Anche in questo campo possono sorgere conflitti fra il bene privato e il pubblico, ovvero fra i diversi elementi e aspetti dello stesso bene pubblico; conflitti nei quali può riuscire talora estremamente difficile di misurare e pesare giustamente il pro e il contro fra le ragioni di parlare e di tacere.
In tale perplessità il medico coscienzioso domanda ai principi fondamentali dell'etica cristiana le norme, che lo aiuteranno ad incamminarsi per la retta via.
Queste invero, mentre affermano nettamente, soprattutto nell'interesse del bene comune, l'obbligo del medico di mantenere il segreto professionale, non riconoscono però ad esso un valore assoluto; non sarebbe infatti confacente allo stesso bene comune, se quel segreto dovesse essere posto al servizio del delitto o della frode.
Non vorremmo infine omettere di dire una parola sull'obbligo del medico non solo di possedere una soda coltura scientifica, ma altresì di continuare sempre a sviluppare e a integrare le sue cognizioni e le sue attitudini professionali.
Trattasi qui di un dovere morale in senso stretto, di un vincolo che lega in coscienza davanti a Dio, perché riguarda un'attività che tocca da vicino i beni essenziali dell'individuo e della comunità.
Esso importa: Per lo studente di medicina nel tempo della sua formazione universitaria l'obbligo di applicarsi seriamente allo studio per acquistare le conoscenze teoriche richieste e l'abilità pratica necessaria nella loro applicazione.
Per il professore universitario il dovere d'insegnare e di comunicare agli alunni l'una cosa e l'altra nel miglior modo, e di non dare ad alcuno un certificato d'idoneità professionale, senza essersene previamente assicurato con un coscienzioso e approfondito esame.
Agire diversamente sarebbe commettere una grave colpa morale, perché esporrebbe a seri pericoli e ad incalcolabili danni la salute privata e pubblica.
Per il medico, che esercita già la sua professione, l'obbligo di tenersi informato dello sviluppo e dei progressi della scienza medica, mediante la lettura di opere e di riviste scientifiche, la partecipazione a congressi e corsi accademici, le conversazioni coi colleghi e le consultazioni presso i professori delle facoltà di medicina.
Questo costante studio di perfezionamento obbliga il medico esercente, in quanto gli è praticamente possibile e viene richiesto dal bene dei malati e della comunità.
Sarà un grande onore per la vostra Unione di dimostrare coi fatti che i suoi membri non solo non la cedono ad alcuno in materia di scienza e di abilità professionale, ma anzi si distinguono nella prima fila.
Con ciò essa contribuirà efficacemente a suscitare e rafforzare la fiducia nei principi morali che professa; e ne verrà per conseguenza che quanti desiderano veramente utili e saggi consigli, valida assistenza, coscienziosa cura, scorgeranno nell'appartenenza di un medico alla vostra associazione una garanzia che la loro aspettazione non rimarrà delusa.
Luca, che S. Paolo chiamò « medico carissimo » ( Col 4,14 ), scrisse nel suo Vangelo: « Tramontato poi il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui ( Gesù ).
Ed egli, imposte a ciascuno di essi le mani, li risanava » ( Lc 4,4 ).
Senza possedere tale prodigiosa virtù, il medico cattolico, che è realmente quale la sua professione e la vita cristiana esigono, vedrà tutte le umane miserie cercare presso di lui un rifugio e chiedere alla sua mano benefica di stendersi e posarsi sopra di loro.
E Iddio benedirà la scienza e la perizia di lui, affinché possa guarire molti e, ove ciò non gli sia dato, procurare almeno agli afflitti alleviamento e conforto.
Con l'augurio che così preziosa grazia vi sia abbondantemente concessa nella molteplice opera vostra, impartiamo di gran cuore a tutti voi qui presenti, alle vostre famiglie, a quanti avete in desiderio e in affetto, ai malati affidati alle vostre cure, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.