11 gennaio 1953
Benchè la sollecitudine di tutte le Chiese ( 2 Cor 12,14 ) tenga fissa la Nostra attenzione sul mondo intero e Ci obblighi a vigilare su tutte le porzioni del gregge di Cristo, affinchè non manchi ad esse il pascolo e non siano preda dei lupi, non possiamo tuttavia dimenticare che Gesù, Supremo Pastore invisibile, volle affidata a Noi in particolar modo la città di Roma.
Perciò vanno ad essa le Nostre speciali cure, e nessuno si meraviglia che per essa siano le Nostre ansie più vive.
Roma è per duplice titolo la Nostra città; ogni gruppo di romani trova quindi la più affettuosa accoglienza, ogniqualvolta brama di avvicinarsi al suo concittadino e Pastore, il quale è sempre lieto di riceverli e di benedirli con tutta la effusione del suo cuore paterno.
Così oggi Ci vediamo con tanta gioia in mezzo a una grande famiglia della Chiesa romana, tra una moltitudine di fedeli appartenenti alla parrocchia di S. Saba, una di quelle comunità romane, che sono, ogni giorno più, il Nostro gaudio e la Nostra corona ( cfr. Fil 4,1 ).
Vi diamo dunque il Nostro festoso benvenuto, diletti figli e figlie.
Voi avete voluto coronare e conchiudere dinanzi al Vicario di Cristo le celebrazioni del vostro ventennio, e Noi rendiamo grazie a Dio che Ci ha concesso di esservi vicini per dirvi la Nostra parola di lode e di esortazione.
Abbiamo desiderato d'informarCi esattamente di quanto è stato fatto in questi venti anni, ed esprimiamo il Nostro paterno compiacimento al vostro zelante parroco, ai religiosi della Compagnia di Gesù, ai sacerdoti e ai bravi laici, tutti scelti da Dio per essere suoi strumenti nel collaborare ad una coltura sempre più intensa ed efficace di questa eletta parte della sua vigna.
Certamente Gesù solo conosce appieno quanto è avvenuto nell'intimo delle coscienze negli anni trascorsi di lavoro parrocchiale:
quanta luce è piovuta nelle menti di migliaia di persone;
quanta forza è stata trasfusa nelle volontà;
quanti conforti dati,
quante lacrime asciugate,
quanti bambini custoditi,
quante gioventù salvate,
in quante famiglie conservata o ricondotta la serenità e la pace!
Basta leggere le cifre riguardanti le attività caritative o direttamente apostoliche delle varie Associazioni per rimanere consolati e commossi.
Abbiamo appreso con viva compiacenza che nella vostra parrocchia ferve l'opera di assistenza a ogni genere di bisognosi e che sacerdoti e laici, specialmente di Azione Cattolica, si prodigano affinchè l'istruzione religiosa - in ogni occasione propizia e sotto ogni forma utile - venga impartita ai fedeli, specialmente ai fanciulli.
Ma i Nostri occhi si sono fermati sopra una di quelle cifre, che da sè sola sarebbe stata sufficiente a colpirCi e a procurarCi una santa letizia: 120.000 Comunioni vengono annualmente distribuite nella vostra parrocchia; il che, raffrontato col numero degli abitanti, dà una confortevole idea della frequenza alla sacra mensa eucaristica.
Vi esprimiamo, diletti figli e figlie, la Nostra gratitudine per quanto ciascuno di voi ha attuato affine di mantenere tanta intensità di vita e tanto fervore di opere.
Ma Noi non approfitteremmo bene delle vostra presenza qui nella casa del Padre comune, se alle espressioni di lode per quanto avete fatto, non aggiungessimo il Nostro incitamento ad agire sempre più alacremente, affinchè la vostra parrocchia anche negli anni futuri possa essere come Dio la vuole e come la bramano le anime rette di questo nostro tormentato tempo.
Anzi, poichè è già non lontano il venticinquesimo anniversario della vostra parrocchia, abbiamo pensato di rivolgervi una domanda che ha il valore di un urgente invito.
Voi sapete che la Nostra Esortazione del 10 febbraio dello scorso anno è stata fervidamente raccolta da altre città d'Italia e del mondo.
Altre seguiranno ancora.
Ma non vi è dubbio che Roma, la quale ebbe per prima la Nostra consegna, non dovrebbe essere a nessuna seconda nell'ardore del rinnovamento.
Diletti figli e figlie: volete voi, in questo tempo che vi separa dal vostro venticinquesimo, tentare tutto e fare ogni sforzo, affinchè la vostra parrocchia divenga un modello di vita cristiana, individuale e collettiva, in una Roma rinnovata dall'impulso delle sue Guide spirituali e dall'opera concorde dei fedeli tutti?
Sappiamo che i Nostri diletti figli i parroci stanno facendo quanto è loro possibile per rispondere alla Nostra aspettazione: si moltiplicano gli edifici sacri dell'Urbe, e Noi abbiamo fiducia che l'aumentato spazio materiale sia premessa e simbolo dei più vasti progressi spirituali: « ut quod Ecclesiae … corporalibus pro ficit spatfis, spiritualibus amplificetur augmentis » ( Postcom. in Dedic. Eccl. ).
Volete entrare in una santa gara di fraterna emulazione con le altre parrocchie della Città?
Allora è necessario che voi sacerdoti e laici militanti, insieme con tutti i fedeli, formiate una Comunità efficiente ed operante, affinchè Gesù sia vita di tutte le anime.
A Gerusalemme si raccolse nel Cenacolo, sotto lo sguardo di Maria, la comunità cristiana, la Chiesa, iniziata con la predicazione del Signore, consumata nel patibolo della Croce, manifestata nella sua unità e universalità il giorno della Pentecoste.
Essa rimarrà il modello, il prototipo di ogni comunità cristiana, anche della parrocchia.
Anche questa è una famiglia i cui membri vivono ed operano in fraterna comunanza.
Conviene quindi allontanare da essa, per quanto sarà possibile, gli eccessi dello spirito individualistico e mettere in evidenza la scarsa utilità di apporti separati, senza il vicendevole aiuto e la mutua collaborazione.
Occorrerà pertanto giungere alla unione effettiva di tutte le forze militanti.
Noi abbiamo detto altra volta che la unicità, poichè distrugge la varietà, sarebbe, oltre tutto, un errore strategico nello schieramento del fronte cattolico.
Nessun dubbio quindi che debba essere grande il rispetto delle varie Associazioni approvate e benedette dalla Chiesa, almeno finchè esse si conservano vive e vitali.
Ma una varietà lasciata a sè stessa, senza che ritrovi, per così dire, l'unità al vertice, avrebbe effetti dannosi nella condotta della pacifica lotta per la conquista del mondo a Cristo.
Vi è inoltre un clima di vera fraternità da creare ed alimentare fra i fedeli.
I cuori dei primitivi cristiani erano così potentemente mossi dalla grazia di Dio e dall'impulso dello Spirito Santo, che i più facoltosi volentieri vendevano i loro possedimenti per soccorrere gli altri, di guisa che « non vi era fra loro alcun bisognoso » ( At 4,32-35 ).
Noi abbiamo recentemente nel Nostro Messaggio natalizio esortato tutti a guardarsi attorno per vedere quanti fratelli hanno fame e non possono attendere che si muova la lenta macchina delle organizzazioni caritatevoli.
Che stupendo spettacolo darebbero i fedeli a un mondo egoista e senza cuore,
se tutti si sforzassero a non considerare nessun membro della parrocchia quasi come un estraneo;
se le pene e le gioie di ognuno fossero pene e gioie di tutti;
se si tendesse a correggere quella stridente sperequazione dei beni così contraria al senso cristiano.
II. - Nello spirito di questa comune unione voi dovete operare indefessamente, affinchè Gesù sia conosciuto, amato e servito da tutti.
Non dimenticate che questo è il fine di tutta la vita parrocchiale.
Il resto va stimato in quanto e per quanto giova al conseguimento dello scopo che la Chiesa vuole ottenere.
Il campo sportivo, il teatro, il cinema parrocchiale, la stessa scuola, se vi è, - tutte utilissime e spesso necessarie istituzioni -, non sono il centro della parrocchia.
Il centro è la chiesa, e nella chiesa il tabernacolo con a lato il confessionale; dove ritrovano la vita le anime morte e le malate riacquistano la sanità.
Per conseguenza nulla serve propriamente al fine - che sono le anime da salvare e da santificare -, se non passa per questo centro ideale: la chiesa, il tabernacolo.
Lodevole è lo sport che Noi stessi abbiamo spesso raccomandato nei suoi giusti limiti; necessario anche il divertimento onesto nelle sue svariate forme.
Ma tutto deve essere sospinto, per così dire, da una forza centrifuga e rinviato da una forza centripeta; e il centro si chiama « vita delle anime », si chiama Gesù.
Per operare realisticamente e organicamente bisogna imparare a riconoscere i veri fedeli nella parrocchia.
Questi non si contano propriamente al cinema parrocchiale, nei cortei e nelle processioni; anzi nemmeno, per essere esatti, alla sola Messa domenicale.
I veri fedeli, i vivi, si vedono ai piedi dell'altare, quando il sacerdote distribuisce il Pane vivo disceso dal cielo.
Noi vorremmo, diletti figli e figlie, che nascesse in tutti voi e crescesse ogni giorno più quasi una santa irrequietezza per trovare i mezzi idonei a riportare la luce dove sono le tenebre e ridonare la vita a coloro che sono morti.
Cominciate col procurare che « respirino » nuovamente le anime colpite da asfissia, perchè non pregano mai e in nessuna maniera.
Fate che da tutti i cuori salga alle labbra e dalle labbra al cielo una invocazione anche breve, ma ripetuta tutti i giorni: ecco un obiettivo abbastanza semplice, per il quale merita che si mobilitino tutte le forze buone.
Il bambino lo chiederà alla mamma, al babbo; la giovane forse riuscirà a convincere il fidanzato; la sorella lo otterrà dal fratello.
Una parrocchia, nella quale tutti ogni giorno si ricordano d'invocare il Signore, non tarderà ad accorgersi che rigermoglia in essa la vita.
Tanto più facile sarà di ottenere questa rinascita, se col « respiro » diverrà più frequente il « nutrimento » delle anime.
Non pochi trascurano di osservare perfino il precetto della Chiesa, che prescrive la Comunione almeno una volta l'anno; vi è chi, specialmente fra gli uomini, si contenta di un nutrimento annuale, appena sufficiente a reggersi in vita.
Ecco dunque un altro obiettivo da conseguire unendo tutte le buone energie disponibili: che un grande numero di anime si accosti con maggior frequenza alla mensa eucaristica.
Un'ultima mèta, diletti figli e figlie, desideriamo di additare a voi come Comunità operante.
In questi anni che vi separano dal vostro venticinquesimo, voi dovete cercar di risolvere nel miglior modo anche il problema dei militanti cattolici, anime elette, consacrate alla collaborazione nell'apostolato gerarchico.
È anzitutto un problema di numero: troppo pochi sono ancora coloro che militano nelle vostre file, iscritti alle varie Associazioni.
È tempo di lotta; ma tanti buoni cristiani pare che vogliano rimanersene a parte, come semplici civili, senza arruolarsi in qualcuna di quelle schiere che combattono nel complesso fronte del bene.
Occorrerà chiamare a raccolta tutte le anime di buona volontà: ad esse si mostri la bellezza dell'impresa e anche la certezza della vittoria.
Noi pensiamo in questo momento specialmente ai cari giovani, che troppo spesso se ne stanno inerti, perchè nessuno fa brillare dinanzi ai loro occhi l'ideale di un combattimento per la difesa e per la conquista.
È in secondo luogo un problema di qualità.
Sarebbe errore contentarsi del mediocre; non tutti hanno ancora imparato a proporre ai nostri militanti le mète che forse li farebbero fremere di entusiasmo.
Si deve pretendere da loro tutto o almeno moltissimo, nella certezza che spesso si dà più volentieri tutto che una parte, si dà più facilmente molto che poco.
Finalmente, con l'augurio che grazie all'aiuto divino possiate costantemente imitare i sublimi esempi e le virtù domestiche della Sacra Famiglia, di cui oggi si celebra la Festa, impartiamo di cuore l'Apostolica Benedizione.