22 novembre 1959
L'incontro di questa mattina con un sì grande numero di Seminaristi, Ci procura una intensa gioia, venata di commossa tenerezza.
Abbiamo celebrato per voi e in mezzo a voi il Sacrificio Eucaristico, di cui la vostra anima ardente gioì pregusta le gioie austere e segrete: ed il Nostro gaudio è stato pieno, quando sull'Altare si è reso presente il Divino Salvatore, l'Agnello di Dio, Sacerdote e Vittima, per offrire ancora una volta al Padre Celeste il soave profumo del Suo Sacrificio, e per comunicarsi a ciascuno dei presenti nella realtà della Sua carne eucaristica.
Il vedere ora i vostri volti pensosi e attenti, i vostri occhi sereni: il contemplare lo spettacolo da voi offerto, Ci apre il cuore alle più liete speranze.
Questa fioritura di giovinezza esultante, che si dispiega attorno a Noi sul conchiudersi dell'anno liturgico, è la più bella garanzia della perpetua fecondità della Chiesa, e la più amabile promessa di una ripresa fervida, per l'avvento del Regno di Dio.
Come le buone mamme delle nostre antiche famiglie cristiane si allietano quando un loro figliolo risponde generoso alla divina chiamata, così la Madre Chiesa è come presa da intensa tenerezza nel contemplare i suoi giovani figli, in sortem Domini votati: cioè tocchi dall'insigne privilegio della vocazione allo stato ecclesiastico o religioso, e lieti di corrispondervi, come sanno esserlo specialmente i giovani.
La corona di Seminaristi, che oggi contempliamo, Ci richiama agli occhi e al pensiero la schiera di tutti i giovani, che nelle regioni di antica tradizione cristiana, o nei paesi di missione, si preparano al sacerdozio; e questa visione consolante di anime giovanili, tese in meraviglioso ardore verso il più alto ideale che in terra possa darsi, Ci ispira una parola, che possa servirvi come di programma: parola dettata dal desiderio che tutti si studino di corrispondere sempre meglio alle esigenze degli uomini di oggi, ed al rinnovato proposito della Chiesa di raccogliersi in se stessa per rilevare più compiutamente al mondo la sua interiore ed esteriore bellezza.
Questo programma, che amiamo proporvi, si ispira alle tre grazie, che continuamente chiediamo a Dio per intercessione della Vergine Immacolata, Madre del Buon Consiglio, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, di San Carlo Borromeo, e di tutti i santi Patroni delle diocesi e dei seminari: e cioè la purezza del cuore; la robustezza del carattere; e l'ardore della carità.
Queste grazie sono come tre fiori, che debbono abbellire la profumata e promettente giovinezza dei chiamati, e renderla perenne per tutta la vita, anche quando gli anni e le fatiche apostoliche ne avranno indebolito il fisico vigore.
1) Anzitutto la purezza del cuore; quella che, attraverso una vigile e costante attenzione, diviene ordine e trasparenza di tutta la vita, di ogni parola, di ogni atto.
Questa virtù è l'incanto delle famiglie cristiane, da cui fiorisce come nel suo naturale ambiente; ed è il fascino irresistibile delle anime.
Passando come neve immacolata sul fango, che purtroppo ricopre tanta parte di questo povero mondo, che è totus in maligno positus ( Gv 3,19 ), essa si impone al rispetto anche dei lontani, anche di chi a parole può averla qualche volta derisa, ma che la esige intatta e luminosa nei rappresentanti di Dio.
La purezza del cuore è l'atmosfera serena di cui vive ogni seria vocazione, il terreno in cui debbono germogliare e svilupparsi tutte le altre buone disposizioni.
Certo, essa non è la prima virtù, nel senso che, qualora mancasse l'amore di Dio e del prossimo, essa diventerebbe freddo esercizio di perfezione naturale; ma essa è il respiro dell'amore di Dio, e la condizione insostituibile per il servizio disinteressato del prossimo nel sacerdotale ministero.
É essa che prepara le gioie incomparabili dei lunghi colloqui ai piedi del Tabernacolo; che nutre i fervidi pensieri di apostolato e di carità; che ispira una serenità continua, che non si abbatte nelle avversità, né trasmoda nella gioia.
Essa conferisce all'agire dei seminaristi e dei sacerdoti, alle loro parole, al loro tratto, un'impronta inconfondibile di serena delicatezza, di geloso riserbo, e anche di signorile discrezione; ed attira le anime col fascino stesso di Gesù.
Vivete di questa virtù con la freschezza dei vostri giovani anni; e custoditela nella preghiera, nella mortificazione, e nello studio.
Poiché è ancora essa che conserva e accresce la gioia della studio ecclesiastico, sentito come preparazione ai doveri del ministero, e aggiornamento continuo della propria cultura: studio teologico, pastorale, ascetico, - di cui - come dicevamo ai dilettissimi sacerdoti del patriarcato Veneziano, celebrando con essi il Sinodo - « non manca tutta una letteratura moderna copiosa e ricchissima in varie lingue, e di facile accesso.
Questi sono gli studi che convengono ai sacerdoti del Signore, ben più che le soporifere e velenose letture che corrodono le giovani coscienze, e sotto il velo di far conoscere tutto per tutto giudicare, per erudire la moderna generazione, diventano una scuola e un esercizio del subtiliter fornicare; esse tolgono alle anime sacerdotali il fascino che trascina gli innocenti verso le visioni e i propositi più alti, e che conserva agli apostoli della verità e del bene la gioia interiore, la purezza degli occhi e il sorriso ».1
2) Da questo proposito di purezza, consapevole e luminosa, prende origine quella robustezza di carattere, che vi abbiamo presentata come la seconda dote della vostra vocazione.
La Chiesa vuole degli uomini saldi e solidi, ben formati nella mente e nel cuore.
Fortunatamente è passato il tempo in cui, non conoscendo la forte e roborante realtà della Chiesa, se ne presentavano i figli come esseri monchi e deboli, quasi senza spina dorsale.
L'appartenere alla Chiesa esige invece tempra adamantina di carattere e di volontà, continua lotta contro passioni ed egoismi, superamento di se stessi con l'aiuto del Signore.
Se questo è vero per chi vuole vivere da sincero cattolico, è tanto più vero per chi si è dedicato ad un altissimo ideale, qual è la vocazione sacerdotale, a cui soltanto è chiamata una eletta schiera di uomini risoluti e forti, che sappiano seguire la voce del Signore senza infingimenti, né compromessi, rinunziando anche alle gioie lecite per vivere già fin nel mondo terreno una vita celeste.
Ebbene la Chiesa vi vuole così.
I futuri sacerdoti debbono essere capaci di resistere alle attrattive e seduzioni del secolo: debbono saper moderare la loro sensibilità, per essere sempre padroni di sé, in ogni circostanza; e avere in grado eminente anche le virtù naturali, perchè invano cercheremmo il cristiano ed il Sacerdote degni della loro vocazione, se non fossero altresì dotati di virtù naturali: ecco quindi il dovere della sincerità, dell'imparzialità, imitando la condotta di Dio, dinanzi al Quale non v'è accettazione di persone ( Cfr. Rm 2,11 ); il mantenere la parola data; l'essere lineari e retti, non seguendo le vie tortuose della confusione e dell'imprecisione, né giustificando intenzioni meno belle con pretesti di carità e di culto.
A questa condotta di veri figli di Dio si riferisce un tratto della bella Epistola della Messa di oggi, che tutti esorta a camminare « in maniera degna di Dio, piacendo a Lui in ogni cosa, fruttificando in ogni opera buona, e crescendo nella scienza di Dio; corroborati con ogni sorta di fortezza dalla gloriosa potenza di Lui, ad ogni pazienza e longanimità con gaudio » ( Col 1,10-11 ).
3) In ultimo, vi è necessario l'ardore della carità, che dà il coronamento e la perfezione ad ogni nostra azione.
Questa virtù sublime « è la pienezza della Legge » ( Rm 13,10 ): essa è dunque necessaria per l'adempimento ordinato e fedele dei doveri quotidiani, dai più piccoli ai più grandi; essa sostiene l'obbedienza cordiale al proprio Vescovo, e fa desiderare ardentemente il servizio della diocesi, dimenticando ogni preoccupazione di indole terrena, di umani riconoscimenti, di effimere lodi.
Il Seminarista che arde di questa carità non si spaventa delle difficoltà, che talvolta si frappongono nella sua vita di preghiera e di studio; si abbandona fiducioso alla volontà di Dio, che lo ha chiamato, e a cui non vuole portare dispiacere alcuno; si distingue nella disciplina e nell'ordine; compie quasi senza accorgersene i sacrifici inerenti alla sua vita, ed offre sorridendo al Signore la mortificazione di ogni spirito mondano, che talvolta lo vorrebbe sommergere; e, soprattutto, animato da questa carità, fa della preghiera e dei Sacramenti il centro luminoso della sua vita.
Oh sublime bellezza della vocazione sacerdotale!
Non avremmo osato dipingervene i tratti essenziali, che la presentano con una grandezza quasi sovrumana, se non sapessimo che ci è vicino Colui, che mentre chiama al suo servizio, dona altresì la forza per corrispondere alla chiamata.
Pertanto l'ispirazione di tutto questo si ha nel Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, ricettacolo di giustizia e di amore; si ha nel Cuore Immacolato di Maria, Madre purissima, Vergine potente, Regina dei vergini.
Quanti Sacerdoti, attingendo alle ricchezze del Cuore Divino, vi hanno trovato la fonte della loro santificazione!
Basti ricordare il santo Curato d'Ars, di cui abbiamo proposto ai Sacerdoti di tutto il mondo l'esempio sublime di fedeltà alla propria vocazione, nella recente Enciclica Sacerdotii Nostri Primordia.
Ogni diocesi conserva nei suoi dittici la memoria di Sacerdoti umili e grandi, il cui nome, anche al di fuori del riconoscimento ufficiale della Chiesa, richiama santità, dedizione, fervore, anche oltre il breve termine della vita terrena.
A questo proposito amiamo confidarvi, cari figlioli, il ricordo che conserviamo vivo e sacro nel cuore, come sempre ce ne sta cara e benedetta negli occhi, dopo oltre sessanta anni dalla sua morte, l'immagine, quella del primo sacerdote che incontrammo nella vita, che Ci battezzò, che Ci diede la prima Comunione, accanto al quale si aprì e si svolse come fiore delicato la Nostra adolescenza: a tal punto di penetrazione spirituale da farci ritenere che quella sua fosse la forma migliore e più elevata di vivere sulla terra: cioè santificarsi e santificare: pregare per tutti e fare la carità; e da non permetterCi di pensare ad altro, per la Nostra felicità personale di quaggiù, per la Nostra felicità eterna nella luce del Signore.
Ah ! carissimi figlioli.
Possiate voi incontrare sempre di tali sacerdoti, che vi ispirino edificazione ed incoraggiamento a proseguire nella ricerca della perfezione sacerdotale.
Possiate voi, alla vostra volta, col vostro fervore e col vostro fascino dei buoni esempi, preparare generazioni nuove, che procurino benedizioni al vostro nome quaggiù nella Chiesa militante, e vi assicurino le delizie eterne della Chiesa trionfante, con Gesù, il Re glorioso dei secoli e dei popoli.
Amiamo accompagnare questi voti con la paterna, propiziatrice Benedizione Apostolica, che di tutto cuore impartiamo a ciascuno di voi ed ai vostri zelanti e bravi Superiori e Professori, e con particolare riguardo alle vostre famiglie, che con lieto sacrificio vi sostengono nel cammino usque ad montem Dei.
1 | Sinodo diocesano di Venezia: Discorsi del Cardinale Patriarca; Città del Vaticano 1959, p. 49 |