16 aprile 1966
Signor Sindaco! Signori Assessori e Consiglieri del Comune di Roma!
Signori tutti rappresentanti della Città!
Le parole che Noi abbiamo adesso ascoltate, dalla voce del primo magistrato dell'Urbe, interprete eletto ed autorevole di quanti qui assistono e dell'intera cittadinanza romana, sono così alte e significative, che subito Ci obbligano a rispondervi con la Nostra riconoscenza e con il Nostro plauso; e sono così dense di pensieri e di sentimenti, e così appropriate alla presente circostanza, che Ci dispensano dall'aggiungervi Nostre ripetizioni e Nostri commenti.
Ma dobbiamo pur dire la commozione, che riempie in questo momento l'animo Nostro, anche se Ci è difficile esprimerla, e non vogliamo lasciarle prendere il volo verso i grandi orizzonti che sempre spaziano davanti a questo colle fatidico.
Sì, siamo molto commossi e molto meravigliati di trovarci in questa sede ed in questa assemblea.
Qui è Roma.
La vostra, la Nostra.
Roma dei secoli.
Roma della civiltà latina e cristiana.
Qui la sua culla, qui la sua reggia.
Qui Roma si fa idea, qui simbolo, qui maestà, qui mistero.
Non diciamo di più; ma notiamo soltanto che questo è bello, e - come il Signor Sindaco ha detto testé - questo è grande.
Un'ora della storia romana si compie; e Noi ne ascoltiamo gli squillanti rintocchi: sono squillanti di pienezza, di forza, di armonia e di pace.
Li ascoltiamo volentieri, e ne benediciamo Iddio.
Li ascoltiamo volentieri, non senza gustare il senso d'una certa sorpresa dell'avvenimento presente: il Papa in Campidoglio.
Questo è un ritorno; Noi non siamo forestieri qui dentro; quante memorie, quanti monumenti lo dicono!
Ma quale ritorno?
Qua venne, circa un secolo fa, Pio XI; ma quanto diversamente.
Noi non abbiamo più alcuna sovranità temporale da affermare quassù.
Conserviamo di essa il ricordo storico, come quello d'una secolare, legittima e, per molti versi, provvida istituzione di tempi passati; ma oggi non abbiamo per essa alcun rimpianto, nè alcuna nostalgia, nè tanto meno alcuna segreta velleità rivendicatrice.
Però, anche se un'altra minuscola sovranità temporale, quasi più simbolica che effettiva, Ci qualifica nei vostri riguardi liberi e indipendenti, non Ci mancano i titoli per appartenere al popolo di Roma; e Noi volentieri Ci sentiamo fieri ed onorati di far Nostra la professione di San Paolo, come quella d'un'eccellente umana dignità: civis Romanus, cittadino romano ( cfr. At 16,21; At 22,25-29 ): teniamo anche Noi a proclamarci tali.
Ma ora altra è la Nostra personalità spirituale e giuridica, che qui voi considerate ed onorate, e che qui Noi adesso rivestiamo.
Voi Ci avete bene riconosciuti.
Le parole del Signor Sindaco l'hanno dimostrato.
Non abbiamo avuto bisogno di presentazioni.
Con l'occhio e col cuore del popolo di Roma, avvezzo da secoli a simile incontro, voi avete ravvisato nella Nostra umile persona quella dell'antico San Pietro, del quale indegnamente, ma autenticamente siamo successori, e come tali oggi qui Ci accogliete.
Nessun dubbio; è così.
Come voi non avete alcuna esitazione ad accoglierci per quello che veramente siamo, personificazione storica e mistica del Principe degli Apostoli, e perciò Vicario di Cristo, così, da parte Nostra, non abbiamo alcuna incertezza a riconoscere in voi i magistrati ed i cittadini, che amministrano e rappresentano, per via di liberi suffragi, l'Urbe e il suo popolo.
La Nostra venuta perciò e la Nostra soddisfazione d'essere fra voi ufficialmente, per la perenne missione che a Noi è affidata, da un lato, e, dall'altro, la cortesia festiva e sontuosa e non meno ufficiale, con cui voi aprite le porte del Campidoglio a questa Nostra visita, dicono a noi tutti, e dimostrano alla Città e al mondo, come e quanto siamo vicendevolmente coscienti di trovarci nel solco rettilineo d'una schietta e gloriosa tradizione secolare, prettamente romana.
La continuità, la fedeltà storica, che caratterizza questo momento singolare e felice, merita la nostra avvertenza.
Non dobbiamo lasciarci sfuggire il senso profondo che un episodio, come questo, acquista per il fatto d'essere armonicamente tessuto nel disegno storico, sempre maestoso, sempre misterioso, della vita di Roma.
Ma Noi dobbiamo ora dire i motivi prossimi di questa Nostra visita; e sono noti: uno di ringraziamento, l'altro d'incoraggiamento.
Sì. Siamo venuti innanzi tutto per ringraziare.
E facciamo questo nella Nostra veste di Pontefice Romano, di Capo visibile di tutta la Chiesa Cattolica, e cioè dispiegando il grado più alto della Nostra funzione autoritativa e rappresentativa, e assumendo nella Nostra voce quella della Curia Romana e di tutti i Padri Conciliari.
Noi infatti, come promotori e presidenti del recente Concilio Ecumenico Vaticano secondo, ringraziamo Lei, Signor Sindaco, ringraziamo tutte le autorità cittadine, ringraziamo anche la popolazione romana dell'ospitalità, del rispetto, della gentilezza, di cui il Concilio Ecumenico è stato circondato.
Siamo consapevoli del vantaggio che codesta accoglienza ha dato al buon esito delle assise conciliari;
Ci fa piacere dare testimonianza delle premure, dei servizi, delle cortesie che sono state prodigate sia alle persone, che alle manifestazioni del Concilio;
siamo lieti e lusingati dell'onore che per il felice svolgimento di così grande e singolare avvenimento si proietta sulla Città e segna una pagina nobile e indimenticabile della sua storia;
non dimentichiamo i segni particolari d'interessamento e di omaggio, dati dal Comune di Roma al Concilio Ecumenico, quali l'accoglienza a Noi fatta, in questa medesima residenza municipale, quando Ci fu dato l'incarico di dire una parola su "Roma e il Concilio", immediatamente prima dell'apertura del grande Sinodo, e allora tanto più onorato quanto più modesto era il Nostro discorso come quello d'uno dei Padri conciliari;
come pure ricordiamo i cordiali e fastosi ricevimenti offerti, in questa incomparabile sede, dalle autorità comunali, sempre in occasione del Concilio;
e così la medaglia commemorativa dello storico evento, fatta coniare ed offerta dal Comune di Roma ai membri del Concilio e ad altre personalità;
e l'intervento infine del Signor Sindaco e di altri rappresentanti alle più solenni cerimonie conciliari, ultima quella dell'otto dicembre scorso, che Ci procurò il piacere d'incontrare Lei, Signor Sindaco, sulla Piazza San Pietro, per la benedizione della prima pietra della chiesa, che sarà dedicata e costruita in onore della Madonna Madre della Chiesa, per la cura pastorale d'un rione periferico della Città ed in memoria del celebrato Concilio.
Grazie di tutto questo.
Ma ancor più effuse grazie esprimiamo per ciò ch'Ella, Signor Sindaco, ora nobilmente Ci diceva; non essere stato l'atteggiamento del Comune di Roma verso la Chiesa Cattolica nell'ora conciliare puramente esteriore e formale, ma penetrato altresì dalla comprensione "dei fini spirituali della Chiesa" stessa.
"Roma, Ella diceva, ha compreso il senso e la portata dei problemi dibattuti e risolti; non si è limitata ad una partecipazione spettacolare … Roma si è lievitata durante il Concilio ed è cresciuta moralmente in seguito ad esso …".
Questo fatto è fonte di grande compiacenza e di grande speranza per Noi: esso Ci mostra che Roma non è immemore della sua vocazione cattolica, non è insensibile alla vicenda spirituale che si svolge nei suoi confini; non è restia alla sua missione universale, mentre dalla irradiazione della fede cristiana sente l'originale sua storia continuata e sublimata, la sua civiltà collaudata e diffusa, il suo nome celebrato e benedetto per tutta la terra.
E così sia per sempre.
E questa consolante osservazione si collega con il secondo motivo, che ha suggerito questa visita, non occasionale questo, ma perpetuo, com'è perpetuo il Nostro ufficio pastorale verso la diocesi di Roma, costituita quasi per intero dal Comune di Roma, e perciò primieramente verso coloro che ne amministrano gli interessi e ne rappresentano la vita cittadina.
Un motivo d'incoraggiamento, dicevamo, il quale sembra non tanto suggerito dal bisogno di codesta Amministrazione e della Città, quanto dall'intimo impulso d'un Nostro dovere.
Noi non abbiamo più alcuna parte nella gestione degli affari temporali dell'Urbe.
Ma crede Ella, Signor Sindaco, e credono Loro Signori che in seguito a ciò Noi Ci disinteressiamo delle cose cittadine e che siamo indifferenti ai problemi della Città?
Ci sembra doveroso dichiarare che il Nostro amore per essa non è venuto meno per il fatto che siamo esonerati dall'occuparCi del suo governo e delle sue questioni amministrative; il Nostro amore è cresciuto.
È quello d'un Vescovo, è quello d'un Pastore, cioè d'un sacerdote, d'un maestro, d'un difensore, d'una guida, d'un amico, d'un servitore.
Ella ha detto molto bene, Signor Sindaco: il rapporto fra il Vescovo e la Città è un rapporto vitale; e per il fatto ch'esso intercorre fra due piani diversi e distinti, non è meno operante, meno solidale, meno provvido, meno cordiale; sì bene, da parte Nostra, più forte nei suoi sentimenti, più libero nelle sue manifestazioni, più puro nei suoi intenti, più sollecito nei suoi servizi.
Siamo venuti per ripetere qui queste umili e grandi cose allo scopo di assicurare la Nostra comprensione per i molti e grossi problemi, che assillano la metropoli.
Ella, Signor Sindaco, Ce ne ha fatto cenno, altrettanto sobrio che grave.
Conosciamo e immaginiamo le necessità e le difficoltà d'una Città come Roma.
Ecco: siamo qui per dirvi la Nostra ammirazione per lo sviluppo enorme e rapidissimo avuto dalla Città in questi anni dopo la guerra;
siamo venuti per sostenere la vostra dedizione in ordine alla soluzione dei pesanti e difficili problemi urbani d'ogni genere;
siamo venuti per confortare con la Nostra esortazione il vostro interessamento preferenziale per i cittadini più bisognosi di abitazione, di lavoro, di scuola, di formazione civica, di assistenza morale e sanitaria.
Vorremmo con la Nostra parola corroborare le virtù proprie di chi amministra la cosa pubblica d'una comunità cittadina, qual è Roma: la saggezza, il senso di responsabilità, il disinteresse, la concordia, la tenacia, l'amore.
Vorremmo in cotesto amore infondere altro amore, quello che deriva dal Vangelo, e si chiama carità; e non è solo legge, ma virtù; e virtù non solo morale, ma spirituale.
Roma merita tanta passione; merita dal Signore il dono di grazia, che renda esemplare ed efficace il suo servizio, altamente civile e modernamente cristiano il suo volto.
A quest'ultimo proposito il Nostro ringraziamento ed il Nostro incoraggiamento s'intrecciano e si fondono per dirvi la riconoscenza e la compiacenza, con cui accogliamo l'assegnazione del terreno necessario per gli edifici e le opere parrocchiali del costruendo quartiere di Spinaceto: né dono migliore, né cortesia più cara poteva assicurare alla Nostra memoria la data odierna; ne traiamo auspicio d'essere gentilmente compresi per analoghi bisogni degli altri nuovi rioni della Città, e ne facciamo argomento d'impetrazione al Signore perché l'abbia sempre a proteggere, come maestra di cristiana civiltà nel mondo, degna e consapevole sede delle tombe dei Martiri e del centro della Chiesa cattolica.
E due cose, prendendo commiato, Noi vi lasciamo ( oltre qualche altro Nostro modesto ricordo commemorativo e decorativo ): la bandiera medioevale di Roma, quella che Cola di Rienzo, il sognatore della "renovatio Urbis", agitò in tempi tristissimi della Città, recante l'immagine di San Giorgio cavaliere, quasi a risvegliare nei Romani la sopita coscienza delle loro antiche glorie e l'audace speranza di altre future; non rimangono di questo cimelio che alcuni lembi corrosi e curiosi; ma sapendo da voi desiderato questo storico trofeo di fede civica e religiosa, volentieri a voi lo rendiamo, in auspicio delle migliori, perenni fortune della vostra e Nostra Città.
E l'altra cosa è tutta spirituale: è la Nostra Benedizione Apostolica, mediante la quale, dopo aver invocato la protezione di Maria Santissima, "Salus Populi Romani", e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, non mitici Dioscuri tutelari dell'Urbe, con immensa affezione e con sicura fiducia imploriamo, su voi tutti e su tutto il Popolo di Roma, quella di Dio.