6 maggio 1967
Salute, Fratelli! Salute, Amici! Salute, Figli carissimi!
Ed a voi, Signori, ottimati dei pubblici poteri, della stampa, del teatro, della musica e della canzone, del cinema, della radio, della televisione; a voi, artisti, a voi, scrittori, a voi, autori, registi e operatori e tecnici; a voi, produttori e distributori dello spettacolo, e diffusori della pubblicità; a voi, critici e relatori; a voi, lettori e spettatori; a voi, coinvolti e quasi travolti dal soverchiante e dall'invadente e dal trasformante fatto delle comunicazioni sociali, il Nostro cordiale e rispettoso saluto, il Nostro ringraziamento per la vostra visita, il Nostro augurio per la vostra attività.
Siate i benvenuti a questo incontro.
È il primo del genere, per la larghezza dei suoi inviti, per l'altezza delle sue intenzioni.
Ci dobbiamo conoscere; una presentazione è necessaria.
Siamo in chiesa; e non tanto in questa chiesa monumentale, quanto piuttosto in questo centro vitale della Chiesa cattolica; e che la Chiesa abbia indetto questo spirituale e amichevole convegno ormai si sa.
Il Concilio ecumenico, vale a dire l'organo della più alta potestà della Chiesa ( cf. can. 336 ), e il momento della sua più piena coscienza, ha stabilito di promuovere la Giornata delle Comunicazioni Sociali, che celebriamo per la prima volta ( Decr. « Inter mirifica », n. 18 ).
Che cosa significa una tale deliberazione?
È chiaro: vuol dire che la Chiesa considera il fatto, di cui voi, Signori, siete, per un verso o per l'altro, i protagonisti più rappresentativi e gli interessati qualificati ( moderatori, promotori, operatori, relatori, osservatori, eccetera );
è innanzi tutto un fatto di estrema importanza, il fatto cioè della comunicazione sociale;
in secondo luogo, indica che per la Chiesa è un fatto che può e deve essere considerato globalmente, nella sua multiforme espressione, riducibile ad un essenziale ed unico aspetto, quello della trasmissione d'una realtà spiritualizzata ( resa cioè pensiero, voce, visione … ) alla più larga cerchia possibile di esseri umani, così che la società ne sia informata e impressionata;
e, terzo, significa che la Chiesa si sente in dovere d'intervenire, di occuparsi, per certe sue ragioni profonde e irrinunciabili, del fatto medesimo della comunicazione sociale.
Perché intervenire?
perché deve la Chiesa occuparsi di questo fatto della comunicazione sociale, il quale si realizza in organi, in forme, in scopi, che esulano dalla sua competenza, e che sono per tanti aspetti a lei estranei, indifferenti, e talora anche ostili?
che cosa ha da dire e da fare la Chiesa nel mondo della comunicazione sociale, nel vostro mondo, o Signori?
Perché osa la Chiesa convocarvi a questo incontro?
Ecco, Signori, che noi allora ci presentiamo.
Pensate voi che se non avessimo titolo, un titolo che si traduce per noi in dovere, ancora prima che in diritto, noi ardiremmo invitarvi, disturbarvi a venire a questo colloquio, intrometterci nel vostro mondo, che noi sappiamo e ancora più sentiamo diverso dal nostro?
Vorremmo, Signori, che voi vi accorgeste che, così facendo, noi, sì, facciamo uno sforzo interiore, vinciamo un'istintiva, umana timidezza, superiamo quel senso di soggezione e di timore, che la vostra presenza di autentici rappresentanti del grande mondo della comunicazione sociale ci incute.
Noi avvertiamo il vallo che separa il vostro campo dal nostro, il profano dal sacro; o, per meglio dire, riconosciamo la vostra competenza, rispettiamo la vostra libertà, onoriamo la vostra bravura.
Non siamo in cerca delle cose vostre ( cfr. 2 Cor 12,14 ), noi cercatori del regno di Dio, e pastori di anime.
Ma ascoltateci, anzi comprendeteci.
Abbiamo due ragioni principali ( tanto per semplificare ed essere brevi ), che ci autorizzano a chiamarvi d'intorno, a metterci in mezzo a voi, a produrre un episodio di comunicazione sociale con questa stessa celebrazione.
Voi le conoscete, voi le indovinate queste ragioni.
La prima ragione si è che noi, noi pure, siamo addetti alla comunicazione sociale.
Ci pare di poter dire, sotto questo aspetto, che siamo vostri colleghi; e che oggi ci valiamo di questa ragione, diciamo così, professionale, per marcare la profonda affinità che intercede fra la nostra missione e la vostra attività.
Non è una pretesa forzata.
Sapete chi siamo? stiamo dei « cultores Verbi » dei cultori della Parola, degli adoratori, degli ascoltatori del Verbo di Dio; e poi, quando il Verbo di Dio si è fatto uomo e si è espresso con voce umana, nel Vangelo, annuncio di verità e di salvezza, noi, da umili discepoli, siamo stati fatti apostoli, predicatori, missionari, profeti, maestri, servitori di una universale comunicazione, quella della fede e della carità.
Noi siamo voce.
Siamo, come il Precursore di Cristo, voce che grida.
La nostra missione è di annunciare sopra i tetti ( Mt 10,27 ) ciò che ci è stato confidato nel mistero dell'iniziazione cristiana e sacerdotale, e che ci è stato possibile assorbire personalmente nell'intimità della preghiera, dello studio, dell'esperienza spirituale.
Che la nostra voce risuoni nel deserto, che manchi di capacità di farsi ascoltare, che non abbia d'intorno a sé la massa di uditori di cui sarebbe avida e degna, è altra questione; questione che tocca in parte il mistero della salvezza, per altra parte la povertà dei nostri strumenti comunicativi; ma sta il fatto che noi non abusivamente aspiriamo ad essere iscritti nell'albo dei promotori della comunicazione sociale; e, per il mandato e la natura della nostra funzione apostolica, non certo per vantare i nostri meriti, né per disconoscere i vostri, ad un posto speciale; un posto tipico, un posto che segna il vertice, per spiritualità, per necessità, per universalità, della comunicazione sociale.
Come, se così è, non essere lieti, lietissimi di trovarci oggi in mezzo a voi, nella coscienza del Nostro ministero e nel riconoscimento della vostra funzione?
Questo vi dica, Signori, come Noi siamo in grado di comprendervi, di onorarvi, di avervi a colloquio, e fors'anche di aiutarvi.
Ed è qui che affiora la seconda ragione del Nostro interessamento.
Noi siamo - voi lo sapete - estremamente tesi verso lo scopo sommo e, in un certo senso, unico della comunicazione sociale, che è quello di formare, di edificare, di salvare l'uomo.
Cioè diamo massimo rilievo all'effetto umano della comunicazione sociale.
Meno quasi Ci preme lo strumento ( il mezzo, la forma, l'abilità ), di cui voi siete ricchi e potenti, che lo scopo della comunicazione sociale; scopo, sul quale vorremmo far convergere massimamente la vostra attenzione.
Se la parola, tanto ricorrente, ma non sempre valutata nelle sue intrinseche e supreme esigenze, di responsabilità ha un senso nel campo, disteso ora davanti al nostro sguardo, tale senso ( a prescindere da quello proprio della coscienza etico-religiosa ) non può essere altro che quello dato dal vincolo preesistente alla comunicazione sociale, il vincolo cioè di umanità, di fratellanza, di solidarietà, e perciò di rispetto e di amore che unisce chi genera con chi riceve la comunicazione sociale stessa.
Una forte, chiara, sana coscienza sociale deve presiedere alla immissione nel circuito della comunità di parole, di visioni, di stimoli psicologici ed etici, che alla comunità si riferiscono.
La libertà stessa dell'arte, ch'è la più tipica e la più gelosa, non può, non deve pronunciarsi a danno del tessuto sociale, in cui si inserisce.
La comunicazione sociale non può, non deve intossicare, disgregare, demoralizzare il popolo che la riceve.
Nessuno interesse deve prevalere al vero bene del popolo.
Ora forse direte, Signori, che Noi incominciamo una predica.
No, non è ora nelle Nostre intenzioni.
La Nostra intenzione in questo momento è diversa.
È quella, dicevamo, di aiutarvi, di onorarvi per quello che siete.
È la seconda ragione per cui oggi la Chiesa si occupa della comunicazione sociale.
È una ragione di ministero.
Non sappiamo se in pratica gli uomini di Chiesa sono sempre abili ad esercitarlo; ma il dovere, la vocazione per esercitarlo l'avrebbero.
Diciamo: voi siete venuti in casa Nostra per riconoscere la Nostra missione di operatori della comunicazione sociale; Noi osiamo venire alle soglie della casa vostra per riconoscere la vostra.
Non predica, elogio.
Esortazione.
Vorremmo dire di più: rivelazione.
Noi vorremmo rivelare a voi stessi ciò che potete fare, ciò che siete chiamati a fare.
Ci limitiamo a considerare questo aspetto potenziale della vostra professione ( taciamo ora l'aspetto reale ) per svelare a voi stessi alcune segrete energie, a voi certo non ignote, ma da Noi, in virtù del Nostro carisma spirituale, meglio identificabili.
Dobbiamo nominarle queste energie?
Una, la prima, è l'amore; non l'amore-passione, che forma sovente la trama dell'arte scenica e narrativa, ma l'amore-simpatia per quel popolo, ora menzionato, a cui voi vi rivolgete.
Diciamo: non l'amore del suo applauso ( che può invanire ); non del suo favore ( che può avvilire ); ma del suo bene.
Amate i fanciulli?
Amate la gioventù?
Amate il cittadino intelligente ed onesto?
Amate il mondo dei fratelli che lavorano e che soffrono e che sperano, d'intorno a voi?
E se amate - ecco che la Nostra voce si fa eco di quella di Cristo - negherete alla fame e alla sete del nostro popolo l'alimento sano, che lo nutre, lo fortifica e lo allieta, per dargli invece cibo di facile smercio, che disintegra la sua salute morale, la sua vitalità sociale?
Altra energia è la bellezza della bontà.
Pochi, si direbbe, ora vi credono, quasi interessassero di più la rappresentazione del vizio e l'apologia della disperazione.
Troppo vi sarebbe da dire a questo riguardo.
Ma sta il fatto che quando voi, scrittori ed artisti, sapete estrarre dalla vicenda umana, per umile e triste che sia, un accento di bontà, subito un bagliore di bellezza percorre l'opera vostra.
Non vi si chiede che facciate i moralisti a tesi fissa; ma ancora si fa credito alla vostra magica abilità di far intravedere il campo di luce che sta dietro il mistero della vita umana.
E se questo fate vi accorgerete che non più sulla scena esteriore, non più su gli altri voi lavorate, ma su voi stessi.
È questa un'altra energia, sopita o fremente, inquietante sempre, ma rigeneratrice, che ogni operatore della comunicazione sociale porta con sé, e di per se stessa capace d'imprimervi il timbro personale, il timbro della sincerità, dell'autenticità umana ed artistica.
Per comunicare davvero con gli altri bisogna ritrovare se stessi.
È questa l'energia di chi cerca il senso profondo della vita.
È l'energia della coscienza morale, bisognosa di luce, di ordine, di amore, di pace.
Saltiamo il drammatico processo intermedio per concludere: bisognosa di Cristo.
E qui chiuderemo il Nostro discorso, augurando che questo incontro, mentre dice a voi le ragioni dell'interesse della Chiesa per la comunicazione sociale, vi dica insieme quanto la Chiesa abbia stima delle vostre persone, delle vostre attività, delle vostre funzioni nel mondo contemporaneo, e come su di esse, con la Nostra Benedizione, implori quella di Dio.