25 settembre 1970
Salutiamo la prima Assemblea Nazionale dei Dirigenti Diocesani dell'Azione Cattolica Italiana.
La prima: vuol dire dopo l'approvazione del nuovo Statuto.
Varie osservazioni sono state fatte a questo nuovo Statuto, che a suo tempo, cioè dopo l'« ad experimentum » per un triennio, saranno da considerare.
Sono invece da notare subito due cose: che, se si parla d'un « nuovo » Statuto, segno è che questo è stato preceduto da altro Statuto; e la memoria ci suggerisce che non uno, ma parecchi Statuti hanno definito e governato l'Azione Cattolica Italiana nei suoi più che cent'anni di vita.
Una storia, una tradizione, una lunga esperienza sono all'origine del momento presente.
Non dovremo dimenticare questa derivazione, per varie ragioni: nella trama di questa secolare vicenda personalità cattoliche di altissimo valore intellettuale, morale, sociale si offrono all'ammirazione, alla memoria, alla comunione spirituale della nostra presente generazione, e « una turba immensa, che nessuno può numerare » ( Cfr. Ap 7,9 ) di anime belle, forti, generose, tutte comprese del valore ideale delle loro antiche formule: « preghiera, azione, sacrificio », « fede, scienza, patria », « fortes in fide », ecc., le quali hanno dato una consistenza quantitativa e qualitativa al movimento, reso ormai nazionale, del Laicato cattolico italiano.
Possiamo ben ricordare per dovere di riconoscenza questa prima, lunga fase faticosa e gloriosa dell'Azione Cattolica Italiana, anche per un'altra ragione: perché essa realizza « ante litteram » la definizione dell'Azione Cattolica, quale emerge ora dal Concilio, e quale voi intendete fare vostra.
E la seconda cosa da notare è questa: se ora si raduna la prima Assemblea, segno è che noi siamo al principio d'un nuovo periodo, d'una nuova forma di Azione Cattolica.
Dobbiamo avere coscienza che stiamo inaugurando una vita nuova di questa espressione organizzata, nazionale del nostro Laicato cattolico.
Siamo, come oggi si dice, al « rilancio ».
L'Azione Cattolica Italiana non è dunque finita, non è anacronista, non è antiquata, non è un organismo invecchiato, che sopravvive per onore del nome; è un organismo giovane e nuovo, è un segno e una promessa di vitalità del cattolicesimo italiano.
Leggete in voi stessi la definizione, che il Concilio mette a vostra disposizione: « Collaborazione dei Laici all'apostolato gerarchico » ( Apostolicam actuositatem, 20 ).
Voi la conoscete benissimo; v'è pericolo che l'averla tanto ripetuta, questa definizione rimanga una logora espressione verbale, e non riveli la densità del suo reale significato.
Noi vi diciamo: è un parola vera, una parola viva, una parola ancora nuova per i riferimenti e gli sviluppi ch'essa deve avere con la dottrina conciliare sul Laicato nella Chiesa di Dio, per il rapporto del Laicato rispetto alla Gerarchia, e specialmente per la missione funzionale a lui assegnata, sia all'interno della Comunità ecclesiale, sia all'esterno, nel mondo.
Analizziamo ancora una volta l'ormai classica e canonica definizione.
Ci piace in ciascuno di voi ravvisare, prima di tutto, la ricchezza del cristiano fedele e cosciente, la personalità completa del battezzato, figlio di Dio, fratello di Cristo, membro del Corpo mistico, ch'è la Chiesa, partecipe del Sacerdozio regale, proprio del Popolo di Dio, animato dalla grazia dello Spirito Santo con l'abbondanza e la varietà dei suoi doni ( Cfr. Lumen gentium, 34; 1 Pt 2,5; Gal 5,22 ).
Di cittadini come voi si compone la comunità cristiana.
Cittadini perciò spiritualmente sani e forti, alimentati da quei principi interiori, che sono la Verità e la grazia; cioè la Parola di Dio e il mistero sacramentale che a Lui ci unisce; la fede e la vita di Cristo.
E subito ravvisiamo in voi anche quel segno di vita ch'è il bisogno d'azione; l'operosità, l'impulso alla testimonianza; diciamo la grande e consueta parola, l'apostolato:
è questo dapprima un impulso interiore, una vocazione, che oggi più che mai ogni cristiano autentico deve sentire;
l'attrattiva all'espansione cristiana;
l'impegno, il dovere di trasmettere ad altri ciò che il Signore ci ha donato;
l'istinto comunicativo proprio di chi avverte la gratuità, la fortuna, la responsabilità della propria vocazione cristiana.
« La vocazione cristiana infatti è per natura sua anche vocazione all'apostolato » ( Apostolicam actuositatem, 2 ).
Ecco, carissimi Laici, Noi riconosciamo in voi questo grado superiore della vera personalità cristiana: la candidatura all'apostolato, nascente da una fedeltà e da una pienezza interiore.
Che ciò imponga la programmazione d'una prima finalità, comune a tutti i membri della comunità ecclesiale, ma speciale e approfondita per voi, e proposta a tutti i livelli di età e di condizione, cioè la formazione cristiana, è fuori dubbio.
Tutti lo ammettono.
Poi ancora: Noi vediamo in voi dei cristiani, che, animati da tale vocazione, osano; escono fuori del proprio ambito individuale e cercano appunto di agire, anzi di fare.
Da interiore, l'apostolato si fa esteriore.
Quali le forme?
Quali i mezzi?
Quali i fini?
Voi sapete che la Chiesa lascia, a questo punto, una gamma molto larga di libertà per la scelta dell'azione apostolica, scelta che può essere suggerita dall'indole personale, dall'ambiente, dai doveri familiari e professionali, dai bisogni sociali, dai momenti storici, ecc.
« Unusquisque in suo sensu abundet », ognuno faccia come meglio gli pare ( Rm 14,5 ).
Anche l'apostolato individuale ha diritto di cittadinanza nella Chiesa.
Anche i così detti « gruppi spontanei », se bene intenzionati ed entro certi limiti.
Ma un'esigenza è insita nell'apostolato, si può dire, per la natura stessa dell'uomo e per lo spirito che lo deve animare: l'esigenza associativa ( Apostolicam actuositatem, 18 ).
L'apostolato per essere valido, per essere perseverante, dice ancora il Concilio, « richiede d'essere esercitato con azione comune » ( Ibid. ).
Guai a chi rimane solo.
E soli rimangono spesso quelli che prescindono, oggi specialmente, da un vincolo associativo qualificato.
Basta l'amicizia?
L'amicizia è una magnifica fonte d'apostolato, ma da sé, ordinariamente non basta, non dura; essa aiuta e fiorisce, se favorita da una « societas spiritus », da una comunanza di spirito ( Fil 2,1 ), come dice San Paolo, da un'associazione omogenea e ben costituita.
Questa occorre.
Oggi non è molto sentito il bisogno associativo; ciascuno vuol tenersi libero, non vuole vincoli, non discipline, non iscrizioni, non tessere, non distintivi, al contrario di ieri.
Ma la realtà delle cose, con la voce del Concilio, ci ammonisce: « Nelle presenti circostanze è assolutamente necessario che … sia rafforzata la forma di apostolato associata e organizzata … » ( Apostolicam actuositatem, 18 ).
Ecco la parola, oggi non da tutti compresa: l'organizzazione.
Indubbiamente essa produce molte complicazioni, molestie, oneri, che non sono sempre gradevoli; i giovani specialmente ne sono sensibili e insofferenti.
Indubbiamente l'organizzazione non è fine a se stessa.
Ma è necessaria; dovrà essere snellita e modellata secondo le circostanze, i gusti, i bisogni; ma è necessaria.
È sotto certi aspetti un sacrificio ma insieme un onore per chi vi appartiene; è una condizione di efficacia per gli scopi ch'essa si propone.
Per l'apostolato moderno è praticamente indispensabile: occorre l'organizzazione.
Voi questo avete compreso ed accettato; volete essere associati, volete essere organizzati.
Anche codesta accettazione è un grado superiore della vostra personalità ecclesiale, il quale vi mette a livello di altre associazioni cattoliche, degne di eguale stima ed incoraggiamento.
Che cosa ancora vi distingue e vi definisce?
Un'altra nota caratteristica, non certo di privilegio o di superiorità, ma di servizio; ed è il rapporto speciale con la Gerarchia ecclesiastica;
non un semplice rapporto di comunione ( il rapporto principale e indispensabile ), come dev'essere per ogni fedele:
e nemmeno un puro rapporto di dipendenza, di obbedienza, o di occasionale collaborazione, come avviene per chi, persona o gruppo, opera nell'ambito della comunità ecclesiale;
ma un rapporto, sia individuale che collettivo, di collaborazione, un rapporto statutario per voi, e riconosciuto da chi nella Chiesa ha funzioni responsabili e pastorali.
Il Concilio dice: « un più stretto legame con la Gerarchia », e per fini propriamente apostolici ( Ibid., 20 ).
Questo rapporto fa parte essenziale della vostra istituzione.
5. Non abbiate timore di questo termine « istituzione », che oggi trova oppositori e contestatori, specialmente fra quelli che vogliono vedere un contrasto fra la vita spirituale del cristianesimo e la sua istituzione visibile, comunitaria e gerarchica, mediante la quale la Chiesa, la nostra Chiesa cattolica, si realizza come vivo, mistico ed umano Corpo di Cristo.
Sappiamo che su questo punto dottrinale è impegnato contro di noi cattolici romani specialmente un attacco molto forte, che si ammanta di raffinato spiritualismo, e che si vale di tutte le infermità umane della Madre Chiesa per aggredirla con acerbe e alcune volte radicali negazioni della sua organica e potestativa incarnazione umana.
Sarà questo forse per voi un punto decisivo per la vostra adesione all'Azione Cattolica, e fors'anche per la vostra fedeltà alla vera Chiesa in quanto tale.
Non sarà difficile trovare la risposta dottrinale; più difficile, data la corrente contestatrice di moda, quella psicologica, la risposta cioè che vi dà non solo l'intima sicurezza che l'adesione, un'adesione stretta e qualificata come la vostra, alla Gerarchia della Chiesa risponde al disegno autentico di Cristo, ma che vi deve dare la gioia e la fierezza altresì di spiritualizzare al sommo con codesta professione di amore e di servizio alla Chiesa la vostra vita cristiana, e di sperimentare che in tale adesione concreta e filiale si realizza in senso pieno il nome cattolico.
Ricordiamo ancora S. Agostino: « Niente deve tanto temere il cristiano quanto l'essere separato dal corpo di Cristo », perché la separazione dal suo corpo comporta la privazione del suo Spirito ( Cfr. In Io. Ev., 27, 6 ).
E se questa adesione, la vostra, al corpo di Cristo si innesta nelle membra che hanno funzione animatrice, tanto più essa è in condizione di godere dell'animazione dei misteri, dei carismi, di cui quelle membra - cioè il Sacerdozio ministeriale, la Gerarchia - sono il veicolo, lo strumento dispensatore ( Cfr. 1 Cor 4,1 ).
Questo per le vostre anime.
E non temete per l'efficienza della vostra attività, del vostro apostolato, quasi che il suddetto peculiare rapporto con la Gerarchia abbia ad intralciare i movimenti dell'azione, a cui siete chiamati.
È chiaro infatti che il Laicato cattolico assumerà un'efficienza tanto maggiore e tanto più libera e responsabile nella comunità ecclesiale, quanto più aderente e qualificato sarà il rapporto che lo unisce alla Gerarchia, un rapporto cioè di leale collaborazione.
La quale, ad un certo momento, quando la vostra azione apostolica deve svolgersi al di fuori del recinto ecclesiale, nel mondo, diventerà incarico, diventerà fiducia e autoresponsabilità.
Cose queste che il Concilio ha messo in evidenza, e che voi ben conoscete; ed ora perciò ne fate ispirazione e programma della vostra attività.
A Noi quindi non resta che corroborare la vostra convinzione: l'Azione Cattolica è tuttora una istituzione buona e seria, voluta dalla Chiesa e aperta alla libera adesione dei Laici volontari.
Merita la vostra dedizione, e merita l'affezione, la fiducia, l'appoggio, l'assistenza del Clero e dei Vescovi specialmente.
Merita il Nostro incoraggiamento: vibra in esso il senso sofferto dei bisogni presenti della Chiesa.
Oh! non negatele il vostro aiuto operoso, la vostra fedele testimonianza! e vibra l'affetto, che durante tutto il corso del Nostro Sacerdozio abbiamo nutrito per il Laicato militante per la causa di Cristo, per l'Azione Cattolica!
Con questo sentimento fiducioso e affettuoso tutti voi qui presenti, e quanti voi rappresentate Noi di cuore benediciamo.