22 giugno 1974
A tutti voi, signori cardinali,
e in primo luogo all'interprete dei vostri sentimenti augurali, il cardinale decano, diciamo il nostro grazie più vivo per la consolazione, l'incoraggiamento, la letizia che ci procura, come di consueto, la vostra visita in occasione del nostro onomastico e degli anniversari dell'elezione e della incoronazione.
Gli anni si succedono sul ritmo incessante del tempo.
E si compie ormai l'undecimo dall'elevazione della nostra umile persona al Soglio di Pietro.
Quest'anno, peraltro, l'intensità del ricordo è più ricca e commovente per la coincidenza delle date: come ieri, undici anni fa, solennità del Sacro Cuore, festa di San Luigi Gonzaga, il Signore ci chiamava all'inesprimibile intimità dell'amore verso di Lui e alla tremenda responsabilità, sorretta soltanto dalla fede, del servizio ecclesiale, come un giorno chiamò Pietro sulla sponda del Lago di Tiberiade, sfavillante d'azzurro: Simon Ioannis, diligis me plus his? … Pasce agnos meos … pasce oves meas ( Gv 21,15-17 ).
La corrispondenza del tempo richiama con maggiore vivezza il pensiero di quelle ore avventurate: e fa sgorgare più pieno dall'intimo del cuore il cantico di riconoscenza a Lui, ch'è la forza dei deboli e il conforto degli umili, perché ci ha sostenuti visibilmente in questo arco di tempo, che, nonostante tutto, ha segnato e segna tuttora un'epoca di straordinaria vitalità per la Chiesa.
Quel periodo si apriva sul Concilio Vaticano II, allora da un anno iniziato, col suo vasto programma di aggiornamento per tutta la Chiesa, e si apre ora sulle prospettive di rinnovamento e di riconciliazione dell'Anno Santo.
Il Signore ha fatto a noi tutti la grazia di vivere in un'ora stupenda della storia della salvezza: a noi di trarne le conseguenze perché l'ora di grazia non passi invano.
Ci incontriamo, oggi, per la prima volta con voi dopo la proclamazione ufficiale dell'Anno Santo, mediante la Bolla « Apostolorum limina », del 23 maggio scorso.
In quel documento programmatico, abbiamo scritto tra l'altro: « Ci sembra che, a dieci anni dalla fine del Concilio Vaticano II, l'Anno Santo possa essere la conclusione di un tempo di riflessione e di riforma e l'apertura di una nuova fase di costruzione teologica, spirituale e pastorale che si sviluppi sulle basi faticosamente gettate e consolidate negli scorsi anni, sempre secondo i principi della vita nuova in Cristo e della comunione di tutti in Lui, che ci ha riconciliato al Padre con il suo sangue » ( I ).
E abbiamo aggiunto: « A dieci anni dal Concilio Vaticano II, che ha avviato un ampio e salutare rinnovamento nel campo del lavoro pastorale, della pratica penitenziale e della preghiera liturgica, noi riteniamo che sia molto opportuna un'opera di revisione e di incremento che, sulle basi sicure stabilite dall'autorità della Chiesa, permetta di ben discernere ciò che è veramente valido nelle molte e diverse esperienze che si sono fatte dappertutto, e di promuovere una sempre migliore attuazione, secondo i criteri ed i metodi che la saggezza pastorale e la vera pietà potranno suggerire » ( IV ).
L'odierno incontro offre perciò l'occasione di una prima riflessione in comune sul senso e sulla dinamica del grande avvenimento, che deve polarizzare la vita della Chiesa in questo momento esaltante, ma pieno di tensioni.
Non vogliamo sottolineare più del dovuto i mali in cui si dibatte la società, oggi.
Tuttavia essi ci sono.
E non sarebbe realistico ignorarli per amor di quieto vivere.
La condizione dell'uomo è tremendamente aleatoria:
la violenza, in tutte le forme, lo avvilisce e degrada al rango di pedina di un gioco cieco, e non di rado lo distrugge spietata e crudele;
l'influsso determinante dei massmedia lo manovra dal di fuori, lo condiziona sovente nei suoi sentimenti e pensieri, si sostituisce a lui facendolo ragionare a senso unico in un pericoloso e contrastante livellamento delle personalità;
la società dei consumi lo rende schiavo dei bisogni procurati ad arte;
una concezione alienante della vita lo assorbe totalmente, proiettandolo non di rado fuori della vera dimensione umana, che è libertà, autodeterminazione, vita intellettuale e spirituale, gioia di vivere.
L'uomo è soprattutto condizionato oggi da un'atmosfera materialistica, dalla quale non riesce a liberarsi:
visione della storia, concezione della vita, tempo libero, svago e spettacolo, sono non di rado totalmente pieni di edonismo, di determinismo, di materialismo;
perfino la scienza è spesso impostata in modo tale che, invece di liberare autenticamente l'uomo, lo spinge ancora più profondamente in questa corrente materialistica, la cui forza è caratterizzante della storia e della cultura contemporanea.
Eppure, le soluzioni offerte dal nuovo umanesimo non possono certo soddisfare l'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, e perciò infinitamente superiore alla pur evoluta materia, ch'egli trascende con lo spirito che in lui vive, conosce, vuole e ama.
L'uomo è fatto per il bene, per il vero, per il bello; ha in sé l'insopprimibile comando di « seguir virtute e conoscenza » ( Dante, La Divina Commedia, 1, 26, 120 ); e se non raggiunge Dio non trova la pace a cui anela: Inquietum est cor nostrum ( S. Aug. Conf. 1,1 ).
Ora, la Chiesa ha la missione di ricordare all'uomo tutto questo: essa, secondo il suo genio religioso ed umano, è al servizio disinteressato dell'umanità, di tutta l'umanità, senza distinzione di mentalità, di razza, di religione, di cultura, come una presenza inquietante e benefica, come il luogo privilegiato di incontro degli uomini con Dio e tra di loro per la scoperta di ciò che li nobilita e li unisce, facendoli fratelli.
È stato il grande messaggio della Buona Novella, che la Costituzione « Gaudium et Spes », del Vaticano II, ha voluto applicare in modo particolare all'uomo d'oggi, con quelle grandi parole: « Il Concilio, proclamando la sublime vocazione dell'uomo e affermando la presenza in lui di un germe divino, offre al genere umano la cooperazione sincera della Chiesa al fine di instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.
La Chiesa non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questo soltanto: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità, per salvare e non per condannare, per servire e non per essere servito » ( Gaudium Spes, et 3 ).
La Chiesa oggi è convinta più che mai di questa vocazione essenziale, che le spetta, di annunziare al mondo la « verità che libera » ( Cfr. Gv 8,32 ), di richiamare l'uomo alla consapevolezza della sua dignità, della quale è fonte e garante Dio stesso, di essere il fermento di salutare rinnovamento in tutta la compagine della società, e della civiltà stessa.
E oggi la Chiesa, grazie a Dio, dà questa testimonianza.
Gettando lo sguardo sulla Chiesa del Post-Concilio, non possiamo trattenerci dall'esprimere la nostra ammirazione per la vitalità ch'essa dimostra; per le numerose ed autentiche manifestazioni di rinnovamento evangelico ch'essa ci dà; per la profonda fedeltà delle comunità diocesane, parrocchiali e religiose nella loro immensa maggioranza:
per l'abnegazione con cui vescovi e sacerdoti continuano in un ministero divenuto, in molti paesi, tanto difficile;
per la testimonianza di numerosissime anime consacrate, interamente dedite a Dio e alle anime, nelle città popolose come nella solitudine dei chiostri, nelle terre di missione, nei sobborghi d'un frettoloso urbanesimo ove l'uomo fratello piange e soffre;
per il lento e paziente cammino verso l'unità di tutti i cristiani.
Si nota oggi dappertutto un grande bisogno di preghiera, che si manifesta anche in forme particolari di ascolto della voce dello Spirito; nonostante molte dolorose realtà, che non ignoriamo, i giovani sono più assetati di autenticità, sono onesti, pensosi, generosi e mostrano in modo spiccato il bisogno del soprannaturale, che li anima; la frequenza ai sacramenti è consolante; e la Santa Sede in questo decennio dalla promulgazione della Costituzione conciliare sulla Liturgia ha fatto di tutto per alimentarla e favorirla ( il recente Ordo Paenitentiae ne è l'ultima testimonianza in ordine di tempo, e si aggiunge alle3 innumerevoli prescrizioni attinenti l'Eucaristia e la Comunione, oltre quelle relative agli altri sacramenti ).
È tutto un movimento di santificazione, che si traduce concretamente nell'interesse per i problemi dei fratelli più provati e sofferenti: e dimostra, pur nella sua complessità e nella varietà che assume a seconda dei Paesi e del genio dei popoli, come la Chiesa oggi, a tutti i suoi livelli, sia compresa della sua missione di testimone vivente di Cristo nel mondo.
Ma per mettersi sempre meglio in grado di rendere questo servizio, la Chiesa sente il bisogno di migliorare se stessa.
Lo slancio che già vive in lei ha bisogno di essere vivificato e meglio incanalato verso i suoi grandi compiti.
Ecco lo scopo e la finalità dell'Anno Santo!
È l'occasione che abbiamo voluto cogliere, per offrire alla Chiesa universale un motivo di più per rendersi maggiormente fedele alla sua vocazione e più credibile, cioè maggiormente atta a svolgere nella società odierna, di cui non ignoriamo le ombre, il suo ruolo essenzialmente profetico e santificatore.
Se il materialismo sembra soffocare qua e là lo slancio interiore dell'uomo, la Chiesa sa di dover chiamare quest'uomo al senso della sua dignità primigenia e della sua destinazione escatologica, e vuol rendersi sempre più degna, e più capace, e più impegnata nel realizzare tale sua missione.
Questa consapevolezza universale, questo movimento è già iniziato nelle Chiese locali e si sta sviluppando con grande intensità: ce ne pervengono gli echi da tutte le parti del mondo e, direttamente, per il tramite dei vescovi che abbiamo la consolazione di incontrare quasi ogni giorno nelle loro visite ad limina, in momenti di cordiale, aperta, confidenziale comunione e di conversazione ecclesiale, che, se ci fanno quasi toccare con mano, nella loro concretezza, le difficoltà che l'azione pastorale incontra dappertutto, ci dànno insieme il modo di ascoltare, dalla viva voce di quanti le vivono, le innumerevoli e sempre nuove testimonianze di quella vigorosa, inesauribile vitalità della Chiesa, di cui abbiamo parlato.
Usciamo da questi incontri, rinfrancati ed edificati per lo zelo che vediamo impiegato dai sacri pastori e dai loro collaboratori nelle Chiese locali, per la fedeltà generosa e silenziosa che spesso conferisce al loro ufficio il peso e la dignità della Croce, e per la provvida attività che vediamo così bene indirizzata e animata dalle conferenze episcopali in tutti i continenti.
Tutto ciò non può non autorizzare alla fiducia: a una grande speranza, a un superiore ottimismo.
I problemi sono gravi, certo, non ce li nascondiamo, né li abbiamo taciuti: ma soverchianti sono i motivi che abbiamo di aspettarci quel profondo rinnovamento, per cui è stato indetto l'Anno Santo.
Come dicevamo lo scorso anno a voi, membri del Sacro Collegio, in questa stessa occasione, consideriamo gli anni passati come « soltanto una premessa, una preparazione per un nuovo incremento, per un nuovo periodo, in cui compiere un balzo in avanti …
Un nuovo fremito di vita e di generosità, un nuovo slancio di fede e di opere deve pervadere l'intera comunità ecclesiale per i traguardi che le si aprono dinanzi » ( 22-6-1973 ).
Da questa speranza animati, da questa fiducia sorretti, noi guardiamo con pacato realismo alle condizioni contingenti della Chiesa oggi: sia all'interno di essa, dai vari fronti su cui essa dispiega la sua attività, sia all'esterno, nei contatti con gli insorgenti problemi che la tormentata convivenza civile pone oggi nel mondo.
Se diamo uno sguardo alla Chiesa ad intra, vediamo come e quanto sia complessa la realtà che assorbe tutta la nostra attenzione.
1. Nel campo dottrinale e morale non mancano certo pericoli e deviazioni, sulle quali non cessiamo di richiamare l'attenzione di tutti i nostri figli specialmente mediante la catechesi continua delle udienze generali.
Ma anche su questo punto, tanto delicato, ci sembra che debba esercitarsi quello sforzo di riconciliazione, che caratterizza la celebrazione dell'Anno Santo.
La Chiesa deve ritrovare meglio la sua identità nell'unità, per la quale Cristo ha pregato nell'ultima Cena.
Tutte le correnti, esistenti all'interno della Chiesa, debbono compiere un tentativo sincero di ritrovarsi nell'unità univoca e organica, indissolubile, e irrinunciabile della fede e della carità.
2. Nel campo pastorale non meno grandi sono le responsabilità e i problemi, che devono attirare la comune attenzione.
Il sinodo dei vescovi, che si riunirà nel prossimo ottobre, rifletterà sul formidabile interrogativo di come svolgere opera di evangelizzazione nel mondo contemporaneo.
L'ambito è vastissimo.
Ma ciò che richiede una particolare attenzione è il problema della sempre più viva e profonda partecipazione di tutte le componenti della comunità ecclesiale alla vita di essa.
Accenniamo tre di tali componenti, che ci stanno particolarmente a cuore: il laicato, i sacerdoti, gli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa.
Pensiamo in primo luogo al carissimo laicato cattolico.
Nonostante tutti gli squilibri, che rivelano, come vogliamo pensare, uno stato di trapasso, di ricerca e di crescita, noi dobbiamo chiederci anzitutto come favorire i laici fedeli nell'ammetterli ad una reale e sempre più intensa partecipazione alla vita della Chiesa.
La Santa Sede, attenta ai segni dei tempi, non tralascia occasione, con i suoi provvedimenti di carattere liturgico e dottrinale, di rinnovamento catechetico, organizzativo, sociale, di inserire in modo sempre più attivo gli uomini e le donne del nostro tempo nel dinamismo della vita della Chiesa.
Non mancano segni di consolante risposta, anche se ancor molto deve muoversi, ancor molto deve scuotersi perché il laicato cattolico partecipi effettivamente allo sforzo costante di evangelizzazione e di servizio della Chiesa.
Gli stessi problemi, che la Santa Sede non cessa di seguire nella sua attenta collaborazione con gli organismi internazionali, sono un segno della sua volontà di sensibilizzare i laici ai problemi più gravi della odierna vita nel mondo: tali problemi attendono infatti anche la collaborazione di tutti i membri della Chiesa, perché la loro appartenenza ad essa non li isola, né li estrania dall'operoso concerto delle Nazioni e delle istituzioni sovrannazionali, diretto a procurare al genere umano una condizione sempre più equa, degna e serena di esistenza e di lavoro.
Insieme col laicato, forma oggetto delle nostre cure precipue il nostro amatissimo Clero.
L'Anno Santo
chiama tutti i sacerdoti a confrontarsi con le esigenze della propria vocazione;
chiama a seguire più da vicino Cristo Crocifisso, ancor oggi, come al tempo di Paolo, scandalo e stoltezza, ma per tutti costituito da Dio sapienza e giustizia e santificazione e redenzione ( Cfr. 1 Cor 1,18-31 ); chiama a trovare in Lui solo e nella apostolica vivendi forma la propria identità.
Sappiamo come una ricerca talora tormentosa della propria dimensione nella comunità abbia portato qualche sacerdote a confondere il proprio mandato con una destinazione confusamente sociale, politica, pragmatistica, che l'ha indotto a mimetizzarsi col mondo, a immergersi nel secolarismo.
Ma vorremmo dire a tutti i sacerdoti, a incoraggiamento dei fervorosi e ad ammonizione degli inquieti, che l'unica identità per noi è quella che abbiamo con Cristo.
Lui è il nostro modello: Lui povero, umile, sacrificato, teso unicamente alla gloria del Padre e alla salvezza delle anime.
Queste sono le realtà che hanno fatto bruciare il Cuore di Cristo: « Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? » ( Lc 12,49 ).
Come Gesù, come gli Apostoli, i sacerdoti sono al servizio totale di Dio e dell'uomo: questa la loro destinazione.
Ecco allora il dovere della loro formazione, che loro incombe in un continuo « crescendo »:
formazione spirituale per arricchire la vita dell'anima, per raffinarsi nella pietà e nell'intimità con Dio, in uno sforzo di penitenza e di rinnovamento interiore che in quest'Anno Santo deve corroborare l'animo dei sacerdoti e dei seminaristi;
formazione pastorale, cercando e chiedendosi, alla luce dei documenti del Vaticano II, come servire più efficacemente il mondo, nel quale sono chiamati a vivere e ad operare in nome di Cristo;
formazione dottrinale, radicata nella fede e adatta ai tempi, che li aiuti a meglio comprendere il mondo, in uno studio non solo fenomenologico, ma nutrito della linfa vitale della Rivelazione e della Tradizione per avere un pensiero robusto ed essere così il lievito nella pasta e portare al mondo la luce di Cristo.
Nel soffermarci sulla situazione del clero, non possiamo tacere un problema che deve stare a cuore a tutti i sacerdoti e all'intera comunità cattolica, perché in gran parte ne dipende l'avvenire stesso della Chiesa: ed è quello delle vocazioni.
La crisi che esse attraversano preoccupa grandemente, insieme con noi, i confratelli nell'episcopato e i responsabili delle famiglie religiose, maschili e femminili.
Il forte richiamo, proprio dell'Anno Santo, alla santità della vita - ad un ritorno, cioè, alla pienezza d'una fede consapevolmente professata ed al sincero costume umano e cristiano, all'interiorità della meditazione e della preghiera che è base dell'attività del cristiano - propone vigorosamente alla nostra responsabilità la riflessione sulle cause profonde d'una situazione tanto ampiamente risentita.
Cause più generali, in primo luogo; anzitutto, quella « evisceratio mentis », della quale già parlava San Bernardo di Chiaravalle e che nell'uomo moderno fa sì che manchino e il tempo e il gusto della intima meditazione, di quel silenzio interiore nel quale, soltanto, è dato conoscere veramente se stessi e ascoltare le voci che per alcuni si traducono nell'invito suadente: « Veni, sequere me! ».
Inoltre, il secolarismo diffuso, che tanto facilmente allontana, o tiene lontano, dal sacro.
Ma altresì, un senso di incertezza e come di provvisorietà, favorita da una certa problematica teologica, scoraggia dall'intraprendere una vita, ricca sì di spirituali soddisfazioni, ma anche di sacrifici e di rinunzie, solo affrontabili da chi possa con tranquillo e coraggioso entusiasmo darsi alla missione di portare ai fratelli le certezze della fede.
È perciò necessario contrapporre la serena riaffermazione di quanto fa grande, e bella, e indispensabile nella Chiesa la vocazione sacerdotale e religiosa.
Oggi ancora, forse più che in altri tempi, il popolo cristiano deve con insistenza pregare il Padrone della messe, perché chiami operai in numero sufficiente ( Cfr. Mt 9,38 ).
Spetta alla Chiesa provvedere, poi, a che i germi di vocazione sparsi dal Signore non abbiano ad inaridire per mancanza di interiore alimento di pietà e di adeguata educazione, umana e sovrannaturale.
Il nostro pensiero, il nostro saluto, va qui a quanti generosamente si adoperano affinché le istituzioni di formazione ecclesiastica e religiosa rispondano adeguatamente alle nuove esigenze dei tempi, nella fedeltà alle sapienti ed ancor valide tradizioni collaudate da generazioni e generazioni di santi e zelanti sacerdoti, religiosi e religiose.
Non possiamo tuttavia tacere anche la ferita che si riapre nel nostro animo ogniqualvolta, pensando alla Chiesa, dobbiamo ricordare le sofferenze, le limitazioni, le pressioni alle quali Essa è ancor oggi sottoposta in varie parti del mondo, sino al punto da non poter alcune volte tenersi in comunicazione col resto del mondo cattolico e con questa Sede Apostolica, non foss'altro per dar notizie della sua esistenza e dei suoi problemi.
Eppure anche di là, da queste oppressioni e da questi silenzi, riesce talora a giungere a noi la testimonianza che la Chiesa sopravvive, anzi vive talvolta una vita tanto più profondamente tenace e genuina, quanto maggiore è la tenebra che la circonda, l'eroismo che richiede la sua fedeltà a Cristo ed a questa Sede Apostolica.
Per parte nostra, noi continuiamo a tenere questa Chiesa sofferente nel nostro cuore, come la parte prediletta della grande famiglia cristiana, alla quale va tutto il nostro affetto e alla quale cerchiamo di dedicare l'umile ma fedele nostro servizio.
Così, non ci stancheremo di pregare e di chiedere per essa la preghiera del popolo cristiano, né ci stancheremo di mettere in opera tutti gli sforzi possibili per aiutarla e per procurare di alleviarne i disagi.
Affidiamo queste cause della Chiesa particolarmente ai Santi e ai Beati che in quest'anno abbiamo avuto la grazia di additare alla venerazione di tutti; le affidiamo a Colei che della Chiesa è Madre amantissima, la Vergine Maria, della quale abbiamo voluto recentemente richiamare al mondo cristiano i titoli che la rendono creditrice della nostra venerazione, del nostro culto, della nostra fiducia e che ci fanno vedere nella sua intercessione il presidio sicuro della nostra vita e della salvezza dell'umanità.
È anche nostra abitudine in questa circostanza dare anche uno sguardo al mondo nel quale la Chiesa vive ed al quale essa è debitrice del proprio interesse e del proprio servizio.
Sappiamo come l'umanità, nel suo complesso, viva un periodo di mutazioni e turbamenti, per il rivelarsi di contrastanti forze economiche il cui controllo tende a sfuggire a chi vorrebbe e dovrebbe invece dominarle, e per l'aspirazione faticosa dei popoli verso assetti più giusti, sotto la spinta di insoddisfazioni che rimettono in causa i rapporti sociali e politici sia all'interno delle comunità nazionali, sia da Paese a Paese, da continente a continente.
Non possiamo certo elencare tutti i gravi problemi, entro i quali si dibatte oggi la convivenza internazionale.
Ci basti ripetere che la Santa Sede offre la sua umile collaborazione agli uomini di buona volontà per risolvere ansie e preoccupazioni.
Ma non possiamo tacere i fantasmi della fame e della sete che parevano fugati, ed invece sono qua e là ricorrenti ed incombenti, paurosamente reali, in questi stessi mesi, per la siccità che continua a desolare una larga fascia del continente africano, dalla Mauritania all'Etiopia.
Un anno fa il nostro primo appello a fraterna solidarietà fu accolto da numerose organizzazioni, specialmente cattoliche; e nostri inviati hanno visitato le regioni colpite, riportandoci l'eco ammirata del coraggio con cui quelle popolazioni, pur stremate e decimate, resistono alla minaccia quotidiana di morte che grava su uomini, animali e piante.
Vorremmo che le loro speranze di vita e gli sforzi generosamente compiuti non tornassero vani; e rivolgiamo nuovo pressante invito alla carità di tutti i cristiani, di tutti gli uomini, per un rinnovato concorso di aiuti concreti, sufficienti, tempestivi.
Per quanto non sia nostra intenzione allargare il discorso, come potremmo non ricordare la perdurante tragedia e gli scoppi di violenza nell'Irlanda del Nord, i non pochi altri punti tuttora dolenti dello scacchiere mondiale?
Così non vogliamo qui tacere della nuova luce di speranza che l'attività intensa e il convergere di comuni sforzi di uomini altamente responsabili hanno acceso per la pace del Vicino Oriente.
Pace tanto sospirata e tanto difficile!
Questa Sede Apostolica, che sempre ha seguito col più cordiale interesse e con la più viva partecipazione il succedersi degli eventi in tale settore, e che sempre ha impegnato e posto a disposizione di tutti le sue, pur modeste, possibilità per favorire l'avvio ad una soluzione equa e pacifica del lungo conflitto, non può non esprimere ora la propria soddisfazione per quel che si è andato facendo, i propri voti per quanto resta da fare.
Per parte nostra, non vorremmo mancare di incoraggiare tutti i responsabili a non omettere sforzo alcuno - di buona volontà e di saggezza politica - nella ricerca di un modo giusto e dignitoso per sciogliere il nodo, tanto difficile e tanto doloroso, relativo alle sorti delle popolazioni palestinesi.
Animati da sentimenti di sincera amicizia verso tutte le genti di quella gloriosa e tormentata regione; ugualmente sensibili ai diritti e alle legittime aspirazioni di ciascuna di esse; partecipi, senza distinzioni, al dolore dell'una e dell'altra parte, quando la violenza viene a colpirle, facendo vittime anche fra gli innocenti e gli indifesi: noi non possiamo non tornare ad elevare la nostra voce, eco della coscienza e delle esigenze di giustizia dell'umanità, a favore di tanti esseri umani i quali attendono dalla pace anche la fine di una situazione di abbandono e di sofferenza che si trascina per essi da troppo tempo.
Una parola dobbiamo aggiungere per quel che riguarda Gerusalemme, per rinnovare il voto che, grazie alla giusta soluzione da noi auspicata, la Santa Città non resti, per le tre grandi famiglie spirituali che ad essa guardano come al centro di religiosa e gelosa affezione, motivo di perdurante rivalità e di continuate rivendicazioni, ma possa divenire segno di pace e di concordia.
Non potremmo terminare senza dar voce ad un'altra speranza, ad un altro voto ardente che alberghiamo nel cuore.
L'uno e l'altro si riferiscono ai territori africani del Mozambico, dell'Angola, della Guinea-Bissau e Capo Verde.
Si tratta di regioni e di popolazioni a noi particolarmente care, anche per la diffusione che il messaggio evangelico vi ha avuto.
La nostra posizione, nei confronti dei problemi che sono andati insorgendo in essi e riguardo ad essi nel corso degli anni più recenti, è stata limpida e chiara: quella di favorire una libera e cosciente evangelizzazione ed insieme lo sviluppo civile dei territori in questione, e, nell'evolversi della loro maturazione storica, quella ispirata ai principii di giustizia che abbiamo varie volte proclamati, in particolare nell'occasione della visita a Kampala nell'estate del 1969, ed alla retta prudenza che deve presiedere all'ordinata ed efficace attuazione dei principii medesimi.
Espressa con la discrezione che le circostanze esigevano da noi, tale posizione era ben conosciuta ai livelli più responsabili; ed abbiamo avuto l'incoraggiamento di vederla riconosciuta ed apprezzata da diretti rappresentanti e da Capi di Stato africani, più che altri interessati ad una situazione che toccava il sentimento e le esigenze dell'intero loro continente e, in alcuni casi, gli interessi vitali dei loro rispettivi Paesi.
Facciamo ora voti che la buona volontà, il senso di giustizia e delle esigenze storiche del momento, la comprensione dei diritti delle popolazioni dei territori in questione e dei legittimi, comuni superiori interessi, conducano a quella sollecita e soddisfacente soluzione che sembra essere nei desideri e nei propositi dei responsabili.
Al termine di questa ampia ma necessaria disamina della situazione generale, dentro e fuori della Chiesa, non possiamo non rinnovare il nostro appello alla necessità del rinnovamento e della riconciliazione nell'amore, secondo la tematica dell'anno giubilare.
Dobbiamo tutti sentirci maggiormente impegnati in uno sforzo onesto e sincero verso l'unità da ricomporre in noi stessi, nelle famiglie, nelle espressioni della vita ecclesiale e sociale a tutti i livelli, fra i cattolici e i non cattolici, fra le varie nazioni.
Dall'unità interna della Chiesa deve partire una generale volontà di unione con tutti, di un più robusto e universale amore: Ut credat mundus quia tu me misisti ( Gv 17,21 ).
Alla soglia ormai dell'Anno Santo per tutta la Chiesa, che apriremo nella notte di Natale, non possiamo non sentire una immensa gratitudine per i doni che Dio continua a riversare sulla sua Chiesa; e avvertiamo l'obbligo di assumere perciò un nuovo e più ardente slancio di vitalità per la missione che noi tutti dobbiamo compiere nella Chiesa stessa, allo scopo di accrescerne senza stancarci mai la bellezza, interiore ed esterna, che il Dottore Angelico, di cui celebriamo quest'anno il VII Centenario della morte, pone così bene in rilievo: « Decor Ecclesiae principaliter in interioribus consistit. Sed etiam exteriores actus ad eumdem decorem pertinent, in quantum ab interiori progrediuntur et in quantum interiorem decorem conservant » ( S. TH. In IV Sent. d. XV, q. 3, a. 1, sol. ad 4 ).
Questo deve sempre stare in cima a tutti i nostri pensieri, per amare sempre di più la nostra Santa Chiesa, per promuoverne l'incremento, per rispettarne l'organismo entro cui vive e per mezzo del quale agisce lo Spirito Santificatore.
Con la nostra Benedizione Apostolica.