Ex quo primum |
60 Nell'Eucologio per la cui correzione si è lavorato, come pure nel celebre Eucologio di Grottaferrata del compianto Cardinale Bessarione e anche in altri vetustissimi Codici si legge un'Orazione nella quale si ricorda quello che era stato stabilito nell'antica Legge sulla diversità fra cibi mondi e immondi, e dell'impurità legale che veniva contratta da chiunque avesse mangiato qualcosa di immondo contro la proibizione della Legge: e nello stesso tempo si aggiunge che colui che aveva mangiato cibi immondi non poteva ricevere senza peccato il Corpo e il Sangue prezioso di Cristo.
Ciò fu motivo che si discutesse se dalla predetta Orazione e da altre simili potesse nascere il sospetto che in esse fossero contenute ed enunciate espressioni sull'osservanza di legali cerimonie della vecchia Legge che si volessero unire e conservare a fianco della nuova Legge e del Vangelo.
E affinché si comprenda se questo sospetto si appoggia su qualche fondamento, scriveremo brevemente le seguenti proposizioni, dalle quali tutto sarà illustrato e posto nella debita luce.
61 La prima è la seguente.
Le cerimonie della Legge Mosaica sono state abolite con la venuta di Cristo; dopo la promulgazione del Vangelo non si possono più osservare senza peccato.
Pertanto la discriminazione tra cibi mondi e immondi proclamata dalla Legge antica appartiene ai precetti cerimoniali: questo è sufficiente perché si possa sostenere a buon diritto che essa non esiste più, e che non deve ammettersi una discriminazione fra i cibi. Sebbene i beatissimi Apostoli ( At 15,29 ) avessero proibito ai fedeli di cibarsi del sangue e delle carni di animali strangolati, secondo il parere proposto da Giacomo nel Concilio di Gerusalemme con queste parole: "Per questo io ritengo che non si devono importunare coloro, fra i pagani, che si convertono a Dio, ma scrivere ad essi di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla fornicazione, dagli animali strangolati e dal sangue", tuttavia è evidente che allora fu così stabilito per rimuovere qualsiasi occasione di dissidio fra i Giudei e i Gentili che si convertivano a Cristo.
Una volta eliminata questa ragione, si deve ritenere che sia stato rimosso anche il precetto.
"Pertanto i precetti legali dell'antico Testamento, cioè le cerimonie della Legge Mosaica, i Riti sacri, i Sacrifici e i Sacramenti, con la venuta di Cristo, nostro Signore, sono caduti e dopo la promulgazione del Vangelo non possono essere osservati senza peccato.
Anche la differenza fra cibi mondi e immondi dell'antica Legge appartiene alle leggi cerimoniali che sono tramontate col sorgere del Vangelo.
La stessa proibizione degli Apostoli di nutrirsi delle carni immolate agli idoli, di quelle di animali strangolati e del sangue, era adatta a quei tempi, ma per eliminare ogni dissenso fra Ebrei e Pagani, cessata la ragione di quella proibizione degli Apostoli, anche il suo effetto doveva cessare".
62 Le predette affermazioni sono state desunte dalla Professione di Fede Ortodossa che gli Orientali devono esprimere su prescrizione del Papa Urbano VIII e che fu stampata dalla Congregazione di Propaganda Fide nell'anno 1642.
È in tutto conforme alla dottrina di San Tommaso, che diffusamente ne trattò nella Summa.136
Non mancano documenti ancora più antichi nei quali si afferma la stessa dottrina.
Infatti il Papa San Gregorio II, nel Capitolare col quale inviò come Legati in Baviera il Vescovo Mariniano e il Presbitero Giorgio, nel cap. 7 si esprime in questo modo: "Nulla si deve ritenere come immondo nella assunzione dei cibi, al di fuori di quello che fu immolato agli idoli, poiché, come è stato insegnato dal Magistero Apostolico, ogni creatura di Dio è buona e non si deve rigettare nulla di ciò che si riceve a titolo di favore".
Similmente San Nicolò I,137così dichiara a proposito degli animali mondi e immondi: "Quali animali o uccelli sia lecito mangiare, per quanto io penso, lo dimostra il Signore stesso, allorché dopo il Diluvio affidò a Noè e ai suoi figli tutti gli animali da mangiare …
Pertanto non è proibito nutrirsi di qualsiasi animale, le cui carni non siano nocive al corpo e che la Comunità umana accetta e approva come cibo".
Anche nel Concilio di Firenze, nel Decreto emesso per i Giacobiti, nella Collectio Labeana,138 si leggono e seguenti parole: "La Sacrosanta Romana Chiesa crede fermamente, professa e predica che ogni Creatura di Dio è buona e che non si deve rigettare niente di quello che si riceve a titolo di favore perché, secondo la parola del Signore, non è quello che entra per la bocca che contamina l'uomo.
La Chiesa asserisce inoltre che quella discriminazione fra cibi mondi e immondi della Legge Mosaica appartiene a leggi cerimoniali che al sorger del Vangelo sono tramontate …
Dichiara che non debba essere condannata e proibita nessuna qualità di cibi, che la Società umana ammette; non si deve fare alcuna differenza fra gli animali, siano essi di genere maschile o femminile, e in qualunque modo siano morti, quantunque per la salute del corpo, per esercizio di virtù, per disciplina regolare ed ecclesiastica, molti di questi sono scartati ma non proibiti, perché, secondo l'Apostolo "tutto è lecito ma non tutto è conveniente"".
63 La seconda proposizione è questa. Sebbene dopo la promulgazione del Vangelo siano cessate tutte le prescrizioni cerimoniali dell'antica Legge e quantunque non esista nella nuova Legge alcun precetto che distingua i cibi mondi dagli immondi, come era nell'antica Legge, tuttavia è sempre in potere della Chiesa di Cristo, per giuste ragioni e per gravi cause, ristabilire l'obbligo di osservare qualcuno dei precetti cerimoniali che erano nella Legge antica, sebbene siano stati abrogati dalla Legge nuova, purché quel precetto non sia di quelli che nell'antica Legge erano ordinati particolarmente a prefigurare il Messia venturo, come è evidente che lo furono la circoncisione e i sacrifici di animali,140 ma sia invece di quei precetti che riguardano l'esterna disciplina e la pulizia del corpo.
In questa categoria bisogna certamente inserire anche quanto era stato prescritto circa i cibi mondi e immondi.
Ciò è accolto dalla disciplina della Chiesa Occidentale, non meno che da quella Orientale, ed è provato dai documenti dei primi secoli.
64 È rimasta celebre la calunnia inventata dai Pagani contro i primi Cristiani, cioè che questi si cibassero di carni umane, specialmente di bambini, e che bevessero sangue umano.
A questa diceria aveva dato adito quella setta religiosa dell'Arcano, allora in voga, secondo la quale si doveva osservare il segreto tra i Fedeli sulla presenza reale di Cristo nell'Eucaristia di cui essi si cibavano.
Essendo venuta alle orecchie dei Pagani la notizia del Mistero, questi ne presero motivo per escogitare tale calunnia contro i Cristiani e per diffonderla fra la plebe, come correttamente dimostra Schelestrato in Dissert. de Disciplina Arcani.141
È pure nota la risposta che gli antichi scrittori apologisti Cristiani davano ai Pagani, senza violare il segreto, dicendo che era assolutamente impossibile che i Cristiani mangiassero carne di umani e ne bevessero il sangue, quando era abbastanza noto che essi si astenevano persino dal sangue e dalle carni degli animali soffocati.
Usa questo argomento Tertulliano nel cap. 9 del suo Apologeticum.
Da questa risposta si evidenzia che in quei tempi, cioè nei primi secoli della Chiesa, c'era fra i Cristiani una certa scelta di cibi, e che specialmente si astenevano dal sangue e dal soffocato, come saggiamente osservano Nicolò Le Nourry, Apparatus in Biblioth. Patrum,143 e anche Pamelio nel citato cap. 9 di Tertulliano, n. 138. Eppure i Cristiani sapevano che non era più in vigore la prescrizione dell'antica Legge Mosaica; non ignoravano che era già stata tolta la proibizione degli Apostoli sull'astinenza dal sangue e dal soffocato e sapevano che quei cibi non erano proibiti: tuttavia se ne astenevano secondo la tradizione trasmessa dai loro padri, ritenendo conveniente seguirla e osservarla: "L'uso pertanto di astenersi dal sangue e dal soffocato fu osservato in quelle Chiese con tanto scrupolo per il fatto che avevano ereditato quella consuetudine dai loro padri; ben sapendo che l'uso del sangue e del soffocato non era assolutamente proibito".
Sono parole di Natale Alessandro.144
65 Il Calmet, nei suoi Commentar. ad cap. XV Actuum Apostolorum, alle parole "et suffocato et sanguine" asserisce che in alcune Chiese Latine, per parecchi secoli, fino al decimo e undecimo secolo dell'Era Cristiana, fu osservata la distinzione fra cibi mondi e immondi e fu osservata l'astinenza dal sangue e dal soffocato.
Sebbene egli non confermi questa sua asserzione con nessuna prova, tuttavia essa può essere avvalorata da chiunque sia un po' esperto di documenti ecclesiastici.
Infatti Canisio pubblicò il vecchio Penitenziale Romano, composto alla fine dell'ottavo secolo o all'inizio del nono, nel quale sotto il titolo De Suffocatis viene stabilita una penitenza a colui che ha mangiato la carne di un animale soffocato.
Sotto il titolo De Laceratis vengono prescritti penitenze e digiuni a coloro che hanno mangiato un pesce morto in piscina, o abbiano bevuto l'acqua di un pozzo dove siano stati trovati morti un topo o una gallina, finché non fosse stato completamente svuotato quel pozzo.
Il Cardinale Umberto di Selva Candida, che fu Legato del Papa San Leone IX e che a Costantinopoli vivacemente disputò con i Greci, in queste discussioni apertamente dichiarò che non c'era alcun dissenso fra Latini e Greci in questa materia, poiché in alcune Chiese Latine si osservava l'astinenza dal sangue e dal soffocato come fra i Greci: "Pur seguendo diligentemente la consuetudine e la tradizione dei nostri padri, noi respingiamo queste cose in forza delle quali - eccetto che in pericolo di vita - viene imposta una grave penitenza a coloro che si nutrono di sangue, o di qualunque animale morto nelle acque o soffocato per qualsiasi negligenza umana".
E altrove: "Noi, pur avendo dal Signore e dagli Apostoli il permesso di poter mangiare tutto ciò che non sia nocivo alla nostra salute o a quella dei fratelli, tuttavia, legati ancora alle tradizioni delle nostre terre e ai precetti dei nostri antenati, evitiamo di mangiare alcuni cibi, non perché sono cattivi e immondi, ma perché non ci soddisfano, o perché per il lungo uso, diventato come una natura, li aborriamo".
66 In verità nelle Chiese Latine non è rimasto più alcun vestigio di queste astinenze se prestiamo fede a Cornelio Dalla Pietra,145 alla espressione Et sanguine.
Vige ancora nella Chiesa Greca - che lo ascrive a propria lode - conservare e custodire il precetto apostolico dell'astinenza dal sangue e dal soffocato come scrivono i succitati Calmet e Cornelio Dalla Pietra nel detto cap. 15 degli Atti degli Apostoli. ( At 15 )
Ad essi si aggiunge Cristiano Lupo nelle note al can. 67 del Concilio Trullano: "Anche i Greci, fino a tempi recenti, rimasero costanti nell'osservare codesta Legge Apostolica" osservando la legge del predetto Canone Trullano, n. 67, nel quale si legge: "La Sacra Scrittura ci impone di astenerci dal soffocato, dal sangue e dalla fornicazione.
Noi puniamo convenientemente coloro che per il loro stomaco raffinato e delicato condiscono e preparano il sangue di qualsiasi animale con l'arte del gastronomo, e poi se ne cibano.
Pertanto se qualcuno d'ora in poi, in qualunque modo si accinge a mangiare sangue di animali, se è un Chierico venga deposto, se è un laico sia scomunicato".
I soli Armeni, per quello che sappiamo, nell'accettare l'unione con la Chiesa di Roma hanno dichiarato di abbandonare questa consuetudine dei Greci.
E nonostante lo scismatico Vartane li avesse persuasi ad astenersi da alcuni cibi che la Legge Mosaica aveva dichiarati immondi, ( eccettuata la carne suina che asseriva essere stata permessa loro da San Gregorio l'Illuminatore, che fu il primo Patriarca della loro Nazione ) e avesse inoltre insegnato a spezzare i vasi pieni di vino o di olio, se per caso vi fosse caduta dentro una mosca o qualche simile insetto, tuttavia negli incontri tenuti per raggiungere la tanto bramata e auspicata unione della Chiesa Armena con la Chiesa di Roma, si stabilì quanto segue: "I padri Armeni dei Concili i di Sis e di Adana, volendo conciliare la loro Chiesa con quella di Roma, approvarono l'Epistola dogmatica di Gregorio, Patriarca dell'Armenia, al Re Aitone, nella quale respingeva la discriminazione ebraica dei cibi con queste parole: "Noi ordiniamo che siano ritenuti purificati nel nome del Signore, come dice San Paolo, i cibi cosiddetti immondi che giungono nelle mani dei poveri".
Il signor Nierses, per certo Ghelaiense, che fu pure Dottore e Patriarca dell'Armenia, insegnò che tali cibi possono essere benedetti con le razioni".
Tutte queste notizie si possono trovare presso Galano, De Conciliatione Ecclesiae Armenae cum Romana, tomo 2.
67 La terza proposizione è quella che si fonda sullo stesso capitolo quarto del Monito del quale ora trattiamo; cioè abbiamo appreso che ai Sacerdoti Greci non è proibito l'uso di alcuna delle preci e benedizioni contenute nel loro Eucologio, anche se riguardano e appartengono a quelle cose che nell'antica Legge erano materia di precetti cerimoniali: purché, si aggiunge, tutto quello che si fa, non si faccia con l'intenzione di osservare ancora i precetti dell'antica Legge ormai abolita, ma si compia in ossequio o alla nuova Legge Ecclesiastica, o alla consuetudine canonica confermata e rafforzata da una lunga e continuata osservanza.
Lorino,147 a proposito del costume dei Greci di astenersi dal sangue e dal soffocato, fa queste osservazioni: "Se i Greci oggi si astengono dal sangue, ritenendo di essere vincolati a questa legge, diventano superstiziosi, perché essa non vincola più nessuno e la sua osservanza richiama le cerimonie dell'antica Legge; ma se poi aborriscono da tali cibi per gusto naturale o per altra causa buona e onesta, non devono essere condannati".
Goario poi, riguardo all'Eucologio dei Greci, nelle lezioni varianti nelle quali esamina quella preghiera che si fa per coloro che "hanno mangiato cibi proibiti e immondi", pone la seguente annotazione: "Gli Orientali si guardano dal gustare cibi immondi, non per osservanza della Legge Mosaica, ma della Legge della Chiesa.
Pertanto, essi sono ben lontani dall'osservare un Rito Giudaico, qualunque cosa Catumsirito cianci in contrario e accusi di falso, in quanto rispettano le tradizioni della Chiesa".
La sua impudente asserzione avrebbe qualche fondamento se contro ciò che fanno i Greci si adducessero non soltanto le ragioni suesposte, ma piuttosto che essi sono persuasi di essere tuttora vincolati dalla falsa opinione che sia ancora valido il precetto degli Apostoli sulla astinenza dal sangue e dal soffocato.
Tale opinione si sforza di sostenere poco felicemente Guglielmo Beverigio.148
Gli Scismatici tentarono infatti di accusare la Chiesa Latina come giudaizzante, perché consacra il pane azzimo, osserva il Sabato e mantiene come Rito sacro l'Unzione dei Re.
Ma Leone Allazio nella sua egregia opera De perpetua consensione Ecclesiae Occidentalis et Orientalis,149 respinge come temeraria questa loro asserzione; specialmente al n. 4 argomenta così contro gli avversari: "Poiché gli Ebrei osservano il Sabato, chi osserva il Sabato è un giudaizzante; chi non mangia il soffocato è pure un giudaizzante, in quanto i Giudei secondo la loro Legge non possono mangiare quelle cose.
Ma i Greci non mangiano il soffocato, quindi anch'essi sono giudaizzanti".
Infine al n. 9 conclude in nostro favore: non si può assolutamente e indistintamente affermare che sia un giudaizzante chi nella Chiesa compie qualche cosa o osserva ciò che è consentaneo e simile alle cerimonie dell'antica Legge.
"Se qualcuno osserva e compie alcune azioni per un altro fine e comodità, anche per intenzione di culto e come cerimonia religiosa, ma non secondo lo spirito e i principi di quell'antica Legge, ma per proprio arbitrio o per qualche umana consuetudine, o anche per precetto della Chiesa, non pecca; e non può essere accusato di giudaizzare.
Perciò non sempre chi nella Chiesa fa qualcosa che assomiglia alle cerimonie dell'antica Legge può essere accusato di giudaizzare".
68 Poiché abbiamo aggiunto quasi un'appendice a ciascuno dei tre primi Moniti di cui abbiamo trattato in questa Nostra Enciclica, prima di cessare di scrivere vogliamo aggiungere a questo quarto Monito la sua appendice, sempre in conformità sia del soggetto del Monito, sia dell'edizione corretta dell'Eucologio.
69 Nella Legge del Levitico, cap. 12, si stabilisce che la donna che ha partorito un bimbo maschio resti immonda per sette giorni; poi per altri trentatré giorni rimanga "nel sangue della sua purificazione". ( Lv 12 )
Se invece ha partorito una femmina resti immonda per due settimane, e per sessantasei giorni rimanga parimenti "nel sangue della sua purificazione".
Ella non potrà entrare nel Santuario finché non sia trascorso tutto questo tempo; e quando per la prima volta accederà al Tempio, dovrà offrire una certa oblazione.
70 Non si può negare che questo divieto abbia avuto vigore per un certo tempo nella Chiesa.
Si legge infatti nei Canoni Penitenziali di Teodoro, riferiti da Ivo nel suo Decreto, e citati pure dal ven. Cardinale Baronio sotto l'anno di Cristo 266: "La donna che entra in Chiesa prima di essere monda dal sangue dopo il parto, se generò un maschio faccia penitenza per trentatré giorni, se una femmina per sessantasei.
Se ella conta di entrare in Chiesa prima del tempo stabilito, faccia penitenza a pane e acqua per altrettanti giorni quanti doveva restare fuori di Chiesa".
Ma non si può negare che tale proibizione fu abrogata nella Chiesa Latina col trascorrere del tempo.
"Se nella stessa ora in cui ha partorito entra in Chiesa per ringraziare Dio, non commette nessun peccato": sono parole del Papa San Gregorio Magno, riferite anche nel Decreto di Graziano.151
Il Papa Innocenzo III nella Decretale Volens, De Purificatione post partum, dopo aver citato il testo "La Legge fu data da Mosè; la Grazia e la Verità vennero per mezzo di Gesù Cristo", dichiara che non deve essere proibito alla puerpera di entrare in Chiesa per motivi di devozione; se entra, non pecca: "Non sono colpevoli e non si deve mai negare loro l'ingresso in Chiesa, affinché non sembri che vogliamo trasformare la loro pena in colpa.
Se tuttavia per un sentimento di rispetto volessero restare fuori, non crediamo che la loro devozione debba essere rimproverata".
E poiché la Beatissima Vergine Maria, quantunque non fosse soggetta per nulla alla predetta Legge del Levitico, tuttavia volle lei stessa assoggettarsi ad essa, allorché, trascorso il tempo del puerperio, presentò se stessa e il suo Divin Figlio al Tempio; in particolare memoria di questo fatto fu istituito il Rito che si trova nel Rituale Romano del Papa Paolo V.
In forza di esso, la donna che ha partorito, al termine del suo puerperio si presenta alla Chiesa, dove viene ricevuta dal Sacerdote davanti alla porta, e viene aspersa con acqua benedetta mentre si recita una preghiera.
Poi, prendendo l'estremità della stola del Sacerdote ella si dirige all'Altare e, genuflessa davanti ad esso, prega, ringraziando Dio dei benefici ricevuti.
Ora, questa benedizione della donna dopo il parto nella Chiesa Latina non è prescritta da nessuna Legge, e se la donna la tralascia e non fa ciò per disprezzo o per indifferenza, non pecca, come ottimamente spiega Quarto nella sua opera De Benedictionibus.152
71 Nella Chiesa Greca la legge del puerperio è religiosamente osservata come di precetto, e non si permette alla donna che ha partorito di accedere alla Chiesa prima del tempo stabilito.
Anzi, nei secoli precedenti la disciplina dei Greci era giunta a tal punto di severità da respingere dalla Comunione Eucaristica le donne mestruate, anche se si fossero trovate in pericolo di vita.
Per questa legge essi furono severamente biasimati dal Cardinale Umberto di Selva Candida, come si può leggere presso il Cardinale Baronio sotto l'anno del Signore 1054.
Per quanto possibile, tale rigore fu successivamente temperato, tanto che le donne che durante la mestruazione sono in pericolo di morte sono ammesse a ricevere l'Eucaristia.
Ciò fu ritenuto giusto nell'Epistola Canonica di Dionigi Alessandrino e nella Novella 13 dell'Imperatore Leone I il Sapiente.
Ma ora opportunamente deve essere qui ricordata l'osservazione del Cardinale Baronio,153 nella quale fa presente che in quella sua lettera Dionigi aveva esposto soltanto una propria opinione, da sottoporsi pertanto al giudizio di altri, specialmente alla censura di Basilide: "Io non ho scritto questo come Dottore, ma ho voluto manifestare con ogni umiltà la mia opinione; quando tu l'avrai esaminata accuratamente, secondo quanto ti apparirà giusto e più conveniente, mi risponderai".
Al contrario è molto più limpida la ragione addotta dal Papa San Gregorio Magno in quella lettera che Graziano inserì: "Non si deve imputare a colpa ciò che diviene superfluo nella natura e per quanto una donna sopporta contro la propria volontà, tanto da essere privata ingiustamente dell'entrata in Chiesa".154
Per quello che riguarda la Comunione Eucaristica, il Santo Dottore non disapprova che la donna se ne astenga per riverenza; ma se anche in quel periodo di tempo ella si comunica, egli dichiara apertamente che non la condanna: "Se per grande riverenza non osa ricevere l'Eucaristia è da lodare; ma se la riceve non è da condannare; certamente è di buoni sentimenti colui che si ritiene in qualche modo in colpa dove invece non esiste colpa alcuna".
Pertanto la disciplina dei Greci in questa materia non è approvata da Teofilo Raimondo.155
Lo stesso Goario, solitamente fautore e difensore dei Greci, nelle Note sull'Eucologio, p. 70, dichiara apertamente che giunge ad eccessivo rigore ed è contro ogni regola la Legge che tiene lontane dalla sacra Mensa le donne mestruate: "Si dovrebbe agire con maggiore mitezza con le donne impure: si tratta di un condizionamento della natura, che si alleggerisce di un peso non voluto, qualunque cosa dicano o obiettino i Greci".
E dopo queste parole si appella all'autorità di San Gregorio, quale si desume dalla lettera citata.
72 Ma qualunque cosa si dica delle donne mestruate, sia in riferimento al loro ingresso in Chiesa, sia al permettere loro di ricevere il Corpo del Signore, richiamandoci all'argomento delle puerpere ( nella Chiesa Latina l'osservanza del puerperio, come è già stato detto, non è prescritta come precetto, ma soltanto proposta ) nella Chiesa Greca vige il precetto di astenersi dall'ingresso in Chiesa finché non sia trascorso un certo numero di giorni.
"I Greci lo prescrivono come obbedienza doverosa; i Latini soltanto come dimostrazione di deferenza".156
Nell'Eucologio si leggono le preci che devono essere recitate dal Sacerdote in quell'occasione; così pure nel medesimo Eucologio è riportato tutto il Rito che completa la cerimonia del puerperio.
73 Pertanto nella Congregazione riunitasi per la correzione dell'Eucologio, sia sotto Urbano VIII, sia durante il Nostro Pontificato, si è trattato e discusso su questa materia con grande diligenza.
Nessuno ha proposto di cancellare dall'Eucologio il Rito del puerperio; ci fu soltanto qualcuno che suggerì di togliere la prescrizione del termine di quaranta giorni, e che si sostituisse con altre preghiere quell'Orazione che si legge nell'Eucologio e che sembra concedere troppo a quella immondezza legale, in forza della quale gli Ebrei segregavano le loro donne per quaranta giorni da ogni relazione con l'esterno e le escludevano dal Tempio.
Difatti qui, con poca proprietà, si supplica Dio in questo modo: "Purificala da ogni peccato e da ogni sozzura, ecc. ; lava le sozzure del suo corpo e le macchie della sua anima nel corso di questi quaranta giorni".
74 In verità appare chiaramente, come altri hanno saggiamente fatto notare, che si possono conservare nella nuova Legge alcuni Riti cerimoniali dell'antica Legge, purché questo non avvenga in forza dell'antica Legge, che è stata superata, ma soltanto per osservare un costume o una legittima consuetudine, o per un nuovo precetto emanato da colui a cui viene riconosciuto un valido potere legislativo e coercitivo, come asserisce il Vasquez.157
Quindi nessuno può meravigliarsi se l'osservanza del puerperio è proposta alle donne di Rito latino a mo' di consiglio, e a quelle greche, invece, per Legge.
Ma poiché i Greci compiono sì il Rito del puerperio, come una volta gli antichi Ebrei, ma non offrono l'oblazione al Sacerdote secondo il costume ebraico; poiché anzi santificano il Rito con apposite preghiere, con le quali si supplica Dio di rimettere i peccati della donna, qualora ne avesse commessi, e dopo aver invocato a questo fine il patrocinio della Vergine Madre di Dio; per tutte queste ragioni, nella Sessione tenuta da coloro che avevano avuto da Noi il mandato della correzione dell'Eucologio - come avevamo detto all'inizio - il giorno 8 gennaio 1747 si concluse che nulla doveva essere cambiato in questa materia.
E Noi, successivamente, abbiamo approvato questa risoluzione.
È facile quindi adattare il senso vero delle parole dell'Orazione Greca, dicendo naturalmente che si supplica Dio di purificare completamente da ogni colpa l'anima della donna e di liberare anche il suo corpo da ogni immondezza non legale, ma naturale, fino al punto in cui significa un'impurità spirituale.
Poiché anche la pulizia esterna del corpo fa parte del culto e del rispetto dovuto alla Chiesa e alle cose sante, per questo nei primi secoli i fedeli non entravano in Chiesa se non si erano prima lavati diligentemente, come attesta San Giovanni Crisostomo; e anche privatamente non osavano toccare il libro dei Santi Evangeli, senza prima essersi lavate le mani.
75 Tutte queste cose abbiamo sentito il bisogno di esporvi, diletti Figli, con questa Nostra Lettera Enciclica, affinché comprendiate le ragioni per le quali la Sede Apostolica ha creduto necessario assumersi questo laborioso compito di porre mano alla correzione dell'Eucologio, e perché comprendiate con quale diligenza, con quale studio e per quale giusta e prudente ragione Ci siamo assunti questo lavoro che abbiamo condotto a termine.
Sono state lasciate intatte tutte quelle cose che si trovano negli Eucologi i che eccellono per antichità e autorità.
Niente è stato tolto od emendato, se non ciò che nelle più recenti edizioni appariva interpolato o per negligenza o per malizia.
Sono state conservate tutte quelle cose che, a Nostro parere, dovevano essere conservate.
Anzi si è usata sempre una certa benevola interpretazione, affinché il vostro Rito non apparisse menomato.
Per tutto questo non dubitiamo di avere testimoniato la sincera stima Nostra e della Sede Apostolica nei vostri confronti, anzi confidiamo che voi comprenderete da quanto incredibile affetto e sollecitudine siamo spronati e stimolati affinché voi, venerabili Fratelli e diletti Figli, perseveriate nella santa Unione, e gli altri erranti siano richiamati, per grazia di Dio, nella stessa Società e sulla via della salvezza.
Sarà vostra cura usare per il futuro questa edizione corretta dell'Eucologio e vigilare diligentemente che, qualora se ne faccia una nuova edizione, essa sia conforme in tutti i suoi paragrafi a questa che uscì nel 1754 per i tipi della Congregazione di Propaganda Fide, affinché sia precluso ogni accesso a tutti gli errori e alle assurdità che in tempi anteriori deturparono alcune altre edizioni e le insozzarono.
Infine vi chiediamo di sostenerci con le vostre preghiere nell'ardua fatica del governo della Chiesa Universale, e vi impartiamo con tanto affetto l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 1° marzo 1756, nell'anno sedicesimo del Nostro Pontificato.
Benedetto XIV
Indice |
136 | 1, 2, quest. 103, art. 4, ad tertium |
137 | In risposta alla Consulta dei Bulgari, n. 43 |
138 | Tomo 13, p. 1209 |
140 | Lo nota in proposito il Vasquez in Divi Thomae, 1, 2, tomo 2, disp. 182, cap. 9, paragr. Ex quibus omnibus |
141 | Articolo unico, cap. 4, § 17 |
143 | Tomo 2, dissert. 4 su Tertulliano, cap. 12, art. 2 |
144 | Histor. Ecclesiast., secolo I, dissert. 10 |
145 | Nel suo Commentar. in Actus Apostolorum, cap. 15 |
147 | Nel citato cap. 15 degli Atti degli Apostoli, vers. 20, paragr. Si abstinent |
148 | Codex primitivae Ecclesiae, tomo 2, cap. 7, n. 5 |
149 | Lib. 3, cap. 14 |
151 | Can. 2, dist. 5 |
152 | Tit. 3, sez. 12, dub. 1 |
153 | Sotto l'anno del Signore 266, n. 11 |
154 | Graziano, Canone 4, dist. 5 |
155 | Tomo 16 delle sue opere, intitolato Heteroclita Spiritualia, p. 33, n. 28, stampato a Lione |
156 | Goario, passo citato, p. 269 |
157 | Nel citato tomo 3, part. 3, della Summa di San Tommaso, disp. 210, quest. 80, art. 7 |