Quae in Patriarchatu

Indice

10 Udendo con gran dolore tutte queste cose, Ci assillava l'animo il precetto del Signore, dato al Beato Pietro, di confermare i fratelli, e insieme il dovere di provvedere alla salvezza della anime e di difendere il gregge del Signore.

Era secondo Noi gravissima la condizione alla quale era stato ridotto il Nostro Venerabile Fratello Timoteo, Arcivescovo dei Caldei di Diyarbekir, per l'inimicizia e le male arti di alcuni che si dicevano sostenuti dal patrocinio del Patriarca.

Anzi l'Arcivescovo, sentendo che gli era ostile l'animo del Patriarca, ci aveva inviato più volte lagnanze e dolenti preghiere perché gli concedessimo di cessare dal ministero episcopale.

Pertanto incaricammo il Venerabile Fratello Zaccaria, Vescovo a vita di Maronea, di partire alla volta di Mauxilio per incontrare il Patriarca e per comunicargli la rinuncia all'episcopato del predetto Venerabile Fratello Timoteo: rinuncia da Noi riconosciuta.

Lo stesso Patriarca, con la Nostra autorità, investisse quale Vicario Apostolico della Diocesi di Diyarbekir la persona che preferiva.

Infine, il Vescovo Zaccaria inducesse il Patriarca a sottoscrivere la necessaria dichiarazione di adesione e sottomissione ai decreti della quarta Sessione del Concilio Vaticano: adesione che per lui era assolutamente necessaria, non soltanto perché contro di essi blateravano i Neoscismatici Armeni ( e lo stesso comportamento che il Patriarca aveva tenuto dopo il suo ritorno era di grande meraviglia per i fedeli ), ma soprattutto perché si preoccupasse dell'eterna propria salvezza, rimovendo lo scandalo o almeno prevenendo quel che stava nascendo dal suo silenzio.

11 Finalmente il predetto Patriarca accolse questi ammonimenti, e consegnò la sua adesione per iscritto.

Aggiunse tuttavia che egli voleva che fossero conservati e riservati tutti i diritti e i privilegi del Patriarcato.

Sebbene potessimo sospettare che in tal modo egli agiva verso di Noi poco sinceramente, tuttavia, considerando la sua antica fedeltà – che ricordava nella stessa dichiarazione – e la forte pressione che su di lui esercitavano i malvagi; avendo davanti agli occhi l'esempio di Colui del quale è scritto che non rompe la canna sconquassata e non spegne il lucignolo fumigante ( Is 42,3; Mt 12,20 ), abbiamo preferito vedere in quella dichiarazione più un desiderio del Patriarca che una iniqua condizione o limitazione nella professione della fede.

Cosi abbiamo deciso di accettare quell'atto di adesione pur dichiarando manifestamente con quale sentimento intendevamo accoglierlo: cioè nel rispetto della dottrina cattolica, sia sul Primato Pontificio, sia sui diritti dei Patriarchi.

Per questo gli inviammo la seguente Lettera Apostolica il giorno 16 novembre 1872.

[ Gli Atti di Pio IX omettono il paragrafo 12 che, secondo la successione aritmetica, dovrebbe trovarsi a questo punto della presente Enciclica ].

Al Venerabile Fratello Giuseppe, Patriarca Babilonese dei Caldei.

Il Papa Pio IX. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.

13 "Dobbiamo ringraziare l'Autore di ogni bene, che si è degnato di concedere generosamente ciò che avevamo ininterrottamente richiesto con assidue preghiere, come Ci ha dimostrato dalla tua lettera del 29 luglio di quest'anno, e Ci rallegriamo per il sentimento della tua devozione.

Infatti hai dichiarato apertamente che aderisci ai Decreti e alle Costituzioni del Sacro Concilio Vaticano e soprattutto alla definizione dogmatica dell'infallibile magistero del Romano Pontefice in materia di fede e di costumi, che fu promulgata nella quarta sessione dello stesso Concilio.

Con grandissimo piacere abbiamo ricevuto proprio da Te, devoto a questa Sede Apostolica fin dall'infanzia, l'attestazione che ti sei sempre attenuto fermamente a tutto ciò che la Chiesa Romana insegna e dispone, e che quindi già prima credevi in cuor tuo, per senso di giustizia, a ciò che ora apertamente professi per la tua salvezza.

"Né in verità avrebbe potuto essere diversamente, dato che nelle sacre Epistole e negli scritti dei santi Padri, nelle espressioni dei Concili ecumenici e nei sacri Canoni non c'è nulla di più evidente di quel che il Concilio Ecumenico Vaticano ha decretato e sancito a proposito della suprema potestà del Pontefice Romano, ribadendo ed esprimendo con ulteriore chiarezza – così come esigevano gli errori più recenti – la definizione scaturita sul medesimo argomento nel Sinodo Ecumenico Fiorentino, cioè che la Chiesa Romana, per volontà di Dio, possiede la supremazia su tutte le altre realtà di diritto ordinario e che questa potestà di giurisdizione del Pontefice Romano, che è propriamente episcopale, non ha intermediari; che nei confronti di tale giurisdizione tutti i sacerdoti ed i fedeli, di qualunque rito e grado, sia considerati come singoli sia tutti insieme, sono tenuti al dovere della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non soltanto in materia di fede e di comportamenti, ma anche in quei settori che attengono alla disciplina ed all'organizzazione della Chiesa diffusa in tutto il mondo; cosicché – salvaguardata l'unità sia di comunione, sia di professione della propria fede con il Pontefice Romano – la Chiesa di Cristo sia un solo gregge sotto un solo sommo pastore: questa dunque è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi conservando intatte la fede e l'aspirazione alla salvezza.

Noi non abbiamo mai dubitato che tu abbia voluto professare pienamente e rettamente tutte e singole queste verità, aderendo alle costituzioni del Concilio Vaticano.

"Tu ricavi da ciò, Venerabile Fratello, quanto Cristo Signore volle personalmente stabilire a proposito del regime gerarchico e dell'ordinamento della Chiesa.

La diversità e la gerarchia di potere dei Vescovi ( che per diritto divino hanno uguale dignità ) sono state introdotte dal diritto ecclesiastico "per evitare che tutti rivendicassero tutto per sé: ma fossero ciascuno in una diversa provincia, detenendo fra i confratelli il primo giudizio; ed inoltre, coloro che vengono assegnati alle città principali avessero una funzione maggiore, affinché tramite loro l'impegno della Chiesa universale si ricompatti nell'unica sede di Pietro, e niente assolutamente s'allontani dal suo vertice.

Da questo, infatti, come se fosse una testa, il Signore volle che si diffondessero in tutto il corpo i suoi doni" : ed in realtà da Lui e dai suoi successori le sedi principali hanno ricevuto tutto ciò che correttamente loro spetta in onore e potere.

Poiché il Beato Pietro che vive nella propria Sede e la presiede , offre la verità della fede a coloro che la cercano, e la Sua dignità non viene meno nei Suoi successori, vedi, Venerabile Fratello, che è dovere e diritto di costoro individuare dalle premesse ciò che nel nome del Signore avrà costituito, a seconda dei tempi e dei luoghi, bene a vantaggio per la Chiesa ed autentica salvezza per le anime: il che è la suprema legge.

"Quando questi fondamenti della fede cattolica vengono trascurati, si apre un'ampia strada agli scismi e persino alle eresie, come testimonia la storia di tutti i tempi e come mostra anche quella attuale, visto che alcuni non rispettano né la moderazione della giustizia né la sacralità della fede.

Hai conosciuto, Venerabile Fratello, il luttuoso scisma che recentissimamente alcuni Armeni hanno provocato a Costantinopoli: costoro, anche se ritengono di potersi chiamare cattolici, per ingannare gl'incauti e gl'impreparati, tuttavia si sono tragicamente allontanati dalla verità e dall'unità cattolica e sono condannati dal Nostro giudizio e dalla Nostra autorità.

Costoro, per altro, tutto smuovono, tutto osano, come è comportamento consolidato degli eretici, per trarre a sé discepoli e conquistare credito di qualsiasi provenienza per la loro sciaguratissima causa; in questo modo hanno tramato anche contro i fedeli di rito caldeo e tuttora non smettono di tramare.

Noi non dubitiamo che ai fedeli che ti sono stati affidati per mantenerli nella verità e nell'unità cattolica, come esigono la tua dignità e il tuo incarico, Tu, Venerabile Fratello, spiegherai apertamente che il nuovo scisma Armeno è stato da Noi già sconfessato; e che Tu insegnerai loro che non è lecita alcuna commistione con gli stessi Neoscismatici, men che meno nelle pratiche religiose.

Che costoro infatti siano completamente esclusi e cacciati dalla Chiesa Cattolica lo testimonia più che a sufficienza la stessa lettera emanata dal Romano Pontefice, cioè dalla prima ed Apostolica Sede .

"In quest'occasione inoltre non possiamo tacere, Venerabile Fratello, quel che accade nella chiesa di Diyarbekir, facente parte del tuo patriarcato; Tu non ignori che da molti anni essa è appesantita e divisa da tensioni e lotte intestine; ed inoltre quante ne abbia dovute sopportare colui che di recente ne è stato il capo, il Vescovo Pietro Di-Natale.

Alla sua morte, quando su tua proposta vi nominammo Vescovo il Venerabile Fratello Pietro Timoteo Attar, apprendemmo con gran dispiacere che le predette tensioni non si erano risolte; anzi, sotto la spinta dello spirito Neoscismatico, si era arrivati a tal punto che, come già rimproverava l'Apostolo ai Corinzi, uno diceva di essere di Paolo e l'altro di Cefa; e lo stesso Venerabile Fratello Timoteo più e più volte Ci supplicò che gli concedessimo di lasciare l'incarico che gli avevamo affidato e che lo aveva trascinato in tanta tempesta.

Scismi e scandali di tal fatta devono essere assolutamente tolti di mezzo.

Perciò ti esortiamo e scongiuriamo nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, Venerabile Fratello, affinché ti impegni prioritariamente e con la massima efficacia nel comporre ed azzerare codesti dissidii.

Vogliamo che tu sia certo che per ottenere questo risultato non ti verranno mai meno il Nostro consiglio, il Nostro aiuto e la Nostra autorità.

"È vecchio e nello stesso tempo ben noto il metodo degli eretici di isolare prima e poi scindere in fazioni quei cattolici che mirano ad opprimere con gli inganni, la paura, la violenza; poi incalzare Re e Principi con calunnie e lamentele, per procurarsi in tal modo il loro patrocinio e suscitare odio ed indignazione contro i cattolici.

Essi agiscono con il massimo impegno per allontanare dall'unità e dalla comunione con la Sede Apostolica coloro che tentano di trarre dalla loro parte, per farseli poi complici di malvagità e perdizione.

Per questo motivo, quando i fedeli siano turbati dall'eresia e dallo scisma, è da sempre consuetudine per i cattolici, e soprattutto per i Vescovi, implorare – come diceva il grande Basilio di Cesarea – la mano risanatrice del Pontefice Romano ed invocarne l'autorità; affinché, nella fermezza del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, si consolidino le fondamenta della Chiesa Orientale.

"Impegnati dunque, Venerabile Fratello; segui i precetti e gli esempi dei predecessori, che hanno pronunciato parole di vita; analizzando l'obiettivo del loro discorso, imitane la fede.

Cristo è lo stesso ieri, oggi e nei secoli futuri; nessuno potrà sradicare ciò che Egli pose come fondamento della Chiesa, così come nessuno che voglia rimanere nel gregge del Signore potrà mai allontanarsi da Colui che Egli prepose come Pastore di tutti.

"Questo devi insegnare, e proclamare in Cristo Gesù; a questo attieniti e nessuno si approprierà della tua corona.

Siamo invecchiati entrambi, Venerabile Fratello, ed è imminente la conclusione del nostro attendamento terreno; perciò diamoci da fare al massimo per compiere al meglio il nostro ministero; Tu nei confronti del popolo che, per Nostro tramite, Dio ti ha dato da governare; Noi nei confronti della Chiesa tutta che, con imperscrutabile scelta, Dio stesso ha affidato alla Nostra debolezza, perché la nutrissimo e la governassimo.

E se ci capita di dover soffrire un po' per questa causa, rallegriamoci ed esultiamo di essere ritenuti degni di sopportare qualche offesa nel nome del Signore e di guadagnare una mercede più copiosa in cielo.

Noi preghiamo di ciò il Signore, Venerabile Fratello, per Te che abbiamo sempre trattato e trattiamo con sincero affetto, e per Noi; volendo aggiungere a ciò un nuovo pegno, a conferma della Nostra benevolenza, e desiderando andare incontro alle tue necessità spirituali, date le perturbazioni attuali della Chiesa Orientale, ad esse soccorriamo per quanto è necessario con il Nostro potere Apostolico e con la Nostra indulgenza, per mezzo di questa lettera.

"Mentre scrivevamo queste cose, abbiamo ricevuto da Te un'ulteriore lettera datata 16 settembre di quest'anno, e contemporaneamente un chirografo del Venerabile Fratello Simeone, Arcivescovo di Senhanen, firmato il primo dello stesso mese, per attestare la sua adesione alle Costituzioni del Sacro Concilio Vaticano; il che già aveva fatto il Venerabile Fratello Tommaso, Arcivescovo di Bassora, il 29 luglio di quest'anno.

Di ciò ringraziamo i Venerabili Fratelli e Te, poiché tutti i Presuli del tuo patriarcato sono unanimi e insieme procedono nella casa del Signore; non soltanto nel chiuso del cuore coltivano questo consenso degli animi, ma lo dichiarano pubblicamente e solennemente; nulla più di questo è opportuno per impedire od estinguere gli scismi e per conservare la pace tra i fedeli.

"Il Dio stesso della pace Ti sorregga in ogni buon impegno e Ti doni la pace sempiterna; nel Suo nome e con la Sua autorità Noi impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica a Te e a tutti i Vescovi, sacerdoti, monaci ed al fedele popolo del Patriarcato Babilonese che si mantengono in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica.

"Dato a Roma, presso San Pietro, il 14 novembre 1872, anno ventisettesimo del Nostro Pontificato".

14 Nella risposta che diede a questa Nostra lettera, il Patriarca dichiarava con molte parole obbedienza e devozione nei Nostri confronti e verso questa Cattedra Apostolica di San Pietro e prometteva che si sarebbe pienamente impegnato affinché i fedeli del suo Patriarcato restassero immuni dagli errori del nuovo scisma Armeno, ed anzi lo detestassero dal più profondo del cuore.

Di conseguenza Ci saremmo rallegrati che tutto fosse finito bene, se non Ci avesse offerto motivo di preoccupazione la reiterata richiesta dell'autorizzazione a mandare Vescovi del suo rito in Malabaria; per ottenerla, da un lato asseriva che non si era provveduto sufficientemente alle necessità di quella gente; dall'altro si sforzava di mettere avanti l'ansietà della sua coscienza, se non si fosse intervenuti sollecitamente.

Dopo che l'argomento fu esaminato attentamente dalla citata Nostra Congregazione incaricata dei rapporti con i Riti Orientali, ricevuta la relazione Noi disponemmo che si rispondesse al Patriarca che Noi non potevamo essere d'accordo con le sue tesi a proposito della Malabaria.

Infatti Ci risultava chiaro che esse non si sarebbero tradotte minimamente in beneficio per le anime; che da parte Nostra si era provveduto a sufficienza alla salvezza spirituale dei Malabarici; perciò si calmasse e deponesse ogni ansietà a questo proposito.

Molti altri concetti vennero aggiunti in quella stessa risposta, per fortificare il suo animo, che sapevamo tentato dai suggerimenti dei malvagi, perseguitato dalle ingiurie, atterrito dalle minacce.

15 Ma poco dopo apparve chiaro quanto gli sforzi dei malvagi riescano a trascinare con sé un uomo, anche probo, quando il tempo li aiuti; in effetti, non avrebbero potuto desiderare nulla di più favorevole ai loro spregiudicati disegni.

A quell'epoca infatti un nuovo scisma si era sviluppato fra gli Armeni, già era divampato e già tentava di trarre dalla propria parte ed ai propri perfidi progetti, anche controvoglia, le Chiese degli altri Riti Orientali, con lo scopo di perseguitare e depredare i cattolici.

Così il 24 maggio 1874, nella solennità della Pentecoste, il Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe osò offendere lo Spirito Santo.

In quello stesso giorno infatti ebbe l'impudenza di elevare in modo sacrilego alla dignità episcopale due sacerdoti del suo rito, uno di nome Elia, l'altro Matteo; gli fecero da assistenti Elia Mello, Vescovo di Akra dei Caldei, ed Eliseo, Abate generale dei monaci di Sant'Ormisda.

I due consacrati furono posti uno a capo della chiesa di Iezira, l'altro di quella di Amida, arbitrariamente e senza alcun fondamento.

Lo impediva infatti la predetta Nostra Costituzione edita nel 1869.

A quel punto, in spregio alle altre lettere ed ai decreti della Sede Apostolica, destinò Elia Mello come Vescovo in Malabaria; a trattenere questi dall'intraprendere il viaggio non valsero né il Nostro divieto, né la condanna della sospensione, annunciata da parte Nostra, nella quale sarebbe incorso ipso facto se avesse osato porsi in viaggio; tutto ciò gli era stato opportunamente comunicato.

16 Spinti dalla gravità e dalla frequenza di queste azioni scellerate, ordinammo che lo stesso Patriarca venisse pesantemente ammonito tramite il Nostro diletto figlio Alessandro Franchi, Cardinale di Santa Romana Chiesa al titolo di Santa Maria in Trastevere e Prefetto della ricordata Nostra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari dei Riti Orientali.

Questi inviò al Patriarca una lettera datata 27 agosto dello stesso anno, per richiamare alla sua memoria le disposizioni ed i divieti della Sede Apostolica.

Le motivazioni con le quali egli s'era ingegnato di contestare tali provvedimenti erano da considerarsi confutate; disapprovato l'invio del citato Vescovo Mello in Malabaria; riprovata l'illegittima consacrazione dei due Vescovi ( l'elezione di costoro era dichiarata nulla e priva assolutamente di qualunque effetto ); agli stessi veniva interdetto l'esercizio di qualunque attività d'ordine episcopale.

Al Patriarca veniva ordinato espressamente di richiamare personalmente il Vescovo Mello dalla Malabaria e gli altri dalle Diocesi nelle quali erano stati da lui introdotti, e di rendere conto dei suoi atti; se non l'avesse fatto entro un lasso di tempo stabilito, il Sommo Pontefice, per quanto a malincuore, avrebbe dovuto applicare nei suoi confronti le pene canoniche.

Allo stesso modo furono ammoniti, per Nostra disposizione, i due sacerdoti Matteo ed Elia; fu resa loro nota la nullità della loro elezione, vietato l'esercizio dei pontificali, ordinato l'allontanamento dalle Diocesi che avevano occupato, minacciati di pene ecclesiastiche se non avessero obbedito.

A questo punto dovevano essere ammoniti coloro che erano stati partecipi della consacrazione sacrilega.

Dio tolse di mezzo l'abate Eliseo: questi infatti morì non molto tempo dopo, senza aver dato alcun segno di pentimento.

Il Vescovo Mello, non appena arrivato in Malabaria, fu solennemente scomunicato dal Venerabile Fratello Leonardo, Arcivescovo di Nicomedia, Vicario Apostolico di Verapolis, in forza dell'autorità che gli avevamo conferito con la lettera inviatagli il 1° agosto 1874, che comincia Speculatores: una volta insediatosi, Mello fu ammonito canonicamente di andarsene, ma rifiutò di obbedire.

17 La risposta del Patriarca , fattasi aspettare a lungo, Ci dimostrò a sufficienza che egli non voleva attenersi alle Nostre disposizioni; tutto in essa tendeva ad asseverare l'integrità della sua fede e a garantire la sua devozione e sottomissione verso la Cattedra Apostolica del Beato Pietro, ma intanto egli proteggeva i suoi pretesi diritti patriarcali; e premeva perché gli permettessimo di goderli liberamente, revocando ciò che la Sede Apostolica aveva decretato per il Malabar e l'elezione dei Vescovi.

Alla fine, ricordando la canizie della propria età e le fatiche sopportate, Ci incitava ad aver pietà di lui e della sua gente.

Nel frattempo però non modificava la posizione né i comportamenti temerari, ché anzi non esitò a consacrare Vescovi arbitrariamente e sacrilegamente altri due sacerdoti del suo Rito, Ciriaco e Filippo Giacomo ( destinando uno dei due alla diocesi di Zaku, l'altro all'India ), con l'assistenza e la cooperazione all'empia consacrazione del Vescovo Tommaso Rokos e di Matteo, precedentemente consacrato in modo sacrilego dallo stesso Patriarca.

A questo punto Noi Ci rattristammo terribilmente, considerando come si era ridotto miseramente, spinto dai suggerimenti dei malvagi, lo stesso Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe, che un tempo si era mostrato sostenitore strenuo della fede cattolica e dell'unità.

Riflettendo inoltre che la misericordia non deve essere remissiva, ma giusta; che se una colpa viene cancellata sconsideratamente, colui che è colpevole potrebbe esser trascinato più pesantemente nel reato; che non sarebbe misericordia ma segno di torpore e debolezza essere indulgenti in qualcosa che soddisfacesse alla voglia di uno o più, ma che poi risultasse dannosa e mortale per la salvezza di molti, ritenemmo che al Patriarca dovesse essere mandata un'altra lettera, nella quale – volendo mantenere contemporaneamente misericordia e discernimento – abbiamo ricostruito per sommi capi tutto ciò che da lui era stato e veniva erroneamente compiuto; abbiamo voluto rendergli evidente l'inconsistenza delle motivazioni con le quali egli tentava di giustificarsi, e di nuovo ammonirlo affinché obbedisse, almeno stavolta, alle disposizioni Apostoliche, com'era suo dovere; se non l'avesse fatto alla svelta, denunciavamo che Noi non Ci potevamo astenere dal seguire le orme dei Nostri Predecessori, che in caso di necessità non trascurarono di colpire anche i vecchi Patriarchi con la scomunica e persino con la deposizione.

Con questo orientamento, il 15 settembre 1875 gli mandammo la seguente lettera monitoria.

Al Venerabile Fratello Giuseppe, Patriarca Babilonese dei Caldei.

Il Papa Pio IX. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.

18 "La risposta che tu hai fornito il 20 febbraio di quest'anno alla lettera monitoria che su Nostro comando e con la Nostra autorità ti è stata inviata dalla Nostra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito Orientale Ci ha riempito di dolore e tristezza.

Da essa infatti abbiamo capito fino a che punto il tuo cuore sia lontano da Noi, anche se Ci onori a parole, poiché dichiari che non puoi eseguire ciò che per lettera ti è stato trasmesso in Nostro nome e per Nostro volere.

Se rifiuterai di obbedire alle predette ammonizioni e confermerai questa tua disubbidienza con ulteriori azioni sacrileghe, questo solo Ci rimarrebbe da fare: seguendo le regole ecclesiastiche e le norme istituite dai Santi Padri, colpirti, come è giusto, con le censure canoniche.

Riflettendo però che in altri tempi tu hai professato ( e anche per lettera continui a professare ) la fede cattolica e il dovuto ossequio verso questa Sede Apostolica e che un tempo hai comprovato ciò con i fatti, abbiamo preferito ritenere che tu sia stato ingannato dagli astutissimi cavilli dei neo-eretici, mediante i quali si tenta di conciliare la riverenza con la disubbidienza che ti ha fatto venir meno, in effetti, ai tuoi convincimenti cattolici.

"Cercando, per quanto è possibile alla Nostra debolezza, di imitare la carità di Colui che agisce con pazienza, non volendo condannare a morte alcuno ma portare tutti sulla strada della penitenza, Ci asteniamo dall'attuare nei tuoi confronti le censure che ti sei attirato, finché non ti sia consegnata questa Nostra lettera, che consideriamo ultima, perentoria ammonizione.

Noi confidiamo in Dio, Padre delle misericordie, affinché tu voglia ritornare in te, riconoscendo la malvagità dei tuoi atti, la futilità delle motivazioni con le quali hai voluto giustificarli, ed inoltre il gravissimo debito del quale sei tenuto a dar sollecita soddisfazione alla Chiesa di Dio; speriamo che tu non tardi a detestare e ad odiare tutto ciò che hai iniquamente compiuto.

"Conviene dimenticare tutto quello che hai fatto dopo la tua partenza da Roma, prima a Costantinopoli e poi nel tuo Patriarcato, fino alla dichiarazione della tua adesione e sottomissione ai decreti del Concilio Vaticano, resa il 29 luglio 1872.

Infatti tu sai bene quel che hai portato a termine erroneamente in quell'arco di tempo e con quale Apostolica sollecitudine Noi siamo venuti in soccorso delle tue necessità spirituali.

Noi speravamo che non Ci avresti procurato in futuro una causa di dolore ancora più grave.

Dopo questo periodo, tu inviasti alla citata Nostra Congregazione una lettera datata 12 maggio 1873, nella quale chiedevi ti fosse concessa la facoltà di consacrare Vescovi in Malabaria.

Poiché Noi non potevamo consentire a tale richiesta, per le ragioni che già molte volte ti avevamo illustrate, non molto dopo tu non hai esitato a superare i confini prestabiliti, avendo ricevuto e disatteso sia la Nostra lettera Apostolica che comincia "Cum ecclesiastica", nella quale avevamo fissato le regole da seguire nella scelta dei Vescovi, sia le altre lettere con le quali più e più volte ti ordinavamo di non osare alcunché in Malabaria.

Ma tu non hai avuto riguardo di dotare del carattere episcopale due sacerdoti e di affidare loro arbitrariamente le Diocesi, e di destinare a Malabar, contro le Nostre disposizioni, il Vescovo Elia Mello, che osa definirsi metropolita di quella regione.

"Non piangeremo mai abbastanza i mali che fecero immediatamente seguito a questi tuoi ardimenti, i danni che essi arrecarono alla stessa Chiesa cattolica sia in Malabaria sia in Mesopotamia, ed il grande disdoro che comportarono per la tua dignità e per la tua fede.

Infatti la disciplina ecclesiastica è stata turbata dall'operato del predetto Vescovo Elia, che hai mandato a Malabar violando il Nostro comando, e al quale hai ordinato di restare colà nonostante fosse stato colpito da solenne scomunica da Noi disposta; agli ordini sacri sono stati promossi giovani inidonei e persino indegni; chiese cattoliche sono state strappate con l'inganno e talora con la violenza; con ingiurie e con calunnie sono stati aggrediti non soltanto i missionari Apostolici ma persino lo stesso Venerabile Fratello Leonardo, Arcivescovo di Nicomedia, che in quella regione esercita la Nostra potestà vicaria; ed un luttuoso scisma è stato introdotto ed alimentato.

Da qui le discordie e le contese sviluppatesi fra i fedeli Malabarici, gli uni fermamente stretti al loro legittimo Presule, gli altri legati all'intruso Elia, il quale non cessò mai di mettere in campo qualunque subdola ed iniqua manovra per ingannare gli incauti e i semplici.

Codesto figlio della perdizione s'azzardò non soltanto ad affermare pubblicamente che la Nostra lettera Apostolica Speculatores, inviata ai Malabarici il 1° agosto dell'anno scorso, era falsa; ma arrivò al punto d'inventarsi di sana pianta un Breve apostolico, al quale mise la data del 20 agosto 1872, e di promulgarlo pubblicamente e solennemente come Nostra lettera.

In tale testo, codesto falsario di lettere Apostoliche dice calunniosamente che nel Concilio Ecumenico Vaticano si era trattato del tuo preteso diritto in Malabaria, e che esso era stato riconosciuto dai Padri ed approvato da Noi; non ha avuto paura di chiamare a suffragio di questa sua menzogna tanti testimoni quanti furono i Padri che presero parte al Concilio Ecumenico Vaticano.

Così, tramite voi, con inganni di tal fatta vengono diffusi negli animi errore e confusione, e la verità viene corrotta in malizia; oscillano i fedeli, trascinati in diverse direzioni, ed alcuni di loro si trovano ad aderire all'usurpatore scismatico, ritenendo al contrario di essere in consonanza con la Cattedra Apostolica del Beatissimo Pietro.

"Se in verità analizziamo quanto è accaduto in Mesopotamia, riscontriamo con gran dolore che alle Diocesi sono preposti Vescovi che non hanno alcuna comunione con questa Cattedra del Beatissimo Pietro, da te scelti in maniera temeraria ed illegale, contro le disposizioni apostoliche, consacrati in modo sacrilego ed iniquamente insediati.

Come avresti potuto ignorare – proprio tu che ricordi anche troppo spesso di essere stato disciplinatamente educato nella fede cattolica – che nessuno può essere legittimamente creato Vescovo contro il parere della Sede Apostolica?

Che non è investito di nessun potere colui che la stessa Sede Apostolica ha dichiarato privo di qualunque giurisdizione?

E forse ti sembrano poca cosa il sovvertimento dell'ordine ecclesiastico suscitato dalla tua opera, il turbamento dei fedeli, le lotte, lo spirito di emulazione, ed il gravissimo scandalo che è stato recato ai fedeli, e tuttora perdura, per la tua disobbedienza alle disposizioni Apostoliche?

A causa di essa esultano gli infedeli e gli eretici; oscillano confusi coloro che sono deboli nella fede; si dolgono e piangono coloro che l'hanno più salda, e non vedono per quale ragione debbano restare sottomessi ad un Patriarca che spregia l'obbedienza dovuta al Pontefice Romano.

"Che tu stesso abbia capito queste cose e le tema è dimostrato con chiarezza dalle lettere con le quali hai voluto sollevare i Venerabili Fratelli Vescovi del tuo Patriarcato contro le Nostre stesse disposizioni e costituzioni, per trarli dalla tua parte.

Questo confermano le dicerie calunniose sparse fra la gente contro i missionari apostolici e contro lo stesso Nostro Delegato, il Venerabile Fratello Ludovico, Arcivescovo di Damietta; lo conferma l'impegno che, come abbiamo saputo, tu hai profuso affinché i fedeli, ed il clero in particolare, non avessero rapporti con i Nostri missionari, né potessero far ricorso alle loro parole, al loro parere o al loro ministero, instillando anzi la paura che coloro che avessero avuto frequentazioni avrebbero ricevuto censure da te.

Lo conferma infine l'inimicizia contro costoro suscitata nel potere civile, che si dice tu abbia invocato come presidio contro disposizioni e censure della Sede Apostolica, che senti di aver ampiamente meritate.

A coronamento di tutto ciò, si aggiunse l'altra nefasta consacrazione dei Vescovi, uno dei quali tu destinasti alla diocesi di Zaku e l'altro a quella delle Indie; maggior scandalo per i fedeli derivò dal fatto che la cerimonia fu compiuta con il massimo apparato e la massima solennità, in spregio a questa Sede Apostolica.

"Questo, Venerabile Fratello, è ciò che è accaduto ed accade in Malabaria ed in Mesopotamia per tua iniziativa, per tacer del resto; di ciò siamo costretti dal Nostro ufficio a chiedere ragione a te, che ben più gravemente renderai conto all'eterno Principe dei pastori.

Che tu non abbia avuto ripensamenti, e che anzi tu disprezzi tutto ciò, è espresso temerariamente dalla ricordata tua lettera alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, con la quale ti sforzi di dimostrare la tua innocenza, confermando la tua fiducia nel primato pontificio ma adducendo argomenti a sostegno dei tuoi pretesi diritti sulla scelta dei Vescovi e sulle regioni Malabariche.

"Invano, infatti, tu proclami nella tua lettera di riconoscere e di onorare il primato del Pontefice Romano, se poi non ti adegui in ogni comportamento a quanto sancì il Concilio Ecumenico Fiorentino e che il Concilio Ecumenico Vaticano ha esplicitato con maggior chiarezza e confermato.

Non è certo atteggiamento cattolico ammettere un primato di giurisdizione costituito per diritto divino, per poi opporgli quelli che tu chiami diritti patriarcali, istituiti per disposizione ecclesiastica, dai quali il Pontefice Romano non potrebbe derogare per ragioni di causa, di tempo e di luogo; per un Vescovo cattolico è indegno riservarsi qualunque diritto o privilegio mediante il quale intenda sottrarsi al potere ed alla disposizione piena e legittima del Beato Pietro e dei suoi successori.

"In verità Noi abbiamo sempre ritenuto che la fede cattolica fosse in te pienamente integra, e che tu non avessi mai voluto dissentire dalla dottrina e dallo spirito di tutta la Chiesa.

Perciò, quando – nella lettera della tua adesione ai decreti del Concilio Vaticano, che stilasti il 29 luglio 1872 – dichiarasti che volevi ti fossero riservati e conservati tutti i diritti ed i privilegi patriarcali, come tu li chiamavi, non potemmo ritenere che tu avessi voluto fissare un limite ovvero porre una condizione alla professione cattolica da te resa: né l'una né l'altra infatti avrebbero potuto conciliarsi con la verità e con l'unità cattolica.

Poiché lo spirito del tuo discorso appariva troppo duro e ambiguo, Noi ritenemmo che fosse doverosamente da respingere, rispetto a quella dottrina integra che tu dichiaravi di voler proclamare; avrai potuto rendertene conto dalla lettera che, in occasione della tua citata adesione, ti inviammo il giorno 16 novembre 1872; in quel caso accogliesti la Nostra dichiarazione in essa espressa, e da ciò che Ci rispondesti per iscritto risultò che tu ti uniformavi ad essa integralmente e tranquillamente.

"Dopo questo, tuttavia, non ti trattenesti dal diffondere la tua rivendicazione tra i tuoi Vescovi, per sostenere i tuoi pretesi diritti.

Se avessi mandato loro anche una copia della Nostra lettera citata, certamente essi avrebbero capito che Noi non avevamo approvato la tua riserva, e dalla stessa Nostra lettera avrebbero desunto l'autentica dottrina cattolica, da Noi riferita, in materia di privilegi dei Patriarchi; e avrebbero notato con ammirazione la Nostra benignità nei tuoi confronti; benignità che nella stessa lettera esprimemmo con motivazioni assolutamente eccezionali e con la massima dolcezza di linguaggio, proprio quando tu avevi bisogno dell'indulgenza e dell'assoluzione della Sede Apostolica, per tutto ciò che iniquamente avevi compiuto perturbando la Chiesa Orientale.

"Non possiamo inoltre nascondere che ha costituito grande tristezza per Noi e grave scandalo per i fedeli il fatto che – per giustificare la tua disubbidienza alla Nostra Costituzione Apostolica Cum ecclesiastica – tu abbia tentato di contrastarne il valore e l'efficacia asserendo che non era stata da te ricevuta; questo in verità avrebbe potuto accadere senza scapito per la fede, dato che la Costituzione in oggetto è da annoverarsi non fra quelle dogmatiche ma fra quelle meramente disciplinari.

Ma in che modo mai può essere accettato, una volta ammesso il fondamento divino della Chiesa, che la forza e l'efficacia delle Costituzioni Apostoliche dipendano dall'accoglimento dei Vescovi o di chiunque altro?

Non pensavi certo questo, tu, Venerabile Fratello, quando – chiedendo la conferma della tua elezione – nella tua lettera promettevi che saresti stato obbediente e soggetto a Noi per tutto il tempo futuro della tua vita e dimostravi questa soggezione con il tuo comportamento.

Questo certo non pensarono i Patriarchi cattolici della Caldea che ti hanno preceduto.

Questo infine non pensò certo il famoso Simone Sulaka, che ti vantavi di aver avuto come predecessore.

Egli infatti professò con tanto vigore il primato della giurisdizione del Romano Pontefice da promettere che "egli avrebbe sempre ottemperato, come figlio dell'obbedienza, agli ordini, alle disposizioni, ai divieti e ai comandi del nuovo Papa Giulio III, dei suoi successori assurti canonicamente al ruolo di Pontefici Romani, e della Sede Apostolica".

Riteniamo che questa professione di fede sia conservata nei tuoi archivi, dato che fu inserita integralmente nella lettera Apostolica che lo stesso Giulio, Nostro Predecessore, inviò a Sulaka il 20 febbraio 1553 per confermargli l'elezione a Patriarca.

"Che dire poi del pretesto che accampi: il timore dei mali che dici potrebbero derivare a te ed ai tuoi dal potere civile, nel caso tu obbedissi alla Nostra citata Costituzione, portando l'esempio dei mali che toccarono al Venerabile Fratello Patriarca Armeno ed alle Chiese cattoliche dello stesso Rito?

Ecco dove approdano anche i più solidi Presuli della Chiesa quando cominciano ad allontanarsi da questa Sede del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli dalla cui solidità trae linfa vitale ogni forza dei sacerdoti!

I Santi Apostoli di Dio insegnarono che si deve obbedire ai Principi terreni e si devono pagar loro i tributi: nella Chiesa cattolica, che ha sempre rispettato e rispetta questa dottrina, è sempre stata disapprovata e condannata la ribellione contro i poteri legittimi.

Non sarà però lecito venire meno al rispetto ed all'obbedienza che si debbono alle leggi divine ed ecclesiastiche, se per caso il potere civile abbia qualcosa contro di loro.

Infatti Colui che disse di dare a Cesare quel ch'è di Cesare, ordinò anche di dare a Dio quel ch'è di Dio; e quando si trattò di difendere le disposizioni di Cristo nostro Signore, gli Apostoli si esposero intrepidamente davanti al potere civile: è necessario obbedire più a Dio che agli uomini.

Se non è vano riportare alla mente e riflettere sui tanti esempi di santissimi uomini e di antichi martiri, che hanno subìto torture terribili dai poteri di questo mondo per non venir meno al rispetto della legge divina od ecclesiastica, guarda anche quel che accade alle Chiese Cattoliche, sia quelle orientali – soprattutto l'Armena – sia quelle occidentali, in particolare quella Tedesca e quella Elvetica.

Colà i Vescovi, il clero ed anche i più eminenti fra i laici, pur conservando il pieno rispetto e la dovuta sudditanza ai legittimi poteri, non hanno paura delle loro minacce quando si deve rendere a Dio ciò che è di Dio; né, per paura di punizioni, tradiscono la verità o il loro dovere, o si allontanano dalla Sede Apostolica.

Anzi, sopportano con animo sereno la sottrazione dei beni, il carcere, l'esilio, sapendo di avere assicurato la massima grazia e la mercede in cielo.

"Per difendere poi i tuoi pretesi diritti sulla Malabaria, tu sostieni che i fedeli di quella regione ti debbono essere sottoposti perché mantengono il rito caldeo e perché un tempo erano soggetti ai Patriarchi caldei.

Non abbiamo intenzione di introdurci in dispute storiche, nelle quali ciascuno la pensa diversamente.

Anche se le cose stessero come tu sostieni, non per questo raggiungeresti il tuo obiettivo.

Anche se un Vescovo, di qualunque dignità ed ordine, ha ricevuto un tempo la giurisdizione su una regione, non per questo la regione dovrà essere soggetta in perpetuo al Vescovo di quella sede e non c'è alcun motivo per cui, con una decisione legittima e per legittima causa, non possa esser trasferita alla giurisdizione di un altro Vescovo.

Molti esempi tratti dagli Annali della Chiesa e dagli Atti dei vecchi Concilii confermano questa tesi.

Per la verità, i Nestoriani ed altri Patriarchi scismatici si sono arrogati abitualmente la giurisdizione ecumenica ed universale su tutti i fedeli del loro rito, in qualunque terra abitino; infranti i vincoli che li congiungevano a questa Sede Apostolica, essi non riconoscono alcun superiore.

Ciò non è mai stato concesso ai Presuli cattolici, né autorizzato dai canoni legittimi, ne dalle Costituzioni pontificie.

"Inoltre hai sostenuto che la giurisdizione sul territorio di Malabar ti era stata promessa, affermando che a ciò si era formalmente obbligato nei tuoi confronti il Venerabile Fratello Zaccaria, Vescovo di Maronea, recentemente sottratto ai vivi.

Egli, che pure Ci ha riferito molte cose di quelle che ha fatto costà, non ha mai scritto nulla alla Nostra Congregazione su una promessa di questo tipo; né Noi gli demmo mai alcuna facoltà di formularla.

Comunque non apparirebbe valida alcuna ragione che avesse potuto indurlo a fare una tale promessa.

Infatti non possiamo accettare che l'abbia fatta per ottenere la tua adesione alle Costituzioni del Concilio Vaticano, perché l'autorità del Concilio non aveva bisogno della tua adesione ed un simile modo di agire si sarebbe tradotto in onta non solo per la tua coscienza e la tua dignità, ma anche per la sua.

"Per dimostrare le concessioni della Sede Apostolica, tu presentasti una lettera, inviata il 28 aprile 1553 dal Nostro predecessore Giulio III di felice memoria, con la quale venivano concessi il sacro pallio ed alcune facoltà speciali al ricordato Sulaka, Patriarca del rito caldeo.

Tu hai ordinato che nelle chiese venisse diffusa la traduzione araba – neppure molto fedele – di quella lettera, per contrapporre alle Nostre disposizioni e alle Nostre Costituzioni i decreti e le lettere dei Nostri Predecessori.

I quali, tu dici, avrebbero confermato la giurisdizione dei Patriarchi caldei sulle regioni dell'India ed inoltre avrebbero concesso loro l'arbitrio di scegliere i Vescovi.

Giulio III, come tu stesso sai, nella ricordata lettera concesse al Patriarca Sulaka la facoltà di confermare con la sua autorità patriarcale l'elezione di Vescovi ed Arcivescovi suoi sudditi, una volta che essa fosse avvenuta correttamente, secondo il rito e la prassi della Chiesa Romana, e di impartire ai Vescovi ed agli Arcivescovi così eletti, dopo che le loro elezioni fossero state ratificate, il potere della consacrazione, secondo il rito e la prassi predetti, dopo aver ricevuto da essi, nel nome del Pontefice Romano e della predetta Chiesa Romana, il solito giuramento della dovuta fedeltà.

Perciò devi capire, come appare chiaro a chiunque legga quella lettera, che egli non vi ha sancito o fissato nulla che riguardi i luoghi in cui debba essere esteso il diritto patriarcale di Sulaka: l'impiego della potestà concessa era anzi espressamente vietato per quei luoghi nei quali i Presuli vengono designati dal Pontefice Romano.

Perciò quella lettera non ti aiuta assolutamente ad estendere la tua giurisdizione oltre i confini nei quali è racchiusa attualmente; alle tue aspirazioni sulla Malabaria, dove i Presuli sono istituiti dal Pontefice Romano, contraddicono apertamente quei Cristiani che proprio per questo motivo, rigettata nel Sinodo Diamperitano del 1599 l'eresia Nestoriana, si sono aggregati alla Chiesa Cattolica.

In quel Sinodo essi giurarono e promisero formalmente che non avrebbero mai riconosciuto alcun Vescovo, Arcivescovo, Prelato, Pastore o Governatore, se non quello che fosse direttamente nominato dalla Santa Sede Apostolica tramite il Papa Pontefice Romano.

Ciò fu sancito e ribadito dall'autorità dei Nostri Predecessori Clemente VIII e Paolo V, ed è stato osservato fino ad oggi.

"In questa lettera monitoria, Venerabile Fratello, riconoscerai il segno della Nostra singolare longanimità e carità nei tuoi confronti; con essa Ci siamo impegnati con sollecitudine a mostrarti la debolezza dei sofismi nei quali ti sei invischiato ed a recuperarti a saggi consigli, nella speranza che, con l'aiuto della grazia di Dio, ascoltando una buona volta la Nostra voce, tu ti ravveda e ritragga dal pericolo di un imminente scisma te e le chiese di rito caldeo a te affidate.

Perciò, con la Nostra autorità Apostolica, nel rispetto della santa obbedienza e sotto la minaccia del giudizio divino, ti ordiniamo esplicitamente, Venerabile Fratello, di richiamare al più presto dalla Malabaria il Vescovo Elia Mello e quanti altri vi siano, sacerdoti, monaci ed anche Vescovi del tuo rito; e di lasciare che quella regione, nella quale abbiamo già dichiarato e ripetiamo che non hai nessuna giurisdizione, sia governata dal suo legittimo Presule in pace e cattolica armonia.

"Ordiniamo inoltre che tu richiami dalle Diocesi alle quali li avevi arbitrariamente, sacrilegamente e inefficacemente preposti, i sacerdoti Elia e Matteo e gli altri che, contro la Nostra Costituzione, avevi recentemente elevato alla dignità episcopale.

Quanto alle Diocesi del tuo Patriarcato che mancano di un legittimo pastore, affidane il governo e l'amministrazione ad altri sacerdoti del tuo rito che ne siano degni ed idonei, fintanto che alle stesse Diocesi non siano assegnati Vescovi legittimi, correttamente nominati.

Se trascurerai di adempiere questa Nostra disposizione, Noi stessi Ci occuperemo di quelle Diocesi, come C'impone doverosamente il ruolo del Nostro Apostolato.

"Inoltre ti ammoniamo di evitare assolutamente l'abuso di punizioni ecclesiastiche, che abbiamo saputo esser state da te comminate e utilizzate spesso con arbitrio e senza giusta causa.

Se infatti tu le irrogherai per ragioni non giuste ed adeguatamente gravi, non potremo esimerci dall'assolvere, con la Nostra autorità ( come già altre volte Ci hai costretto a fare ) quei fedeli che, colpiti da pene ingiuste, fanno ricorso a Noi.

Vogliamo in definitiva che tu ti attenga assolutamente a tutto ciò che la Nostra Congregazione ti ha scritto nella lettera del 27 agosto dell'anno scorso.

"Confidiamo che tu eseguirai con scrupolo tutto ciò che ti abbiamo ordinato nel Signore; a questo scopo invochiamo per te la pienezza delle grazie divine.

Se – ma speriamo di no! – trascurerai di obbedire a questa Nostra perentoria ammonizione e persisterai nella caparbietà, sappi che Noi seguiremo le orme dei Nostri Predecessori, che non tralasciarono, quando si rese necessario, di colpire con pene e censure ecclesiastiche gli antichi Patriarchi, nonostante in qualche caso fossero protetti dal patrocinio dei potenti; e li castigarono non soltanto con la pena della scomunica, ma anche della deposizione.

Se sarà necessario, seppure con grande dolore Noi attueremo nei tuoi confronti questa stessa procedura, per non essere rimproverati dall'eterno Principe dei Pastori di aver tradito il Nostro ministero e di aver trascurato la fede e la salvezza di tante anime, trascinate ad un gravissimo punto nodale.

"Noi ti preghiamo, Venerabile Fratello, e ti scongiuriamo nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo, affinché tu riconsideri seriamente di fronte a Dio la tua malvagia condotta, il grado della tua dignità, la tua età ed il gravissimo pericolo per la tua eterna salvezza; implorata con umili preghiere la luce divina, prendi dunque quelle decisioni che dimostrino nei fatti il tuo ossequio verso la Sede Apostolica, tante volte asserito a parole; quelle decisioni che allontanino da te la rovina nella quale, finché presti orecchio agli iniqui consiglieri, deploriamo che trascinerai te stesso ed il popolo che ti è stato affidato dalla Nostra autorità.

"Affinché la misericordia divina si sparga benignamente, a te Venerabile Fratello, insieme con i Vescovi, il clero, i monaci ed i fedeli che rimangono in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica, impartiamo con affetto la Benedizione Apostolica nel Signore.

"Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 settembre 1875, anno trentesimo del Nostro Pontificato".

19 La risposta a questa Nostra lettera tardò a lungo.

Dapprima accettammo che il ritardo fosse dovuto ad una malattia, ma dopo che egli si era ripreso niente più poteva scusarlo.

Nel frattempo i suoi comportamenti, che seguivamo con la massima attenzione, Ci fornivano una risposta più eloquente di una lettera.

Infatti non furono richiamati dalla regione Malabarica coloro che vi erano stati inviati, e nemmeno dalle Diocesi i sacerdoti sconsideratamente investiti della dignità episcopale.

Per di più, l'intruso nella diocesi di Amida ebbe l'ardire di promuovere agli ordini alcuni monaci, che poco dopo il Patriarca in persona non si peritò di avviare al sacerdozio.

I sacerdoti che non volevano accettare questo malvagio comportamento furono vessati con minacce e punizioni; in alcuni casi furono fatti passare come perturbatori del popolo e ribelli al Patriarca; in altri puniti con l'aiuto del potere civile.

Né possiamo fingere di ignorare la risposta che il Patriarca diede il 7 febbraio di quest'anno alla lettera inviatagli da alcuni Mauxiliesi.

In essa dichiarava con estrema franchezza che non aveva mai rinunciato – né mai lo avrebbe fatto – ai suoi pretesi diritti; che questo era dimostrato dai suoi comportamenti, chiari, diceva, come il sole; che egli poteva valersi del ministero patriarcale, così come se n'erano valsi i suoi predecessori Patriarchi cattolici, mantenendosi come loro congiunto in fede e disciplina con il Sommo Pontefice; al qual proposito ordinava loro di non avere nessun dubbio e nessun sospetto.

Questa esplicita dichiarazione fu resa ancor più inequivoca dalla lettera che gli stessi Mauxiliesi inviarono al Patriarca il 20 dello stesso mese di febbraio.

Costoro, infatti, mentre lo ringraziavano e promettevano di trarre forza e coraggio dalla sua dichiarazione, affermavano di essere, allora ed in futuro, concordi fino alla morte con il Patriarca nel rifiutare la Costituzione Apostolica, nel proteggere i suoi diritti e nel proseguire l'invio di Vescovi in Malabaria.

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