Paternae providaeque
18 settembre 1899
Ci rallegriamo vivamente, venerabili fratelli, che sia stato conseguito, soprattutto per il vostro zelo, un non piccolo frutto della Nostra paterna e provvida sollecitudine verso la vostra gente.
Aderendo infatti alla Nostra lettera che abbiamo scritto il 2 luglio 1894, con il vostro zelo e la vostra fatica, avete fatto in modo che la pietà venisse risvegliata nel popolo, e l'antica disciplina rivivesse negli uomini rivestiti dell'ordine sacro.
E conosciamo bene quanto lavoro avete compiuto per difendere l'incolumità e i diritti dei membri delle congregazioni religiose, che sono sopravvissuti dalle antiche famiglie di questa regione, e per riportarli all'antico splendore della loro istituzione.
A questi si sono associati in modo validissimo altri fratelli dall'Europa: non hanno ritardato il loro nobile impeto né la lunghezza del viaggio, né l'inclemenza del cielo, né i dissimili costumi.
Si aggiungono le numerose congregazioni istituite più di recente, fatte venire dal vostro concorde zelo, sia per istituire o guidare le case per adolescenti, sia per procedere alle sacre missioni, sia per compiere altre cose nel servizio sacerdotale, per le quali questo clero impari di numero non avrebbe potuto essere sufficiente.
Non ultima causa di conforto infine, la offrono i seminari, che presso di voi sono aumentati di numero o sono stati restituiti alla condizione migliore.
Questi fausti inizi, e i progressi fin qui registrati, fanno crescere la speranza che in poco tempo potrà verificarsi che le sacre gerarchie accresciute da Noi, assicurino a propria volta incrementi di giorno in giorno maggiori.
Questo sembrano bene augurarlo sia la vostra provata operosità e riconosciuta diligenza, venerabili fratelli, sia anche il popolo brasiliano, per indole e consuetudine inclinato alla pietà.
Ci sono tuttavia alcune cose talmente necessarie per il progredire della realtà cattolica, che non è sufficiente essersi occupati di loro una volta sola; vogliono essere più spesso ricordate e raccomandate.
A queste appartiene in modo particolare la cura che deve essere riservata ai seminari, con la situazione dei quali si collega al massimo grado il successo della chiesa.
Nella disciplina che vi si deve instaurare, preme soprattutto, cosa che alcuni presuli hanno già felicemente eseguito, che gli alunni che hanno la speranza di consegnarsi a Dio mediante gli ordini sacri, risiedano in dimore separate, ciascuna con distinte regole e leggi, e queste loro case ricevano il nome di seminari; le altre, quelle per educare gli adolescenti ai servizi civili, siano denominate convitti e collegi.
Dalla quotidiana esperienza infatti, risulta che i seminari misti sono meno adeguati al proposito e alla cautela della chiesa; e che quella coabitazione con i laici è la causa per cui il più delle volte i chierici si allontanino dal santo proposito.
È conveniente che questi, fin dai primi anni, si abituino al giogo del Signore, si dedichino quanto più possibile alla pietà, siano al servizio delle sacre funzioni, si conformino all'esempio della Vita Sacerdotale.
Debbono essere quindi tenuti per tempo lontani dai pericoli, separati dalle cose profane, educati secondo le utilissime leggi proposte da san Carlo Borromeo, come vediamo che si fa nei principali seminari d'Europa.
La medesima ragione di evitare i pericoli, invita a provvedere per gli alunni un soggiorno in campagna durante le vacanze, e a non lasciare che ciascuno ritorni ad arbitrio presso la propria famiglia.
Molti esempi di perversità attendono infatti gli incauti, soprattutto in quelle case coloniche, dove le famiglie degli operai vivono ammassate; proprio per questo succede che, cedendo alle giovanili cupidigie, o siano distolti da quanto hanno iniziato, o in quanto futuri sacerdoti siano di scandalo per il popolo.
Raccomandiamo qui vivamente questa cosa, che è già stata sperimentata felicemente da alcuni vescovi, e ne siamo promotori presso di voi, venerabili fratelli, affinché, una volta resa comune questa legge, possiate in seguito meglio provvedere alla custodia del clero adolescente.
E non è meno auspicabile, cosa che già altra volta abbiamo dichiarato, che con impegno e in modo prudente, si presti grande attenzione allo scrivere e divulgare i giornali cattolici.
Difficilmente infatti, questo è il nostro tempo, il popolo attinge le opinioni e modella i propri costumi, da altro luogo che da queste quotidiane letture.
Dispiace che talvolta siano lasciate in disuso da parte dei buoni queste armi che, usate dalle mani degli empi con scaltrissimo allettamento, preparano una fine miseranda alla fede e ai costumi.
Bisogna quindi affilare lo stilo e incitare alla scrittura, affinché la vanità lasci il posto alla verità e le menti ricolme di pregiudizi obbediscano a poco a poco alla voce della ragione e della giustizia.
Confina con questa utilità quell'altra che consegue dall'accesso dei cattolici alle cose dello stato e dalla loro assunzione nell'assemblea legislativa.
Infatti, si può essere utili ad ogni ottima causa con la voce non meno che con lo scritto, con l'influenza e con l'autorità non meno che con la scrittura.
Non sembra poi inopportuno che talvolta possano essere accolti in queste assemblee uomini dell'ordine sacro; che anzi, anche con questi aiuti, quali sentinelle della religione, si possono ottimamente salvaguardare i diritti della chiesa.
Bisogna però guardarsi moltissimo dal fatto che in tutto questo non ci sia un tale accanimento, da sembrare di essere spinti più da una miserevole ambizione o da un cieco zelo partigiano, che dallo zelo del bene cattolico.
Cosa c'è infatti di più indegno che il lottare fra ministri sacri, al punto che dalla cura delle cose dello stato, questi introducano nella società la realtà più dannosa, la sedizione e la discordia?
Che cosa invero, se scivolando nei progetti dei peggiori, ci si oppone continuamente all'autorità costituita?
Tutte queste cose sono di straordinaria offesa per il popolo, e suscitano una straordinaria invidia nel clero.
Il diritto di voto deve essere usato con moderazione; si deve evitare ogni sospetto di ambizione; le funzioni statali debbono essere assunte con prudenza; non ci si deve mai allontanare dall'obbedienza alla suprema autorità.
Ci è sembrato di nuovo opportuno, venerabili fratelli, esortare a quelle azioni, con le quali in modo adeguato si possa provvedere presso di voi al bene della realtà cristiana.
E voglia il cielo che le forze non siano impari alla vostra egregia volontà, e che non sia di impedimento alla messa in pratica degli ottimi progetti la scarsità di denaro.
E infatti, come per l'innanzi, non sono più garantite dal pubblico erario le spese per voi, o per le collegiate dei canonici, o per i seminari, o per le parrocchie, o per la costruzione delle chiese.
Resta quasi una sola cosa, alla quale ci si possa appoggiare, la volontà popolare di compiere elargizioni.
In questo almeno, fornisce una eccellente speranza la consuetudine del popolo brasiliano, per la nobiltà del suo spirito, dispostissima alle elargizioni, soprattutto nelle cose che riguardano il rendere un buon servizio alla chiesa.
E Noi abbiamo illustrato nella Nostra lettera sopra ricordata questo loro merito, quando abbiamo detto, riguardo alla dote da costituire per le nuove diocesi che sono del tutto prive di beni, che Noi non avevamo nulla da anticipare; che Noi avevamo sufficiente fiducia nella pietà e nella religiosità del popolo brasiliano, e che questo non avrebbe negato l'aiuto ai suoi vescovi.
E volentieri vorremmo presentare come esempio la prodiga liberalità, con la quale i figli dell'America settentrionale gareggiano nell'andare incontro ai loro vescovi, in numero molto più grande, e ai collegi cattolici, alle scuole, e agli altri pii istituti, se la vostra nazione non abbondasse di bellissimi esempi del proprio paese.
Non bisogna poi dimenticare quante ragguardevoli chiese ebbero cura di costruire i vostri antenati, a quanti monasteri fornirono una dote, quante grandiose memorie di cristiana pietà e beneficenza lasciarono a voi.
Ci sono poi a disposizione parecchi modi per soccorrere alle necessità della chiesa.
Fra questi, riteniamo che sia molto utile costituire in ogni diocesi una cassa comune, nella quale i fedeli conferiscano una offerta annuale, che deve essere raccolta da uomini e donne prescelti fra le persone più illustri, agli ordini e sotto la guida dei parroci.
Conviene poi che le prime opere di costoro siano nell'elargizione; cosa che eseguiranno ottimamente se, da redditi sicuri, dei quali, spesso ricchissimi, essi stessi usufruiscono, cederanno qualcosa, e oltre agli incerti proventi si impongano di dispensare una qualche quantità di denaro, a guisa di tributo.
Di non minore aiuto possono essere ai vescovi che sono in difficoltà per mancanza di mezzi, quei monasteri e quelle pie confraternite provviste di beni maggiori.
Ma si sarà provveduto al pubblico bene in modo ancora più felice, se quella somma non esigua di denaro che si suole utilizzare per gli spettacoli profani da parte di alcune delle suddette confraternite, verrà destinata alla cassa diocesana.
Se alcuni infine, ricchi di beni di fortuna più di altri, vogliono seguire il lodevole costume degli antichi, e disporre per testamento il compimento di un atto di beneficenza a favore delle pie confraternite o di altre associazioni, li esortiamo con forza, affinché si ricordino di lasciare una qualche somma di denaro ai vescovi, con la quale questi, così confortati, possano salvaguardare sia le cose della chiesa che la propria dignità.
Abbiamo portato avanti la vostra causa, venerabili fratelli, Noi stessi, che l'ingiuria dei tempi ha costretto a richiedere con grande insistenza l'obolo di Pietro.
Del resto, per prima cosa vi conforti il pensiero della fiducia che deve essere riposta in Dio, "poiché egli ha cura di noi" ( 1 Pt 5,7 ); e ricordatevi delle parole dell'apostolo: "Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia" ( 2 Cor 9,10 ).
Il Clero e il popolo, per reggere i quali lo Spirito santo ha posto voi come vescovi, abbiano davanti agli occhi quella primitiva generosità del credenti, di quella moltitudine "che aveva un cuor solo e un'anima sola" ( At 4,32 ); i quali erano solleciti della santa società della chiesa molto più che della propria prosperità, e vendendo "portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli" ( At 4,34-35 ).
Ricordino le parole di Paolo, con le quali alla fine ci rivolgiamo loro: "Vi preghiamo poi, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano fra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con ogni rispetto e carità a motivo del loro lavoro" ( 1 Ts 5,12-13 ).
Frattanto a voi, venerabili fratelli, al clero e al vostro popolo, impartiamo con grande amore nel Signore la benedizione apostolica, auspice dei doni celesti e testimone della nostra benevolenza.
Roma, presso San Pietro, 18 settembre 1899, anno XXII del Nostro pontificato.
Leone XIII