Ad catholici sacerdotii |
Se così alta è la dignità del sacerdozio e così eccelse le doti che richiede, ne segue, Venerabili Fratelli, l'imprescindibile necessità di dare ai candidati del santuario una formazione proporzionata.
La Chiesa, conscia di questa necessità, per nessun'altra cosa forse, lungo i secoli, ha mostrato tanto tenera sollecitudine e materna premura come per la formazione dei suoi sacerdoti.
Essa non ignora che, se le condizioni religiose e morali dei popoli dipendono in gran parte dal sacerdozio, l'avvenire stesso del sacerdote dipende dalla formazione ch'egli avrà ricevuto, essendo anche per lui verissimo il detto dello Spirito Santo: "Il giovinetto secondo la via che ha presa, anche quando sarà invecchiato non se ne scosterà" ( Pr 22,6 ).
Perciò la Chiesa, mossa dallo Spirito Santo, ha voluto che dappertutto si erigessero Seminari dove si allevino e si educhino con singolare cura i candidati al sacerdozio.
Il Seminario dunque è e deve essere la pupilla degli occhi vostri, o Venerabili Fratelli, quanti dividete con Noi il formidabile peso del governo della Chiesa, è e deve essere l'oggetto precipuo delle vostre sollecitudini.
Accurata soprattutto deve essere la scelta dei Superiori, dei Maestri e in modo particolare del Direttore spirituale, che ha una parte sì delicata e sì importante nella formazione dell'anima sacerdotale.
Date ai vostri Seminari i migliori sacerdoti, né temiate di sottrarli anche a cariche apparentemente più rilevanti, ma che in realtà non possono venire a confronto con quest'opera capitale e insurrogabile; cercateli anche altrove, dovunque ne troviate di veramente atti a sì nobile scopo; siano tali che insegnino, prima con l'esempio che con la parola, le virtù sacerdotali e sappiano infondere con la dottrina uno spirito sodo, virile, apostolico;
facciano fiorire nel Seminario la pietà, la purezza, la disciplina, lo studio, premunendo prudentemente gli animi giovanili, non solo contro le tentazioni presenti, ma anche contro i pericoli ben più gravi a cui si troveranno poi esposti nel mondo, in mezzo al quale dovranno vivere "per far tutti salvi" ( 1 Cor 9,22 ).
E affinché i futuri sacerdoti possano avere quella scienza che i nostri tempi esigono, come sopra abbiamo esposto, è di somma importanza che, dopo una soda formazione negli studi classici, siano bene istituiti ed esercitati nella filosofia scolastica "secondo il metodo, la dottrina e i principii del Dottore Angelico" .
Questa "philosophia perennis", come la chiamava il Nostro grande Predecessore Leone XIII, non solo è loro necessaria per approfondire il dogma, ma li premunisce efficacemente contro gli errori moderni, quali che essi siano, rendendo la loro mente atta a distinguere nettamente il vero dal falso, e in ogni questione di qualunque genere o in altri studi che dovranno fare, darà loro una chiarezza di vista intellettuale che supererà di molto quella di altri, privi di questa formazione filosofica, anche se dotati d'una più vasta erudizione.
Che se, come avviene specialmente in alcune regioni, la poca estensione delle Diocesi o la dolorosa scarsità degli alunni o la mancanza di mezzi e di uomini adatti non permettesse a ciascuna Diocesi di avere un proprio Seminario ben ordinato secondo tutte le leggi contenute nel Codice di Diritto Canonico e secondo le altre prescrizioni ecclesiastiche, sommamente conviene che i Vescovi della regione fraternamente si aiutino ed uniscano le loro forze concentrandole in un Seminario comune, che risponda interamente all'alto suo scopo.
I grandi vantaggi di tale concentrazione compensano largamente i sacrifici sostenuti per conseguirli; anche il sacrificio, talvolta doloroso al cuore paterno del Vescovo, di vedere temporaneamente allontanati i suoi chierici dal Pastore, che vorrebbe trasfondere egli stesso il suo spirito apostolico nei suoi futuri collaboratori, e dal territorio che dovrà essere il campo del loro ministero, sarà poi ripagato dal riceverli meglio formati e più forniti di quello spirituale patrimonio che profonderanno in maggior copia e con maggior frutto a beneficio della loro Diocesi.
E perciò Noi non abbiamo mai tralasciato di incoraggiare e promuovere e favorire tali iniziative, spesso anzi le abbiamo suggerite e raccomandate; dal canto Nostro poi, dove l'abbiamo creduto necessario, abbiamo Noi stessi eretto o migliorato o ampliato parecchi di tali Seminari Regionali, come a tutti è noto, non senza grandi spese e gravi cure, e continueremo, con l'aiuto di Dio, ad adoperarci con tutto lo zelo anche per l'avvenire per un'opera che riputiamo tra le più giovevoli al bene della Chiesa.
Ma tutto questo magnifico sforzo per l'educazione degli alunni del santuario poco gioverebbe se non fosse accurata la scelta dei candidati stessi, per i quali sono eretti e amministrati i Seminari.
A tale scelta tutti devono concorrere, quanti sono preposti alla formazione del clero: i Superiori, i Direttori spirituali, i Confessori, ciascuno nel modo e nei limiti propri del suo ufficio, come devono con ogni impegno coltivare la vocazione divina e corroborarla, così con non minore zelo devono distogliere ed allontanare per tempo da una via, che non è la loro, quei giovani che si scorgono sprovvisti della necessaria idoneità e si prevedono quindi non atti a sostenere degnamente e decorosamente il ministero sacerdotale.
E quantunque sia molto meglio che questa eliminazione si faccia fin dal principio, perché in queste cose l'attendere ed aspettare è insieme un grave errore e un grave danno, tuttavia qualunque sia stata la causa del ritardo, si deve correggere l'errore quando lo si avverte, senza umani riguardi, senza quella falsa misericordia che diventerebbe una vera crudeltà, non solo verso la Chiesa, a cui si darebbe un ministro o inetto o indegno, ma anche verso il giovane stesso che, sospinto così sopra una falsa via, si troverebbe esposto ad essere pietra d'inciampo a sé e agli altri, con pericolo di eterna rovina.
Né sarà difficile all'occhio vigile ed esperto di chi presiede al Seminario, di chi segue e studia amorosamente ad uno ad uno i giovani a sé affidati e le loro inclinazioni, non sarà difficile, diciamo, accertarsi se uno abbia o no una vera vocazione sacerdotale.
Questa, come ben sapete, Venerabili Fratelli, più che in un sentimento del cuore o in una sensibile attrattiva, che talvolta può mancare o venir meno, si rivela nella retta intenzione di chi aspira al sacerdozio, unita a quel complesso di doti fisiche, intellettuali e morali che lo rendono idoneo per tale stato.
Chi tende al sacerdozio unicamente per il nobile motivo di consacrarsi al servizio di Dio e alla salute delle anime, e insieme ha o almeno seriamente attende ad acquistare una soda pietà, una purezza di vita a tutta prova, una scienza sufficiente nel senso da Noi sopra esposto, questi mostra di essere chiamato da Dio allo stato sacerdotale.
Chi invece, spintovi forse da malconsigliati genitori, volesse abbracciare questo stato per la prospettiva di vantaggi temporali e terreni, intraveduti e sperati nel sacerdozio, come avveniva più frequentemente in passato; chi è abitualmente refrattario alla soggezione e alla disciplina, poco inclinato alla pietà, poco amante del lavoro e poco zelante delle anime; chi specialmente è proclive alla sensualità e con diuturna esperienza non ha provato di saperla vincere; chi non ha attitudine allo studio, in modo che si preveda non poter seguire con sufficiente soddisfazione i corsi prescritti; tutti costoro non sono fatti per il sacerdozio, e il lasciarli progredire, fin quasi alla soglia del santuario, rende loro sempre più difficile il ritrarsene, e forse li spingerà a varcarla, per umano rispetto, senza vocazione e senza spirito sacerdotale.
Pensino i Superiori dei Seminari, pensino i Direttori spirituali e Confessori, quale gravissima responsabilità si assumono davanti a Dio, davanti alla Chiesa, davanti ai giovani stessi, se dal canto loro non fanno il possibile per impedire un passo sbagliato.
Diciamo che anche i Confessori e Direttori spirituali potrebbero essere responsabili di un sì grave errore, non già perché essi possano in niun modo agire esternamente, il che è loro severamente vietato dal loro stesso delicatissimo ufficio e spesso anche dall'inviolabile sigillo sacramentale, ma perché essi molto possono influire sull'animo dei singoli alunni e con paterna fermezza devono guidare ciascuno, secondo che richiede il suo bene spirituale; essi quindi, specialmente se per qualunque ragione non agissero i Superiori o si mostrassero deboli, devono intimare, senza umani riguardi, agli inetti o agli indegni l'obbligo di ritirarsi finché ne sono ancora in tempo, attenendosi in ciò alla sentenza più sicura, la quale in tal caso è anche la più favorevole a quel penitente perché lo preserva da un passo che potrebbe essere per lui eternamente fatale.
Che se anche non vedessero talvolta così chiara l'obbligazione da imporre, usino almeno tutta l'autorità che viene loro dall'ufficio e dall'affetto paterno che hanno verso i loro figli spirituali, per indurre quelli, che non hanno le dovute disposizioni, a ritrarsi spontaneamente.
Si ricordino i confessori quello che in un argomento simile dice Sant'Alfonso Maria de' Liguori: "Generalmente parlando… ( in questi casi ) il confessore quanto maggior rigore userà coi penitenti, tanto più gioverà alla loro salute; e all'incontro tanto più sarà crudele quanto sarà con essi più benigno.
San Tommaso da Villanova chiamava tali confessori troppo benigni empiamente pii, impie pios.
Una tal carità è contro la carità" .
Ma la responsabilità principale rimane pur sempre quella del Vescovo, il quale, secondo la gravissima legge della Chiesa, "non deve conferire gli ordini sacri a veruno, se non sia moralmente certo, per argomenti positivi, della idoneità canonica di lui; altrimenti non solo commette un gravissimo peccato, ma si espone anche al pericolo di partecipare ai peccati altrui" .
Nel qual canone risuona ben chiara l'eco dell'ammonimento dell'Apostolo a Timoteo: "Non imporre le mani a nessuno con troppa fretta, e non prender parte ai peccati altrui" ( 1 Tm 5,22 ).
"E che cos'è poi questo imporre con troppa fretta le mani - come spiega il Nostro predecessore San Leone Magno - se non conferire la dignità sacerdotale a soggetti non provati, prima di un'età matura, prima di averli bene esaminati, prima del merito dell'obbedienza, e prima di averne esperimentata la disciplina?
E prender parte ai peccati altrui, che cosa vuol dire, se non che tale si fa l'ordinante quale è quegli che non meritava di venir ordinato?" .
Perché, come dice San Giovanni Crisostomo rivolgendo la parola al Vescovo, "per i peccati di lui passati e futuri anche tu dovrai scontare la pena perché gli hai dato quella dignità" .
Severe parole, Venerabili Fratelli, ma ancor più tremenda è la responsabilità che esse designano, la quale faceva dire al grande Vescovo di Milano San Carlo Borromeo: "In questa materia, una negligenza anche leggera può rendermi reo di gravissima colpa" .
Attenetevi dunque al consiglio del già citato Crisostomo: "Non dopo la prima prova né dopo la seconda o la terza, ma dopo che avrai ben riguardato e tutto accuratamente esaminato, allora soltanto imponi pure le mani" .
Il che vale soprattutto della bontà della vita dei candidati al sacerdozio: "Non basta - dice il Santo Vescovo e Dottore Alfonso Maria de' Liquori - che il Vescovo non conosca alcunché di male nell'ordinando, ma deve rendersi certo della sua positiva probità" .
Perciò non temete di sembrare troppo severi, se, valendovi del vostro diritto e compiendo il vostro dovere, esigete in antecedenza tali prove positive e, nel caso di dubbio, rimandate ad altro tempo l'ordinazione di qualcuno; poiché - come bellamente insegna San Gregorio Magno - "si tagliano bensì dalla selva i legni adatti agli edifici, ma non vi si mette sopra il peso dell'edificio se non dopo che l'attesa di molti giorni li abbia disseccati e resi atti allo scopo; che se si trascuri tale precauzione, ben presto si spezzeranno sotto il peso" ; ossia, per usare le brevi e chiare parole dell'Angelico Dottore, "gli ordini sacri esigono in antecedenza la santità… e perciò il peso degli ordini deve sovrapporsi a pareti che per la santità siano già disseccate dall'umore dei vizi" .
Del resto, se saranno diligentemente osservate tutte le prescrizioni canoniche, se tutti si atterranno alle prudenti norme che or sono pochi anni abbiamo fatto promulgare dalla Sacra Congregazione dei Sacramenti su questo argomento, si eviteranno molte lagrime alla Chiesa e molti scandali ai fedeli.
E siccome analoghe norme abbiamo voluto che fossero date per i Religiosi , mentre ne inculchiamo a chi spetta la fedele osservanza, ricordiamo a tutti i supremi Moderatori degli Istituti Religiosi i quali hanno giovani destinati al sacerdozio, che riguardino come detto anche a sé tutto quello che abbiamo finora raccomandato intorno alla formazione del clero, poiché essi presentano i loro alunni all'ordinazione e il Vescovo generalmente si rimette al loro giudizio.
Né si lascino rimuovere, sia i Vescovi che i Superiori religiosi, da questa necessaria severità, per il timore che venga a diminuire il numero dei sacerdoti della Diocesi o dell'Istituto.
L'Angelico Dottore San Tommaso si è già proposta questa difficoltà e così vi risponde con la sua consueta lucidità e sapienza: "Iddio non abbandona mai la sua Chiesa, così che non si trovino ( sacerdoti ) idonei in numero sufficiente alla necessità del popolo, se si promovessero i degni e si respingessero gli indegni" .
Del resto, come bene osserva lo stesso Dottore riportando alla lettera le gravi parole del Concilio Ecumenico Lateranense IV , "se non si potessero trovare tanti Ministri quanti sono al presente, sarebbe meglio avere pochi Ministri buoni che molti cattivi" .
Ed è quello stesso che Noi abbiamo rammentato in una solenne circostanza, quando in occasione del pellegrinaggio internazionale dei Seminaristi, durante l'anno del Nostro giubileo sacerdotale, parlando all'imponente gruppo degli Arcivescovi e Vescovi d'Italia, abbiamo detto che vale meglio un sacerdote ben formato, che molti poco o nulla preparati, sui quali la Chiesa non può contare, anche se non ha piuttosto da gemere.
Quale terribile conto, Venerabili Fratelli, dovremo rendere al Principe dei Pastori ( 1 Pt 5,4 ), al Supremo Vescovo delle anime ( 1 Pt 2,25 ), se avremo consegnate queste anime a guide inette e a condottieri incapaci!
Ma, quantunque debba sempre tenersi ben ferma la verità che il numero da sé non deve essere la principale preoccupazione di chi lavora per la formazione del clero, tutti però devono sforzarsi che si moltiplichino i validi e strenui operai della vigna del Signore, tanto più che i bisogni morali della società anziché diminuire vanno crescendo.
E tra tutti i mezzi per sì nobile scopo, il più facile insieme e il più efficace è anche il più universalmente accessibile a tutti e quindi tutti devono assiduamente usarlo, cioè la preghiera, secondo il comando di Gesù Cristo stesso: "La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi; pregate adunque il Padrone della messe, che mandi operai alla sua messe" ( Mt 9,37-38 ).
E quale preghiera può essere più gradita al Cuore Santissimo del Redentore?
Quale preghiera può sperare d'essere esaudita più prontamente e più abbondantemente di questa, che è sì conforme alle ardenti aspirazioni di quel Cuore divino?
"Chiedete, e vi sarà dato" ( Mt 7,7 ); chiedete dei buoni e santi sacerdoti e il Signore non li negherà alla sua Chiesa, come sempre ne ha concessi attraverso i secoli, anche in tempi che meno sembravano propizi al fiorire di vocazioni sacerdotali, anzi proprio allora in maggior copia, come attesta anche solo l'agiografia cattolica del secolo XIX, così ricca di nomi gloriosi dell'uno e dell'altro clero; fra i quali brillano come astri di prima grandezza quei tre veri giganti di santità, esercitata in tre campi così diversi, che Noi stessi avemmo la consolazione di cingere dell'aureola dei Santi: San Giovanni Maria Vianney, San Giuseppe Benedetto Cottolengo e San Giovanni Bosco.
Non bisogna però trascurare le diligenze umane, onde coltivare il prezioso seme della vocazione che Dio largamente sparge nei cuori generosi di tanti giovani; e quindi lodiamo e benediciamo e raccomandiamo con tutto l'animo Nostro quelle opere salutari che, in mille forme e con mille sante industrie suggerite dallo Spirito Santo, mirano a custodire, a promuovere, ad aiutare le vocazioni sacerdotali.
"Per quanto possiamo pensarvi - afferma l'amabile Santo della carità, Vincenzo de' Paoli - troveremo sempre che non avremmo potuto contribuire a niente di più grandioso che a fare dei buoni sacerdoti" .
Nulla infatti vi è di più accetto a Dio, di più onorifico alla Chiesa, di più proficuo alle anime, che il dono prezioso di un santo sacerdote.
E quindi, se chi offre un bicchier d'acqua a uno dei più piccoli tra i discepoli di Cristo "non perderà la sua ricompensa" ( Mt 10,42 ), quale mercede non avrà colui che mette per così dire nelle mani pure di un giovane levita il sacro calice in cui rosseggia il Sangue della Redenzione, e lo aiuta a sollevarlo al cielo arra di pacificazione e di benedizione per l'umanità?
E qui il Nostro grato pensiero corre di nuovo a quell'Azione Cattolica, da Noi così costantemente voluta, promossa, difesa, la quale, come partecipazione del laicato all'apostolato gerarchico della Chiesa, non può disinteressarsi di questo vitale problema delle vocazioni sacerdotali.
E difatti, con Nostra intima consolazione, la vediamo in ogni luogo distinguersi, come in ogni altro campo di cristiana attività, così in modo speciale in questo; e certamente il più ricco premio di tale operosità è appunto la copia veramente mirabile di vocazioni sacerdotali e religiose, che vanno fiorendo in seno alle sue organizzazioni giovanili, mostrando con ciò di essere non solo un terreno fecondo di bene, ma anche una ben custodita e ben coltivata aiuola, dove i fiori più belli e più delicati possono svilupparsi senza pericolo.
Sentano tutti gli ascritti all'Azione Cattolica l'onore che con ciò ricade sulla loro associazione e si persuadano che il laicato cattolico, in nessun'altra maniera meglio che col collaborare a questo accrescimento delle file del clero secolare e regolare, parteciperà davvero all'alta dignità di "regale sacerdozio "che il Principe degli Apostoli attribuisce a tutto il popolo dei redenti ( 1 Pt 2,9 ).
Ma il primo e più naturale giardino, dove devono quasi spontaneamente germinare e sbocciare i fiori del santuario, è sempre la famiglia veramente e profondamente cristiana.
La maggior parte dei Santi Vescovi e Sacerdoti, "le cui lodi celebra la Chiesa" ( Sir 44,15 ), devono l'inizio della loro vocazione e della loro santità agli esempi ed insegnamenti di un padre pieno di fede e di maschia virtù, di una madre casta e pia, di una famiglia in cui regnava sovrana con la purezza dei costumi la carità di Dio e del prossimo.
Le eccezioni a questa regola di ordinaria provvidenza sono rare e non fanno che confermare la regola stessa.
Quando in una famiglia i genitori, ad esempio di Tobia e di Sara, domandano a Dio una numerosa posterità "nella quale venga benedetto in eterno il nome del Signore" ( Tb 8,9 ), e la ricevono con gratitudine come dono celeste e come prezioso deposito, e si sforzano di instillare ai figli fin dai primi anni il santo timor di Dio, la cristiana pietà, una tenera devozione a Gesù Sacramentato e alla Vergine Immacolata, il rispetto e la venerazione per i luoghi e le persone sacre; quando il figli vedono nei genitori il modello di una vita onesta, laboriosa e pia; quando li vedono amarsi santamente nel Signore, li scorgono spesso accostarsi ai Santi Sacramenti, obbedire non solo alle leggi della Chiesa circa l'astinenza e il digiuno, ma anche allo spirito della cristiana mortificazione volontaria;
quando li vedono pregare anche in casa, riunendo intorno a sé tutta la famiglia perché la comune prece s'innalzi più gradita al cielo; quando li sanno compassionevoli alle miserie altrui e li vedono dividere coi poveri il molto o il poco che posseggono, è ben difficile che, mentre tutti cercheranno di emulare gli esempi paterni, qualcuno almeno di tali figli non senta nell'animo suo l'invito del divino Maestro: "Vieni dietro a me" ( Mt 14,21 ) e "Io ti farò diventare pescatore di uomini" ( Mt 4,19 ).
Fortunati quei genitori cristiani, i quali, anche se di queste divine visite, di queste divine chiamate rivolte ai loro figli, non fanno l'oggetto delle loro più fervide preghiere, come più spesso di oggi avveniva in tempi di maggior fede, almeno non ne hanno paura, e sanno scorgere in esse un insigne onore, una grazia di predilezione e di elezione del Signore per la loro famiglia!
Si deve invece purtroppo confessare che spesso, troppo spesso, i genitori, anche quelli che si gloriano di essere sinceramente cristiani e cattolici, specialmente nelle classi più elevate e più colte della società, sembra che non sappiano rassegnarsi alla vocazione sacerdotale e religiosa dei loro figli, e non si fanno scrupolo di combattere la divina chiamata con ogni sorta di argomenti, anche con mezzi che possono mettere a repentaglio non la sola vocazione ad uno stato più perfetto, ma la coscienza stessa e l'eterna salute di quelle anime che pur dovrebbero essere loro così care.
Il qual deplorevole abuso, come quello già malamente invalso nei secoli passati di costringere invece i figli allo stato ecclesiastico anche senza alcuna vocazione né idoneità, non torna certo ad onore di quelle stesse classi sociali più alte, che ora sono così poco rappresentate, generalmente parlando, nelle file del clero: poiché, se le dissipazioni della vita moderna, le seduzioni che, specie nelle grandi città, eccitano precocemente le passioni giovanili, le scuole, in molte regioni così poco favorevoli allo sviluppo di simili vocazioni, sono in molta parte causa e triste spiegazione della scarsità di esse in tali famiglie agiate e signorili, non si può negare che ciò arguisce anche una lacrimevole diminuzione di fede nelle famiglie stesse.
Difatti, se si guardassero le cose al lume della fede, quale più alta dignità potrebbero i genitori cristiani desiderare per i loro figli, quale ministero più nobile di quello che, come abbiamo detto, è degno della venerazione degli uomini e degli Angeli?
Una lunga e dolorosa esperienza poi insegna che una vocazione tradita ( non si creda troppo severa la parola ) è fonte di lagrime non solo per i figli, ma anche per gli sconsigliati genitori; e Dio non voglia che tali lagrime siano troppo tardive, da diventare lagrime eterne.
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