Mystici Corporis

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II

Ci piace ora, Venerabili Fratelli, trattare in modo particolarissimo dell'unione nostra con Cristo nel Corpo della Chiesa.

Questo argomento ( come giustamente osserva Agostino ):44 è cosa grande, arcana e divina, e perciò spesso avviene che da alcuni sia compreso e spiegato male.

Anzitutto è chiaro che quest'unione è strettissima.

Infatti, nella Sacra Scrittura, viene raffigurata nel vincolo d'un casto matrimonio e paragonata ora all'unità vitale dei tralci con la vite, ora alla stretta compagine del nostro corpo ( Ef 5,22-23; Gv 15,1-5; Ef 4,16 ).

Si presenta inoltre nei libri ispirati talmente intima, che antichissimi documenti costantemente tramandati dai Padri e fondati sul detto dell'Apostolo "Egli ( Cristo ) è il Capo della Chiesa" ( Col 1,18 ) insegnano che il divin Redentore costituisce con il Suo Corpo sociale una sola Persona mistica, ossia come dice Agostino: tutto Cristo.45

Anzi lo stesso Salvatore nostro nella sua preghiera sacerdotale non dubitò di paragonare tale unione con quella mirabile unità per la quale il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio ( Gv 17,21-23 ).

Questa nostra compagine in Cristo e con Cristo nasce anzitutto dal fatto che la società cristiana, per volontà del suo Fondatore, è un Corpo sociale perfetto, per cui in essa l'unione deve consistere nel concorso di tutte le membra allo stesso fine.

Quanto infatti è più nobile il fine cui questa cooperazione tende, quanto più divina è la fonte dalla quale essa procede, tanto più sublime diventa senza dubbio l'unità.

Orbene, il fine è altissimo: continuare cibò la santificazione delle membra dello stesso Corpo, per la gloria di Dio e dell'Agnello che è stato ucciso per noi ( Ap 5,12-13 ).

La fonte è divinissimo: il beneplacito dell'eterno Padre, l'amabile volontà del nostro Salvatore, e specialmente l'interna ispirazione ed impulso dello Spirito Santo negli animi nostri.

Se infatti senza lo Spirito Santo non si può produrre neppure un minimo atto che conduca alla salvezza, come possono innumerevoli moltitudini d'ogni popolo e di ogni stirpe aspirare con lo stesso intento alla gloria di Dio uno e trino, se non per le virtù di Colui che procede dal Padre e dal Figlio in un solo eterno amore?

Poiché, come abbiamo detto, questo Corpo sociale di Cristo deve essere visibile per volontà del suo Fondatore, quella cospirazione di tutte le membra deve anch'essa manifestarsi esternamente, sia per mezzo della professione d'una fede, sia per la comunione dei medesimi Sacramenti, sia per la partecipazione dello stesso sacrificio, sia per un'operosa osservanza delle stesse leggi.

È poi assolutamente necessario che sia manifestato agli occhi di tutti il Capo supremo, cioè il Vicario di Cristo, dal quale venga efficacemente diretta la cooperazione dei membri al conseguimento del fine proposto.

Come, infatti, il divin Redentore inviò il Paraclito Spirito di verità che per suo mandato ( Gv 14,16.26 ) governasse invisibilmente la Chiesa, così ordinò a Pietro e ai suoi Successori che, rappresentando in terra la Sua Persona visibile, governassero la società cristiana.

A questi vincoli giuridici, tali in se stessi da trascendere quelli di qualsiasi altra società umana anche suprema, è necessario aggiungere un'altra ragione di unità proveniente da quelle tre virtù con le quali noi ci uniamo a Dio nel modo più stretto, cioè: la fede, la speranza e la carità cristiane.

Certo, come osserva l'Apostolo, "uno solo è il Signore, una sola la fede" ( Ef 4,5 ), quella fede cioè con la quale aderiamo a Dio e a Colui ch'Egli mandò, Gesù Cristo ( Gv 17,8 ).

Quanto intimamente restiamo congiunti a Dio con questa fede, lo insegnano le parole del discepolo prediletto: "Chiunque confesserà che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio" ( 1 Gv 4,15 ).

Né siamo meno congiunti tra di noi e col nostro Capo divino, mediante questa fede cristiana.

Infatti, tutti i credenti, "avendo il medesimo spirito di fede" ( 2 Cor 4,13 ), siamo illuminati dalla medesima luce di Cristo, siamo nutriti al medesimo convito di Cristo, siamo governati dalla medesima autorità e magistero di Cristo.

Ché se fiorisce in tutti il medesimo spirito di fede, tutti anche "viviamo ( la stessa vita ) nella fede del Figlio che ci amò e diede Se stesso per noi" ( Gal 2,20 ).

E Cristo nostro Capo, che per la viva fede abbiamo ricevuto in noi ed abita nei nostri cuori ( Ef 3,17 ), come è Autore della nostra fede, così ne sarà il perfezionatore ( Eb 12,2 ).

Come per mezzo della fede qui in terra aderiamo a Dio, fonte di verità, così per mezzo della speranza cristiana lo desideriamo quale fonte di beatitudine, "attendendo quella beata speranza che è l'apparizione gloriosa del grande Iddio" ( Tt 2,13 ).

Per quel comune desiderio poi del Regno celeste, per cui non vogliamo avere qui sulla terra una dimora permanente ma cerchiamo quella futura ( Eb 13,14 ) e aneliamo alla gloria superna, l'Apostolo delle Genti non dubitò di asserire: "Un colpo solo, un solo spirito, come siete stati chiamati in un'unica speranza" ( Ef 4,4 ); anzi Cristo risiede in noi come la speranza della gloria ( Col 1,27 ).

Ma se i vincoli della fede e della speranza, con i quali siamo congiunti al nostro divin Redentore nel suo Corpo mistico, sono di grandissima importanza, di non minore gravità ed efficienza sono i vincoli della carità.

Infatti, se anche in natura è cosa eccellentissima l'amore, dal quale nasce la vera amicizia, che cosa deve dirsi di quell'amore soprannaturale che viene infuso nei nostri cuori dallo stesso Dio?

"Dio è carità: e chi sta nella carità, sta in Dio e Dio in lui" ( 1 Gv 4,16 ).

La quale carità, quasi per legge istituita da Dio, fa sì che Egli, riamandoci, discenda in noi che Lo amiamo, conforme alle parole divine: "Se uno mi ama … anche il Padre mio l'amerà e verremo a lui e faremo sosta presso di lui" ( Gv 14,23 ).

La carità dunque, più strettamente di qualsiasi altra virtù ci congiunge con Cristo, dal cui celeste ardore infiammati, tanti figli della Chiesa tran gioito nel poter essere oltraggiati per Lui e nell'affrontare sino all'estremo anelito i più ardui sacrifici, anche l'effusione del sangue.

Perciò il nostro divin Salvatore ci esorta ardentemente con le seguenti parole: "Perseverate nel mio amore".

E poiché la carità è una cosa inutile e del tutto vuota, se non è attuata e manifestata dalle buone opere, soggiunge: "Se osserverete i miei comandamenti, persevererete nel mio amore, come io stesso ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore" ( Gv 15,9-10 ).

È necessario però che all'amore verso Dio e verso Cristo corrisponda l'amore verso il prossimo.

Come possiamo infatti asserire di amare il divin Redentore, se odiamo coloro ch'Egli redense col suo Sangue prezioso per farli membra del suo Corpo mistico?

Perciò così ci ammonisce l'Apostolo prediletto: "Se uno dirà: io amo Dio e odierà il suo fratello, è mentitore.

Infatti, chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede?

E questo comandamento abbiamo da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello" ( 1 Gv 4,20-21 ).

Anzi, bisogna anche affermare che noi saremo sempre più uniti con Dio e con Cristo, a misura che saremo membri uno dell'altro ( Rm 12,5 ) e vicendevolmente premurosi ( 1 Cor 12,25 ); come d'altra parte, quanto più saremo stretti a Dio e al nostro Capo divino con un ardente amore, tanto maggiormente noi saremo compatti ed uniti mediante la carità.

Il Figlio Unigenito di Dio, già prima dell'inizio del mondo, con la sua eterna infinita conoscenza e con un amore perpetuo, ci ha stretti a se.

E perché potesse manifestare tale amore in modo ammirabile e del tutto visibile, congiunse a sé la nostra natura nell'unione ipostatica donde avviene che "in Cristo la nostra carne ami noi", come, con candida semplicità, osserva Massimo di Torino.46

In verità, questa amantissima conoscenza, con la quale il divin Redentore ci ha seguiti sin dal primo istante della sua Incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché, per quella visione beatifica di cui godeva sin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del Corpo mistico e le abbraccia col Suo salvifico amore.

O ammirabile degnazione della divina pietà verso di noi; o inestimabile ordine dell'immensa carità!

Nel presepio, sulla Croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti e congiunti a Sé tutti i membri della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce ed ama se stesso.

Da quanto detto fin qui si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché l'Apostolo Paolo tanto frequentemente scriva che Cristo è con noi, e noi in Cristo.

Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile.

Cioè: Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il Suo Spirito che ci comunica e per mezzo del quale Egli talmente agisce in noi, da doversi dire che qualsiasi cosa divina si operi nello Spirito Santo in noi, viene operata anche da Cristo.47

"Se uno non ha lo Spirito di Cristo ( dice l'Apostolo ), non è dei suoi: se invece Cristo è in voi…, lo spirito vive per effetto della giustificazione" ( Rm 8,9-10 ).

Per la medesima comunicazione dello Spirito di Cristo, avviene poi che la Chiesa sia quasi la pienezza ed il complemento del Redentore, perché tutti i doni, le virtù e i carismi che si trovano eminentemente, abbondantemente ed efficacemente nel Capo, derivano in tutti i membri della Chiesa e in essi si perfezionano di giorno in giorno a seconda del posto di ciascuno nel Corpo mistico di Gesù Cristo: quindi Cristo in certo modo e sotto ogni riguardo Si completa nella Chiesa48

Con le quali parole tocchiamo la stessa ragione per cui, secondo il parere già accennato di Agostino, il Capo mistico, che è Cristo, e la Chiesa, la quale rappresenta in terra la sua persona come un altro Cristo, costituiscono un unico nuovo uomo, per il quale, nel perpetuare l'opera salutare della Croce, si congiungono il cielo e la terra: ragione per cui possiamo dire come in sintesi: Cristo, Capo e Corpo, tutto Cristo.

Certo, non ignoriamo che nel comprendere e nello spiegare questa dottrina riguardante la nostra unione con il divin Redentore e, in modo particolare, l'inabitazione dello Spirito Santo nelle anime, vi sono velami che l'avvolgono come caligine, a causa della debolezza della nostra mente.

Ma sappiamo anche che dalla retta ed assidua indagine di questa materia, dal conflitto delle varie opinioni, dal concorso delle diverse teorie, purché in tale indagine siamo diretti dall'amore della verità e dal debito ossequio verso la Chiesa, scaturiscono e balzano fuori preziosi lumi, per mezzo dei quali si fa un vero profitto negli studi sacri di questo genere.

Non biasimiamo quindi coloro che intraprendono diverse vie e metodi per trattare ed illustrare con ogni sforzo l'altissimo mistero di questa nostra unione con Cristo.

Però tutti abbiano questo per certo ed indiscusso, se non vogliono allontanarsi dalla genuina dottrina e dal retto insegnamento della Chiesa: respingere cioè, in questa mistica unione, ogni modo con il quale i fedeli, per qualsiasi ragione, sorpassino talmente l'ordine delle creature ed invadano erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio eterno possa predicarsi di loro come proprio.

Inoltre fermamente e con ogni certezza ritengano che in queste cose tutto è comune alla Santissima Trinità, in quanto tutto riguarda Dio quale suprema causa efficiente.

Devono anche aver presente che in questo argomento si tratta di un mistero occulto, il quale, in questo terrestre esilio, non può mai essere intravveduto libero da ogni velame, né può mai essere espresso da lingua umana.

Si dice che le Persone divine inabitano, in quanto che, presenti in modo imperscrutabile negli esseri dotati di intelletto, questi Si pongono con esse in relazione mediante la conoscenza e l'amore in un modo del tutto intimo e singolare che trascende ogni natura creata.

Per tentare di comprendere alquanto questo modo, bisogna aver presente il metodo tanto raccomandato dal Concilio Vaticano nelle cose di tal genere, per cui si paragonano gli stessi misteri tra di loro e col loro fine supremo, sforzandosi di attingere quel tanto di luce che faccia almeno intravedere gli arcani divini.

Quindi opportunamente il sapientissimo Nostro Predecessore Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con Cristo e del divin Paraclito inabitante in noi, volge gli occhi a quella beata visione con la quale un giorno questa mistica unione otterrà il suo compimento nel cielo; e dice: "Questa mirabile unione, detta con norie suo proprio inabitazione, si differenzia da quella con cui Iddio abbraccia e fa beati i celesti, soltanto per la nostra condizione ( di viatori sulla terra )".

In quella celeste visione, sarà concesso agli occhi della mente umana rinvigoriti da luce soprannaturale di contemplare in maniera del tutto ineffabile il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, di assistere per tutta l'eternità al procedere delle divine Persone l'Una dall'Altra, beandosi di un gaudio molto simile a quello con cui è beata la santissima e indivisa Trinità.

Quanto finora abbiamo esposto di questa intima unione del Corpo mistico di Gesù Cristo col suo Capo, ci parrebbe imperfetto, se qui non aggiungessimo almeno poche parole intorno alla santissima Eucaristia, con la quale una siffatta unione in questa vita mortale raggiunge il grado più alto.

Gesù Cristo volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale veniamo congiunti tra di noi e col divino nostro Capo, si manifestasse ai credenti in modo speciale per mezzo del Sacrificio eucaristico.

In esso infatti i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche tutto il Corpo mistico e i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al sacerdote nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso sacerdote offrono all'eterno Padre, quale ostia gratissima di lode e di propiziazione per i bisogni di tutta la Chiesa, l'Agnello immacolato, dalla voce del solo sacerdote reso presente sull'altare.

E come il divin Redentore, morendo in Croce, offrì all'eterno Padre Se stesso quale Capo di tutto il genere umano, così "in quest'oblazione pura" ( Mal 1,11 ), non offre quale Capo della Chiesa soltanto Se stesso, ma in Se stesso offre anche le sue mistiche membra, poiché Egli nel Suo Cuore amantissimo tutte le racchiude, anche se deboli ed inferme.

Il Sacramento dell'Eucaristia, vivida e mirabile immagine dell'unità della Chiesa in quanto il pane da consacrarsi deriva da molti grani che formano una cosa unica,49 ci dà lo stesso Autore della grazia santificante, affinché da Lui attingiamo quello Spirito di carità con cui viviamo non già la nostra vita ma la vita di Cristo, e in tutti i membri del Suo Corpo sociale amiamo lo stesso Redentore.

Se dunque, nelle tristissime circostanze in cui ora versiamo, vi sono moltissimi i quali aderiscono talmente a Gesù Cristo nascosto sotto i veli eucaristici da non poter essere separati dalla sua carità né dalla tribolazione né dall'angoscia né dalla fame né dalla nudità né dal pericolo né dalla persecuzione né dalla spada ( Rm 8,35 ), allora senza dubbio la sacra Comunione, non senza consiglio del provvidentissimo Iddio ritornata in questi ultimi tempi d'uso frequente anche per i fanciulli, potrà diventare fonte di quella fortezza che non raramente suscita e fomenta anche eroi cristiani.

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44 August. Contra Faust. 21, 8
45 Enarr. in Ps., XVII, 51 et XC, 11, 1
46 Serm. XXIX
47 S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II, lect. 5
48 S. Thom., Comm. in Ep. ad Eph., cap. I, lect. 8
49 Didaché, IX, 4