Ad Apostolorum Principis
29 giugno 19581
Quando, presso il venerato e glorioso sepolcro del principe degli apostoli, sotto le volte maestose della Basilica Vaticana, il Nostro immediato predecessore di s.m., il sommo pontefice Pio XI, or sono trentadue anni, conferiva la pienezza del sacerdozio "alle primizie e ai germogli novelli dell'episcopato cinese",2 così effondeva i sentimenti di intima gioia di cui in quel solenne momento era pervaso il suo cuore: "Siete venuti, venerabili fratelli, a vedere Pietro; che anzi da lui avete ricevuto il pastorale, del quale farete uso per intraprendere viaggi apostolici e radunare le pecorelle.
E Pietro con amore ha abbracciato voi, che fornite non piccola speranza di portare ai vostri concittadini la verità evangelica".3
L'eco di queste parole ritorna alla mente e al cuore Nostri, venerabili fratelli e diletti figli, in quest'ora di afflizione per la chiesa nella vostra patria.
Non fu certo riposta invano, allora, la speranza del grande pontefice, se una schiera di nuovi pastori e di araldi dell'evangelo, se un rigoglioso fiorire di sempre nuove opere di apostolato - pur in mezzo a molteplici difficoltà - tennero dietro a quel primo manipolo di vescovi che Pietro, vivente nel suo successore, aveva inviato a reggere quelle elette porzioni del gregge di Cristo.
E Noi, quando avemmo più tardi la gioia di erigere la sacra gerarchia nella Cina, facemmo Nostra e aumentammo quella speranza e vedemmo dischiudersi ancor più larghe prospettive per il dilatarsi del regno divino di Gesù Cristo.
Ma pochi anni dopo, purtroppo, oscuri nembi si addensarono nel cielo, e per queste comunità cristiane, alcune delle quali già di antica evangelizzazione, ebbero inizio giorni funesti e dolorosi.
Vedemmo i missionari, tra i quali era un gran numero di zelanti arcivescovi e vescovi, e lo stesso Nostro rappresentante, costretti ad abbandonare il suolo della Cina; e il carcere o privazioni o sofferenze d'ogni genere riservate a vescovi, a sacerdoti, a religiosi e a religiose e a molti fedeli.
Allora fummo costretti a levare la voce accorata per esprimere il Nostro dolore per l'ingiusta persecuzione, e, con la lettera enciclica Cupimus imprimis4 del 18 gennaio 1952, avemmo cura di ricordare, per amore della verità e nella consapevolezza del Nostro dovere, che la chiesa cattolica non può considerarsi estranea, e tanto meno ostile, ad alcun popolo della terra; che essa, nella sua materna sollecitudine, abbraccia in un solo amplesso tutti i popoli; e non cerca potere o influenza terreni, ma, con tutte le sue forze, dirige gli animi di tutti al conseguimento del cielo.
Soggiungevamo che i missionari non curano gli interessi di un particolare paese, ma, venendo da ogni parte del mondo e uniti come sono da un unico divino amore, hanno di mira solo la diffusione del regno di Dio; la loro opera, quindi, lungi dall'essere superflua o nociva, è benefica e necessaria per aiutare lo zelante clero cinese nell'apostolato cristiano.
Nella successiva enciclica Ad Sinarum gentem5 del 7 ottobre 1954, di fronte a nuove accuse rivolte contro gli stessi cattolici cinesi, proclamavamo che il cristiano non è, né può essere, secondo a nessuno nel vero amore e nella vera fedeltà alla sua patria terrena.
E poiché si era diffusa nel vostro paese l'ingannevole dottrina detta delle "tre autonomie", Noi in virtù del Nostro universale magistero, ammonimmo che essa, sia nel significato teorico, sia nelle applicazioni pratiche, che i suoi fautori sostenevano, era inaccettabile per i cattolici, in quanto mirava alla separazione dall'unità della chiesa.
Ed ora dobbiamo rilevare che presso di voi, in questi ultimi anni, le condizioni della chiesa sono venute peggiorando.
È vero e questo Ci è motivo di grande conforto nella presente tristezza che di fronte al prolungarsi della persecuzione non sono venuti meno in voi l'intrepida fermezza nella fede e l'ardente amore verso Gesù Cristo e la sua chiesa; fermezza e amore che avete dimostrato in numerosissime maniere, di cui - anche se solo una piccola parte è nota al mondo - riceverete un giorno il premio eterno da Dio.
Ma nello stesso tempo è Nostro dovere denunciare apertamente - e lo facciamo con profonda pena - il nuovo e più insidioso tentativo di sviluppare e di portare alle estreme conseguenze il funesto errore che Noi così chiaramente avevamo riprovato.
Infatti, con un piano che si rivela accuratamente disposto, è stata fondata presso di voi una "associazione patriottica", alla quale i cattolici con pressioni di ogni genere sono costretti ad aderire.
Questa - come è stato detto più volte - avrebbe lo scopo di unire il clero e i fedeli nel nome dell'amore della patria e della religione per propagare lo spirito patriottico, difendere la pace tra i popoli e al tempo stesso cooperare alla "costruzione del socialismo" già stabilito nel paese, nonché aiutare le autorità civili ad applicare la cosiddetta politica di libertà religiosa.
Ma è ormai anche troppo chiaro che, sotto queste espressioni di pace e di patriottismo che potrebbero trarre in inganno gli ingenui, il movimento che si dice patriottico propugna tesi e promuove iniziative che mirano a ben precisi scopi perniciosi.
Sotto il falso pretesto di patriottismo, infatti, l'associazione vuole gradualmente condurre i cattolici a dare l'adesione e l'appoggio ai principi del materialismo ateo, negatore di Dio e di tutti i principi soprannaturali.
Sotto il pretesto di difendere la pace, la stessa organizzazione fa propri e diffonde falsi sospetti e accuse contro molti ecclesiastici, contro venerandi pastori, contro la stessa sede apostolica, attribuendo loro insani propositi di imperialismo, di acquiescenza e complicità nello sfruttamento dei popoli, di preconcetta ostilità verso la nazione cinese.
Mentre da una parte si afferma che è necessaria una assoluta libertà religiosa, e si proclama di voler facilitare le relazioni tra l'autorità ecclesiastica e la civile, di fatto l'associazione pretende che la chiesa, posposti e trascurati i suoi diritti, rimanga del tutto sottoposta alle autorità civili.
I membri sono quindi spinti ad accettare e giustificare ingiusti provvedimenti come l'espulsione dei missionari, l'incarceramento dei vescovi, di sacerdoti; di religiosi e religiose, di fedeli; sono parimenti costretti ad acconsentire alle misure prese per impedire pertinacemente la giurisdizione di tanti legittimi pastori; sono indotti a sostenere principi che ripugnano all'unità e all'universalità della chiesa e alla sua costituzione gerarchica, nonché ad ammettere iniziative intese a sovvertire l'obbedienza del clero e dei fedeli ai legittimi ordinari, e a staccare le varie comunità cattoliche dall'unione con la sede apostolica.
Per diffondere e imporre più facilmente i principi di tale "associazione patriottica", si ricorre ai più differenti mezzi di oppressione e di violenza: una propaganda rumorosa e tenace con la stampa; una serie di convegni e di congressi, ai quali si costringono a intervenire - con lusinghe, con minacce e con inganni - anche coloro che non avrebbero intenzione di parteciparvi, mentre quanti coraggiosamente si levano nelle discussioni a difendere la verità sono soverchiati e anzi addirittura tacciati di nemici della patria e del nuovo ordine.
Sono inoltre da ricordare quei fallaci "corsi di indottrinamento" a cui sono costretti sacerdoti, religiosi e religiose, alunni di seminari, fedeli di ogni ceto e di ogni età, e che, per mezzo di interminabili lezioni ed estenuanti dibattiti, rinnovantisi talora per settimane e per mesi, esercitano una violenza di ordine psicologico, che mira a strappare una adesione la quale molte volte quasi nulla più ha in sé di umano.
Senza dire della tattica intimidatoria, esercitata con ogni mezzo, subdolo o palese, in ogni ambiente privato o pubblico; delle confessioni forzate e dei campi di "rieducazione"; delle umilianti sessioni di "giudizio popolare", dinanzi alle quali si è osato trascinare perfino vescovi venerandi.
Contro tali metodi che violano i più fondamentali diritti della persona umana e conculcano la sacra libertà di ogni figlio di Dio, non possono non levarsi, insieme con la Nostra, le proteste dei fratelli di fede e di tutte le persone oneste del mondo intero per l'offesa arrecata alla stessa coscienza civile.
Poiché, come dicevamo, è nel nome del patriottismo che tali misfatti si compiono, è Nostro dovere qui ricordare a tutti, ancora una volta, che è proprio la dottrina della chiesa che esorta e spinge i cattolici a nutrire un sincero e profondo amore verso la loro patria terrena, a prestare l'ossequio dovuto, salvo il diritto divino naturale e positivo, alle pubbliche autorità, a dare il loro contributo generoso e fattivo ad ogni intrapresa che conduca ad un vero, pacifico e ordinato progresso, ad un genuino bene della patria comunità.
La chiesa mai si è stancata di inculcare ai suoi figli l'aurea norma ricevuta dal suo divin Fondatore: "Date dunque a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio" ( Lc 20,25 ); massima che si fonda sul presupposto che nessun contrasto può esistere tra i postulati della vera religione e i veri interessi della patria.
Ma bisogna subito aggiungere che se il cristiano, per dovere di coscienza, deve rendere alle autorità umane quello che loro spetta, non può l'autorità umana reclamare dai cittadini un ossequio nelle cose in cui esso è dovuto a Dio e non a lei stessa; tanto meno può esigere una loro obbedienza incondizionata quando intende usurpare i sovrani diritti di Dio, ovvero costringe i fedeli ad agire in contrasto con i loro doveri religiosi, o a staccarsi dall'unità della chiesa e dalla sua legittima gerarchia.
Allora il cristiano non può che rispondere, serenamente ma fermamente, come già san Pietro e gli apostoli ai primi persecutori della chiesa: "Bisogna obbedire a Dio, più che agli uomini" ( At 5,29 ).
Con enfatica insistenza, i fautori del movimento pseudopatriottico parlano ognora di pace e proclamano che i cattolici devono militare in favore di essa.
Parole, per sé, apparentemente ineccepibili: chi infatti non dovrebbe esser lodato se non colui che prepara il cammino della pace?
Ma la pace, voi ben lo sapete, venerabili fratelli e diletti figli, non è fatta di espressioni verbali, non è una formalità esteriore, suggerita magari da tattica occasionale e contraddetta da gesti o iniziative che, anziché ispirarsi a sentimenti pacifici, dispongono gli animi a risentimenti, odi o avversioni.
La vera pace deve fondarsi sui principi di giustizia e di carità insegnati da Colui che della pace si fregia come di un titolo regale "Principe della pace" ( Is 9,6 ); la vera pace è quella auspicata dalla chiesa, pace stabile, giusta, equa e ordinata - tra gli individui, tra le famiglie, tra i popoli - che, nel rispetto dei diritti di ciascuno e specialmente di quelli di Dio, congiunga tutti col vincolo di una reciproca e fraterna collaborazione.
E in tale pacifica prospettiva di armoniosa convivenza di tutte le nazioni, la chiesa desidera che ogni popolo abbia il proprio posto di dignità; la chiesa che, seguendo sempre con simpatia le vicende storiche della vostra patria, non da oggi sinceramente auspicava - con le parole auguste del Nostro predecessore - "che siano pienamente riconosciute le legittime aspirazioni e i diritti di un popolo che è il più numeroso della terra, popolo di antica cultura, che conobbe periodi di grandezza e di splendore, e al quale, ove si mantenga nelle vie della giustizia e dell'onore, un grande avvenire non può mancare".6
Al contrario, secondo le notizie trasmesse dalla radio e dalla stampa, non mancherebbero taluni, purtroppo anche tra il clero, che osano insinuare il sospetto e l'accusa di una malevolenza che sarebbe nutrita dalla Santa Sede verso il vostro paese.
E partendo da questo falso e offensivo presupposto, ardiscono anzitutto limitare di loro arbitrio l'autorità del supremo magistero della chiesa, asserendo che vi sarebbero questioni come quelle sociali e economiche - nelle quali ai cattolici sarebbe lecito di non tener in alcun conto gli insegnamenti dottrinali e le norme impartite da questa sede apostolica.
Opinione, è appena il caso di dirlo, assolutamente falsa ed erronea, perché - come avemmo occasione di esporre qualche anno fa a un'eletta accolta di venerabili fratelli nell'episcopato - "la potestà della chiesa non è affatto circoscritta al dominio delle "cose strettamente religiose", come si suol dire, ma ad essa appartiene tutto il campo della legge naturale, come pure l'insegnamento, l'interpretazione e l'applicazione di questa, in quanto ne viene considerato il fondamento morale.
Infatti, per disposizione divina, l'osservanza della legge naturale si riferisce a quella via, seguendo la quale l'uomo deve tendere al suo fine soprannaturale.
In questa via la chiesa è, pertanto, guida e custode degli uomini, per quanto riguarda il fine soprannaturale".7
È la stessa verità già sapientemente illustrata dal santo Nostro predecessore Pio X, nell'enciclica Singulari quadam del 24 settembre 1912, quando osservava che "tutte le azioni del cristiano sottostanno al giudizio e alla giurisdizione della chiesa, in quanto sono buone o cattive dal punto di vista morale, cioè in quanto concordano o contrastano col diritto naturale e divino".8
Inoltre, dopo aver proclamato tale arbitraria limitazione, costoro, mentre a parole dichiarano di voler obbedire al romano pontefice nelle verità da credere e - così usano esprimersi nelle norme ecclesiastiche da osservare, giungono poi a tale audacia da ricusare obbedienza a chiari e precisi provvedimenti e disposizioni della Santa Sede, ai quali attribuiscono immaginari secondi fini di ordine politico, quasi tenebrosi complotti rivolti contro il loro paese.
Una prova di tale spirito di ribellione alla chiesa, un fatto gravissimo che è causa di indicibile e profonda amarezza per il Nostro cuore di padre e di pastore universale delle anime, è quanto dobbiamo menzionare qui appresso.
Da qualche tempo, con insistente propaganda, il movimento cosiddetto patriottico va proclamando un preteso diritto dei cattolici di eleggere di propria iniziativa i vescovi, asserendo che tale elezione sarebbe indispensabile per provvedere con la dovuta sollecitudine al bene delle anime, e per affidare il governo delle diocesi a pastori graditi alle autorità civili in quanto non si oppongono agli orientamenti ideologici e politici propri del comunismo.
Anzi, abbiamo appreso che già si è proceduto a non poche di tali abusive elezioni e che, inoltre, contro un esplicito e severo monito diretto agli interessati da questa sede apostolica si è perfino osato di conferire ad alcuni ecclesiastici la consacrazione episcopale.
Di fronte a così gravi attentati contro la disciplina e l'unità della chiesa, è Nostro preciso dovere di ricordare a tutti che ben altri sono la dottrina e i principi che reggono la costituzione della società divinamente fondata da Gesù Cristo nostro Signore.
I sacri canoni infatti chiaramente ed esplicitamente sanciscono che spetta unicamente alla sede apostolica giudicare circa l'idoneità di un ecclesiastico per la dignità e la missione episcopale9 e che spetta al romano pontefice nominare liberamente i vescovi.10
E anche quando, come in certi casi, nella scelta di un candidato all'episcopato, è ammesso il concorso di altre persone o enti, ciò avviene legittimamente solo in virtù di una concessione - espressa e particolare - fatta dalla sede apostolica a persone o a corpi morali ben determinati, con condizioni e in circostanze ben definite.
Ciò premesso, ne consegue che vescovi non nominati né confermati dalla Santa Sede, e anzi scelti e consacrati contro le esplicite disposizioni di essa, non possono godere di alcun potere né di magistero né di giurisdizione; perché la giurisdizione viene ai vescovi unicamente attraverso il romano pontefice, come già avemmo occasione di ricordare nella lettera enciclica Mystici corporis: "I vescovi … in quanto riguarda la loro diocesi, sono veri pastori che guidano e reggono in nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno.
Mentre fanno ciò, non sono del tutto indipendenti, perché sono sottoposti alla debita autorità del romano pontefice, pur fruendo dell'ordinaria potestà di giurisdizione che è comunicata loro direttamente dallo stesso sommo pontefice".11
Dottrina che avemmo occasione di richiamare ancora nella lettera Ad Sinarum gentem a voi successivamente diretta: "La potestà di giurisdizione, che al sommo pontefice viene conferita direttamente per diritto divino, proviene ai vescovi dal medesimo diritto, ma soltanto mediante il successore di san Pietro, al quale non solamente i semplici fedeli, ma anche tutti i vescovi devono costantemente essere soggetti e legati con l'ossequio dell'obbedienza e con il vincolo dell'unità".12
E gli atti della potestà di ordine, posti da tali ecclesiastici, anche se validi - supposto che sia stata valida la consacrazione loro conferita - sono gravemente illeciti, cioè peccaminosi e sacrileghi.
Tornano al proposito quanto mai ammonitrici le parole del divino Maestro: "Chi non entra nell'ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante" ( Gv 10,1 ); le pecorelle riconoscono la voce del loro vero pastore, e lo seguono docilmente, "ma non vanno dietro a un estraneo, anzi fuggono da lui: perché non conoscono la voce degli estranei" ( Gv 10,5 ).
Sappiamo bene che, purtroppo, per legittimare le loro usurpazioni, i ribelli si richiamano alla prassi seguita in altri secoli; ma tutti vedono che cosa mai diverrebbe la disciplina ecclesiastica se, in una questione o nell'altra, fosse lecito a chiunque di rifarsi a disposizioni che non sono più in vigore, in quanto la suprema autorità ha, da diverso tempo, disposto altrimenti.
Anzi, proprio il fatto di appellarsi a una diversa disciplina, lungi dallo scusare l'operato di costoro, è prova della loro intenzione di sottrarsi deliberatamente alla disciplina che vige e che debbono seguire: disciplina che vale non solo per la Cina e per i territori di recente evangelizzazione, ma per tutta la chiesa; disciplina che è stata sancita in virtù di quella universale e suprema potestà di pascere, di reggere e di governare, che fu conferita da nostro Signore ai successori dell'apostolo Pietro.
È ben nota, infatti, la solenne definizione del concilio Vaticano: "Fondandoci sulle chiare testimonianze della sacra Scrittura, e in piena armonia con i precisi ed espliciti decreti sia dei Nostri predecessori, i romani pontefici, sia dei concili generali; rinnoviamo la definizione del concilio ecumenico di Firenze, secondo la quale tutti i fedeli debbono credere, che "la santa sede apostolica e il romano pontefice esercitano il primato in tutto il mondo; che il medesimo pontefice è il successore di san Pietro, principe degli apostoli, è il vero vicario di Cristo, il capo di tutta la chiesa, il padre e il dottore dei cristiani; che a lui, nella persona di san Pietro, è stata affidata da nostro Signore Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la chiesa universale".
Pertanto insegniamo e dichiariamo che la chiesa romana, per divina disposizione, ha la potestà ordinaria di primato su tutte le altre, e che tale potere di giurisdizione del romano pontefice, di carattere veramente episcopale, è immediato; e che i pastori e i fedeli, di qualunque rito e dignità, sia singolarmente presi, sia tutti insieme, sono tenuti al dovere di subordinazione gerarchica e di vera obbedienza verso di essa, non soltanto nelle cose della fede e della morale, ma anche in quelle che si riferiscono alla disciplina e al governo della chiesa, diffusa nel mondo intero; talché, conservata così l'unità della comunione e della fede col romano pontefice, la chiesa di Cristo sia un unico gregge sotto un unico sommo pastore.
Questo è l'insegnamento della verità cattolica, dal quale nessuno può scostarsi senza perdere la fede e la salvezza".13
Da quanto vi abbiamo esposto consegue che nessun'altra autorità, che non sia quella del supremo pastore, può revocare l'istituzione canonica data a un vescovo; nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti sia di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la consacrazione episcopale se prima non sia certa l'esistenza dell'apposito mandato apostolico.14
Sicché, per una siffatta consacrazione abusiva, la quale è un gravissimo attentato alla stessa unità della chiesa, è stabilita la scomunica riservata in modo specialissimo alla sede apostolica, in cui automaticamente incorre non solo chi riceve l'arbitraria consacrazione, ma anche chi la conferisce.15
Che dire infine del pretesto addotto dagli esponenti dell'Associazione pseudo-patriottica, quando vorrebbero giustificarsi invocando la necessità di provvedere alla cura delle anime nelle diocesi prive della presenza del loro vescovo?
È evidente, anzitutto, che non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della chiesa.
In secondo luogo, non si tratta - come si vorrebbe far credere - di diocesi vacanti, ma spesso di sedi episcopali, i cui legittimi titolari o sono stati espulsi, o languono in prigione, oppure sono impediti, in vari modi, di esercitare liberamente la loro giurisdizione; dove inoltre sono stati ugualmente imprigionati o espulsi o comunque estromessi quegli ecclesiastici che i legittimi pastori - in conformità con le prescrizioni dei diritto canonico e con speciali istruzioni ricevute dalla Santa Sede - avevano designato a sostituirli nel governo diocesano.
Ed è veramente doloroso che, mentre zelanti pastori soffrono tante tribolazioni, si prenda proprio occasione dai loro dolori per insediare ai loro posti dei pastori falsi, per sovvertire l'organizzazione gerarchica della chiesa, per ribellarsi all'autorità del romano pontefice.
E si arriva a tal punto di arroganza da voler imputare uno stato di cose così lacrimevole e miserando, che è provocato da un preciso disegno dei persecutori della chiesa, alla stessa sede apostolica; mentre tutti sanno che questa, per gli ostacoli frapposti alla libera e sicura comunicazione con le diocesi della Cina, si è trovata e si trova nell'impossibilità di procurarsi - ogni volta che occorra - le appropriate informazioni che sono indispensabili, per il vostro paese come per qualunque altro alla scelta di candidati idonei per la dignità episcopale.
Venerabili fratelli e diletti figli, vi abbiamo manifestato fin qui le Nostre preoccupazioni per gli errori che si tenta di insinuare in mezzo a voi, e per le divisioni che si creano, affinché, illuminati e sostenuti dall'insegnamento del Padre comune, vi possiate conservare intrepidi e incontaminati nella fede che tutti ci unisce e ci salva.
Ma ora, con tutta l'effusione dell'affetto, vogliamo dirvi quanto Ci sentiamo vicina a voi.
Le vostre sofferenze fisiche e morali, specialmente quelle sopportate dagli eroici testimoni di Cristo - tra cui sono alcuni venerandi fratelli Nostri nell'episcopato - Noi le portiamo nel cuore e, giorno per giorno, le offriamo, con le preghiere e le sofferenze di tutta la chiesa, sull'altare del nostro divin Redentore.
State saldi e riponete la vostra fiducia in lui: "gettando in lui ogni vostra sollecitudine, poiché egli ha cura di voi!" ( 1 Pt 5,7 ).
Egli vede i vostri affanni e le vostre pene; egli soprattutto accoglie l'intima sofferenza e le lacrime segrete che tanti di voi - pastori, sacerdoti, persone religiose e semplici fedeli - versano al vedere lo scempio che si vorrebbe fare delle vostre comunità cristiane.
Queste lacrime e queste pene, insieme col sangue e le sofferenze dei martiri di ieri e di oggi, saranno il pegno prezioso del fiorire della chiesa nella vostra patria, quando grazie alla potente intercessione della Vergine santa, regina della Cina, giorni più sereni torneranno a risplendere sul vostro cielo.
In questa fiducia, con molto affetto nel Signore, a voi e al gregge affidato alle vostre cure, in auspicio di celesti grazie e a testimonianza della Nostra speciale benevolenza, impartiamo la benedizione apostolica.
Roma, presso San Pietro, 29 giugno, nella festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, dell'anno 1958, XX del Nostro pontificato.
Pio XII
1 | Pius PP. XII, epist. enc. Ad Apostolorum Principis qua hortamenta ac normae impertiuntur in praesentibus rerum angustiis, [ Ad venerabiles Fratres ac dilectos Filios Archiepiscopos aliosque locorum Ordinarios ceterumque clerum ac populum Sinarum, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 29 iunii 1958: AAS 50 ( 1958 ), pp. 601-614 |
2 | AAS 18(1926), p. 432 |
3 | Ibidem |
4 | AAS 44(1952), p. 153ss.; EE 6/1977ss |
5 | Pio XII, Ad sinarum gentem |
6 | Pius XI, Nuntium ad Delegatum Apostolicum in Sinis, 1 aug. 1928: AAS 20(1928), p. 245 |
7 | Sermo ad Patrum Cardinalium Collegium et Episcopatum, 2 nov. 1954: cf. AAS 46(1954): pp. 671-672 |
8 | Pio X, Singulari quadam |
9 | Can. 331 § 3 |
10 | Can. 329 § 2 |
11 | Pio XII, Mystici Corporis |
12 | Pio XII, Ad sinarum gentem |
13 | Conc. Vat. I, sess.IV, c. 3 |
14 | Can. 953 |
15 | S.S. Congregatio S. Officii, Decretum, 9 apr. 1951: AAS 43 ( 1951 ), 217-218 |