Pacem in terris |
57 Il sentimento di universale paternità che il Signore ha acceso nel nostro animo, ci fa sentire profonda amarezza nel considerare il fenomeno dei profughi politici: fenomeno che ha assunto proporzioni ampie e che nasconde sempre innumerevoli e acutissime sofferenze.
Esso sta purtroppo a indicare come vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera.
Ciò, non v'è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell'ordine della convivenza, giacché la ragione di essere dei poteri pubblici è quella di attuare il bene comune, di cui elemento fondamentale è riconoscere quella sfera di libertà e assicurarne l'immunità.
Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone; e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri.
Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di potersi creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell'inserimento, come pure di favorire l'integrazione in se stessa delle nuove membra.
58 Siamo lieti di cogliere l'occasione per esprimere il nostro sincero apprezzamento per tutte le iniziative suscitate e promosse dalla solidarietà umana e dall'amore cristiano allo scopo di rendere meno doloroso il trapianto di persone da un corpo sociale ad un altro.
E ci sia pure consentito di segnalare all'attenzione e alla gratitudine di ogni animo retto la multiforme opera che in un campo tanto delicato svolgono istituzioni internazionali specializzate.
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