Veritatis splendor |
88 La contrapposizione, anzi la radicale dissociazione tra libertà e verità è conseguenza, manifestazione e compimento di un'altra più grave e deleteria dicotomia, quella che separa la fede dalla morale.
Questa separazione costituisce una delle più acute preoccupazioni pastorali della Chiesa nell'attuale processo di secolarismo, nel quale tanti, troppi uomini pensano e vivono « come se Dio non esistesse ».
Siamo di fronte ad una mentalità che coinvolge, spesso in modo profondo, vasto e capillare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani, la cui fede viene svigorita e perde la propria originalità di nuovo criterio interpretativo e operativo per l'esistenza personale, familiare e sociale.
In realtà, i criteri di giudizio e di scelta assunti dagli stessi credenti si presentano spesso, nel contesto di una cultura ampiamente scristianizzata, estranei o persino contrapposti a quelli del Vangelo.
Urge allora che i cristiani riscoprano la novità della loro fede e la sua forza di giudizio di fronte alla cultura dominante e invadente: « Se un tempo eravate tenebra - ci ammonisce l'apostolo Paolo -, ora siete luce nel Signore.
Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente…
Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi » ( Ef 5,8-11.15-16; 1 Ts 5,4-8 ).
Urge ricuperare e riproporre il vero volto della fede cristiana, che non è semplicemente un insieme di proposizioni da accogliere e ratificare con la mente.
È invece una conoscenza vissuta di Cristo, una memoria vivente dei suoi comandamenti, una verità da vivere.
Del resto, una parola non è veramente accolta se non quando passa negli atti, se non quando viene messa in pratica.
La fede è una decisione che impegna tutta l'esistenza.
È incontro, dialogo, comunione di amore e di vita del credente con Gesù Cristo, Via, Verità e Vita ( Gv 14,6 ).
Comporta un atto di confidenza e di abbandono a Cristo, e ci dona di vivere come lui ha vissuto ( Gal 2,20 ), ossia nel più grande amore a Dio e ai fratelli.
89 La fede possiede anche un contenuto morale: origina ed esige un impegno coerente di vita, comporta e perfeziona l'accoglienza e l'osservanza dei comandamenti divini.
Come scrive l'evangelista Giovanni, « Dio è luce e in lui non ci sono tenebre.
Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità…
Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti.
Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto.
Da questo conosciamo di essere in lui.
Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato » ( 1 Gv 1,5-6; 1 Gv 2,3-6 ).
Mediante la vita morale la fede diventa « confessione », non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini: si fa testimonianza.
« Voi siete la luce del mondo - ha detto Gesù -; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli » ( Mt 5,14-16 ).
Queste opere sono soprattutto quelle della carità ( Mt 25,31-46 ) e dell'autentica libertà che si manifesta e vive nel dono di sé.
Sino al dono totale di sé, come ha fatto Gesù che sulla croce « ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei » ( Ef 5,25 ).
La testimonianza di Cristo è fonte, paradigma e risorsa per la testimonianza del discepolo, chiamato a porsi sulla stessa strada: « Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua » ( Lc 9,23 ).
La carità, secondo le esigenze del radicalismo evangelico, può portare il credente alla testimonianza suprema del martirio.
Sempre sull'esempio di Gesù che muore in croce: « Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, - scrive Paolo ai cristiani di Efeso - e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore » ( Ef 5,1-2 ).
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