Fides et ratio |
1 Sia in Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha portato l'umanità a incontrarsi progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa.
E un cammino che s'è svolto - né poteva essere altrimenti - entro l'orizzonte dell'autocoscienza personale: più l'uomo conosce la realtà e il mondo e più conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza.
Quanto viene a porsi come oggetto della nostra conoscenza diventa per ciò stesso parte della nostra vita.
Il monito Conosci te stesso era scolpito sull'architrave del tempio di Delfi, a testimonianza di una verità basilare che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di distinguersi, in mezzo a tutto il creato, qualificandosi come « uomo » appunto in quanto « conoscitore di se stesso ».
Un semplice sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso dell'esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?
Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di Israele, ma compaiono anche nei Veda non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e Lao-Tze come pure nella predicazione dei Tirthankara e di Buddha; sono ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e Sofocle come pure nei trattati filosofici di Platone ed Aristotele.
Sono domande che hanno la loro comune scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo: dalla risposta a tali domande, infatti, dipende l'orientamento da imprimere all'esistenza.
2 La Chiesa non è estranea, né può esserlo, a questo cammino di ricerca.
Da quando, nel Mistero pasquale, ha ricevuto in dono la verità ultima sulla vita dell'uomo, essa s'è fatta pellegrina per le strade del mondo per annunciare che Gesù Cristo è « la via, la verità e la vita » ( Gv 14,6 ).
Tra i diversi servizi che essa deve offrire all'umanità, uno ve n'è che la vede responsabile in modo del tutto peculiare: è la diaconia alla verità.1
Questa missione, da una parte, rende la comunità credente partecipe dello sforzo comune che l'umanità compie per raggiungere la verità;2 dall'altra, la obbliga a farsi carico dell'annuncio delle certezze acquisite, pur nella consapevolezza che ogni verità raggiunta è sempre solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio:
« Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente » ( 1 Cor 13,12 ).
3 Molteplici sono le risorse che l'uomo possiede per promuovere il progresso nella conoscenza della verità, così da rendere la propria esistenza sempre più umana.
Tra queste emerge la filosofia, che contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della vita e ad abbozzarne la risposta: essa, pertanto, si configura come uno dei compiti più nobili dell'umanità.
Il termine filosofia, secondo l'etimologia greca, significa « amore per la saggezza ».
Di fatto, la filosofia è nata e si è sviluppata nel momento in cui l'uomo ha iniziato a interrogarsi sul perché delle cose e sul loro fine.
In modi e forme differenti, essa mostra che il desiderio di verità appartiene alla stessa natura dell'uomo.
E una proprietà nativa della sua ragione interrogarsi sul perché delle cose, anche se le risposte via via date si inseriscono in un orizzonte che rende evidente la complementarità delle differenti culture in cui l'uomo vive.
La forte incidenza che la filosofia ha avuto nella formazione e nello sviluppo delle culture in Occidente non deve farci dimenticare l'influsso che essa ha esercitato anche nei modi di concepire l'esistenza di cui vive l'Oriente.
Ogni popolo, infatti, possiede una sua indigena e originaria saggezza che, quale autentica ricchezza delle culture, tende a esprimersi e a maturare anche in forme prettamente filosofiche.
Quanto questo sia vero lo dimostra il fatto che una forma basilare di sapere filosofico, presente fino ai nostri giorni, è verificabile perfino nei postulati a cui le diverse legislazioni nazionali e internazionali si ispirano nel regolare la vita sociale.
4 È, comunque, da rilevare che dietro un unico termine si nascondono significati differenti.
Un'esplicitazione preliminare si rende pertanto necessaria.
Spinto dal desiderio di scoprire la verità ultima dell'esistenza, l'uomo cerca di acquisire quelle conoscenze universali che gli consentono di comprendersi meglio e di progredire nella realizzazione di sé.
Le conoscenze fondamentali scaturiscono dalla meraviglia suscitata in lui dalla contemplazione del creato: l'essere umano è colto dallo stupore nello scoprirsi inserito nel mondo, in relazione con altri suoi simili dei quali condivide il destino.
Parte di qui il cammino che lo porterà poi alla scoperta di orizzonti di conoscenza sempre nuovi.
Senza meraviglia l'uomo cadrebbe nella ripetitività e, poco alla volta, diventerebbe incapace di un'esistenza veramente personale.
La capacità speculativa, che è propria dell'intelletto umano, porta ad elaborare, mediante l'attività filosofica, una forma di pensiero rigoroso e a costruire così, con la coerenza logica delle affermazioni e l'organicità dei contenuti, un sapere sistematico.
Grazie a questo processo, in differenti contesti culturali e in diverse epoche, si sono raggiunti risultati che hanno portato all'elaborazione di veri sistemi di pensiero.
Storicamente ciò ha spesso esposto alla tentazione di identificare una sola corrente con l'intero pensiero filosofico.
E però evidente che, in questi casi, entra in gioco una certa « superbia filosofica » che pretende di erigere la propria visione prospettica e imperfetta a lettura universale.
In realtà, ogni sistema filosofico, pur rispettato sempre nella sua interezza senza strumentalizzazioni di sorta, deve riconoscere la priorità del pensare filosofico, da cui trae origine e a cui deve servire in forma coerente.
In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero.
Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise.
Questi e altri temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale dell'umanità.
E come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non riflessa.
Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse scuole filosofiche.
Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell'essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio.
5 La Chiesa, da parte sua, non può che apprezzare l'impegno della ragione per il raggiungimento di obiettivi che rendano l'esistenza personale sempre più degna.
Essa infatti vede nella filosofia la via per conoscere fondamentali verità concernenti l'esistenza dell'uomo.
Al tempo stesso, considera la filosofia un aiuto indispensabile per approfondire l'intelligenza della fede e per comunicare la verità del Vangelo a quanti ancora non la conoscono.
Facendo pertanto seguito ad analoghe iniziative dei miei Predecessori, desidero anch'io rivolgere lo sguardo a questa peculiare attività della ragione.
Mi ci spinge il rilievo che, soprattutto ai nostri giorni, la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata.
Senza dubbio la filosofia moderna ha il grande merito di aver concentrato la sua attenzione sull'uomo.
A partire da qui, una ragione carica di interrogativi ha sviluppato ulteriormente il suo desiderio di conoscere sempre di più e sempre più a fondo.
Sono stati così costruiti sistemi di pensiero complessi, che hanno dato i loro frutti nei diversi ambiti del sapere, favorendo lo sviluppo della cultura e della storia.
L'antropologia, la logica, le scienze della natura, la storia, il linguaggio…, in qualche modo l'intero universo del sapere è stato abbracciato.
I positivi risultati raggiunti non devono, tuttavia, indurre a trascurare il fatto che quella stessa ragione, intenta ad indagare in maniera unilaterale sull'uomo come soggetto, sembra aver dimenticato che questi è pur sempre chiamato ad indirizzarsi verso una verità che lo trascende.
Senza il riferimento ad essa, ciascuno resta in balia dell'arbitrio e la sua condizione di persona finisce per essere valutata con criteri pragmatici basati essenzialmente sul dato sperimentale, nell'errata convinzione che tutto deve essere dominato dalla tecnica.
E così accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere.
La filosofia moderna, dimenticando di orientare la sua indagine sull'essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana.
Invece di far leva sulla capacità che l'uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti.
Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo.
Di recente, poi, hanno assunto rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che l'uomo era certo di aver raggiunte.
La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo.
A questa riserva non sfuggono neppure alcune concezioni di vita che provengono dall'Oriente; in esse, infatti, si nega alla verità il suo carattere esclusivo, partendo dal presupposto che essa si manifesta in modo uguale in dottrine diverse, persino contraddittorie tra di loro.
In questo orizzonte, tutto è ridotto a opinione.
Si ha l'impressione di un movimento ondivago: la riflessione filosofica mentre, da una parte, è riuscita a immettersi sulla strada che la rende sempre più vicina all'esistenza umana e alle sue forme espressive, dall'altra, tende a sviluppare considerazioni esistenziali, ermeneutiche o linguistiche che prescindono dalla questione radicale circa la verità della vita personale, dell'essere e di Dio.
Di conseguenza, sono emersi nell'uomo contemporaneo, e non soltanto presso alcuni filosofi, atteggiamenti di diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse conoscitive dell'essere umano.
Con falsa modestia ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale.
E venuta meno, insomma, la speranza di poter ricevere dalla filosofia risposte definitive a tali domande.
6 Forte della competenza che le deriva dall'essere depositaria della Rivelazione di Gesù Cristo, la Chiesa intende riaffermare la necessità della riflessione sulla verità.
E per questo motivo che ho deciso di rivolgermi a voi, Venerati Confratelli nell'Episcopato, con i quali condivido la missione di annunziare « apertamente la verità » ( 2 Cor 4,2 ), come pure ai teologi e ai filosofi a cui spetta il dovere di indagare sui diversi aspetti della verità, ed anche alle persone che sono in ricerca, per partecipare alcune riflessioni sul cammino che conduce alla vera sapienza, affinché chiunque ha nel cuore l'amore per essa possa intraprendere la giusta strada per raggiungerla e trovare in essa riposo alla sua fatica e gaudio spirituale.
Mi spinge a questa iniziativa, anzitutto, la consapevolezza che viene espressa dalle parole del Concilio Vaticano II, quando afferma che i Vescovi sono « testimoni della divina e cattolica verità ».3
Testimoniare la verità è, dunque, un compito che è stato affidato a noi Vescovi; ad esso non possiamo rinunciare senza venir meno al ministero che abbiamo ricevuto.
Riaffermando la verità della fede, possiamo ridare all'uomo del nostro tempo genuina fiducia nelle sue capacità conoscitive e offrire alla filosofia una provocazione perché possa recuperare e sviluppare la sua piena dignità.
Un ulteriore motivo mi induce a stendere queste riflessioni.
Nella Lettera enciclica Veritatis splendor, ho richiamato l'attenzione su « alcune verità fondamentali della dottrina cattolica che nell'attuale contesto rischiano di essere deformate o negate ».4
Con la presente Lettera, desidero continuare quella riflessione concentrando l'attenzione sul tema stesso della verità e sul suo fondamento in rapporto alla fede.
Non si può negare, infatti, che questo periodo di rapidi e complessi cambiamenti esponga soprattutto le giovani generazioni, a cui appartiene e da cui dipende il futuro, alla sensazione di essere prive di autentici punti di riferimento.
L'esigenza di un fondamento su cui costruire l'esistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante soprattutto quando si è costretti a costatare la frammentarietà di proposte che elevano l'effimero al rango di valore, illudendo sulla possibilità di raggiungere il vero senso dell'esistenza.
Accade così che molti trascinano la loro vita fin quasi sull'orlo del baratro, senza sapere a che cosa vanno incontro.
Ciò dipende anche dal fatto che talvolta chi era chiamato per vocazione a esprimere in forme culturali il frutto della propria speculazione, ha distolto lo sguardo dalla verità, preferendo il successo nell'immediato alla fatica di una indagine paziente su ciò che merita di essere vissuto.
La filosofia, che ha la grande responsabilità di formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero, deve recuperare con forza la sua vocazione originaria.
E per questo che ho sentito non solo l'esigenza, ma anche il dovere di intervenire su questo tema, perché l'umanità, alla soglia del terzo millennio dell'era cristiana, prenda più chiara coscienza delle grandi risorse che le sono state concesse, e s'impegni con rinnovato coraggio nell'attuazione del piano di salvezza nel quale è inserita la sua storia.
Indice |
1 | Già lo scrivevo nella mia prima lettera enciclica Redemptor hominis: « Siamo diventati partecipi di questa missione di Cristo-profeta e, in forza della stessa missione, insieme con lui serviamo la verità divina nella Chiesa. La responsabilità per tale verità significa anche amarla e cercarne la più esatta comprensione, in modo da renderla più vicina a noi stessi e agli altri in tutta la sua forza salvifica, nel suo splendore, nella sua profondità e insieme semplicità ». Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 19 |
2 | Gaudium et spes 16 |
3 | Lumen gentium 25 |
4 | Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 4 |