Evangelii nuntiandi |
76 Consideriamo ora la persona stessa degli evangelizzatori.
Si ripete spesso, oggi, che il nostro secolo ha sete di autenticità.
Soprattutto a proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso, e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza.
Questi « segni dei tempi » dovrebbero trovarci all'erta.
Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza, ci domandano: Credete veramente a quello che annunziate?
Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete?
La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l'efficacia profonda della predicazione.
Per questo motivo, eccoci responsabili, fino ad un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo.
« Che ne è della Chiesa a dieci anni dalla fine del Concilio? », ci domandavamo all'inizio di questa meditazione.
È veramente radicata nel cuore del mondo, e tuttavia abbastanza libera e indipendente per interpellare il mondo?
Rende testimonianza della propria solidarietà verso gli uomini, e nello stesso tempo verso l'Assoluto di Dio?
È più ardente nella contemplazione e nell'adorazione, e in pari tempo più zelante nell'azione missionaria, caritativa, di liberazione?
È sempre più impegnata nello sforzo di ricercare il ristabilimento della piena unità dei cristiani, che rende più efficace la testimonianza comune « affinché il mondo creda »? ( Gv 17,21 )
Siamo tutti responsabili delle risposte che si potrebbero dare a questi interrogativi.
Noi esortiamo dunque i nostri Fratelli nell'episcopato, posti dallo Spirito Santo a governare la Chiesa. ( At 20,28 )
Esortiamo i sacerdoti e i diaconi, collaboratori dei Vescovi nel radunare il popolo di Dio e nell'animazione spirituale delle comunità locali.
Esortiamo i religiosi, testimoni d'una Chiesa chiamata alla santità, e quindi partecipi essi stessi di una vita che esprime le beatitudini evangeliche.
Esortiamo i laici: famiglie cristiane, giovani e adulti, quanti esercitano un mestiere, i dirigenti, senza dimenticare i poveri spesso ricchi di fede e di speranza, tutti i laici consapevoli del loro ruolo di evangelizzazione al servizio della Chiesa o in mezzo alla società e al mondo.
Lo diciamo a tutti: bisogna che il nostro zelo per l'evangelizzazione scaturisca da una vera santità di vita, e che la predicazione, alimentata dalla preghiera e soprattutto dall'amore all'Eucaristia, a sua volta - come ci ricorda il Concilio Vaticano II - faccia crescere in santità colui che predica.121
Il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'Invisibile. ( Eb 11,27 )
Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia.
Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell'uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda.
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121 | Presbyterorum Ordinis 13 |