Decet quam maxime |
20 A buon diritto è sempre stata ritenuta detestabile - e figlia dell'avarizia e della cupidigia - l'esazione di denaro o di qualunque altro bene a fronte della distribuzione dei sacramenti.
Perciò i sacri canoni bollarono spesso questa azione come intrisa di malvagità simoniaca e si preoccuparono di eliminarla con le dovute pene e con le censure ecclesiastiche23 e in numerosi decreti conciliari riferiti da Cristiano Lupo.24
Confermando con ogni fermezza questa convinzione, la sacra congregazione del Concilio non ha mai tollerato che per l'amministrazione dei sacramenti venisse preteso alcunché.
Per tacere di tutti gli altri, il 20 febbraio 1723, nel giorno dei funerali del Vescovo di Albano, quando fu sottoposto ad esame se si dovesse permettere che i parroco accettasse la patena, cioè il disco del quale egli si serviva nell'amministrare l'estrema unzione, al quesito: "Potrà essere accettata l'offerta del disco?", la stessa sacra Congregazione rispose che "non si dovesse permettere di accettare tale offerta".25
Allo stesso modo, quando il Vescovo di Vaison, nel sinodo del 1729, aveva stabilito una tassa da rispettare nella sua diocesi, in base alla quale, oltre ad altre procedure relative al battesimo, veniva stabilito che: "Il padrino o la madrina, per la cerimonia del battesimo forniranno almeno un cero ed un telo di lino candido e brillante, a meno che non preferiscano per tutto ciò e per la registrazione negli atti pubblici dei battezzati pagare cumulativamente cinque assi", fu allora proposto il dubbio se la tassa prescritta in questo sinodo dovesse essere rispettata.
La sacra Congregazione, nella riunione di Vaison del 6 febbraio 1734 rispose di no.26
21 Fra le altre materie, che più di frequente o con maggior rigore sono state riprovate dai sacri canoni e dai concilii, una delle principali riguarda l'abitudine - qua e là invalsa in passato - di riscuotere denaro per il ricevimento del crisma e dell'olio santo, che i vescovi cercavano invano di giustificare presentandola sotto vari nomi: a titolo cattedratico, quale prestazione pasquale, quale consuetudine episcopale.27
Di conseguenza, quando il patriarca dei Maroniti di Antiochia prese l'abitudine, quando distribuiva gli olii sacri, di esigere un'offerta in denaro, sebbene fosse evidente che il denaro non veniva certo dato e ricevuto con lo spirito di mercanteggiare gli olii sacri, ma per sostentamento del patriarca e per far fronte agli oneri che incombono all'ufficio e alla dignità patriarcali, tuttavia, per cacciare ogni sospetto di simonia, tale consuetudine fu disapprovata dalla particolare Congregazione alla quale è demandata la competenza per gli affari dei Maroniti.
Benedetto XIV confermò tale sentenza.28
22 Ci pare che questo basti ed avanzi, Venerabili Fratelli, perché comprendiate a perfezione quali sono i vostri compiti nell'amministrare i sacramenti e li perseguiate con ogni cura, applicandovi totalmente affinché sia eliminata ovunque la malvagia consuetudine, vigente in alcune diocesi, in base alla quale per la distribuzione degli olii viene richiesto denaro o da parte del vescovo o dal prefetto della sagrestia.
Già in precedenza la sacra Congregazione del Concilio lo aveva prescritto spesso, in particolare nella riunione di Amalfi del 18 luglio 1699, ribadendolo il 6 febbraio 1700, a proposito del quesito 12: "Se l'arcivescovo sia obbligato a garantire che l'olio santo sia consegnato gratuitamente dalla cattedrale alle chiese parrocchiali".
Ad esso fu risposto affermativamente.
Identico orientamento prese la sacra Congregazione dei vescovi nella riunione di Acerenza, cioè di Matera, il 18 marzo 1706.29
23 Per quanto riguarda poi l'offerta della candela, che abbiamo sentito viene fatta, in diverse diocesi di codesto regno, al vescovo che amministra la Confermazione, in primo luogo non va taciuto che a tal proposito nel libro pontificale non c'è nemmeno una parola.
Inoltre, la sacra funzione del sacerdozio vincola tutti i ministri, i quali, nell'accettare le offerte, si devono regolare con moderazione e senso della misura, per evitare che, incorrendo nell'accusa di avarizia e di turpe negozio, il ministero stesso non finisca vituperato e si svilisca la riverenza dovuta ad un così grande sacramento.
C'è da guardarsi bene che l'offerta della candela non degeneri in un'esazione sospetta, dalla quale derivi che i fedeli, specialmente i poveri, si ritraggano dal ricevere il sacramento, o ne rinviino più del giusto la somministrazione.
Perciò c'è soprattutto da augurarsi che questa consuetudine sia completamente abolita e che si mantenga soltanto in quei casi in cui dipenda esclusivamente dalla decisione dell'offerente.
24 Le stesse norme impongono che tanto i vescovi quanto i loro cancellieri o notai debbano esercitare gratuitamente il loro ministero, sia quando - previo esame ed approvazione - concedono a qualcuno la facoltà di raccogliere le confessioni sacramentali, di amministrare i sacramenti e di esercitare ogni ministero ecclesiastico, sia quando giudicano l'idoneità dei vicari - sia perpetui, sia rimovibili ad nutum -, degli economi e dei coadiutori, come si legge nel capitolo Ad nostrum de simonia e come fu disposto nelle spesso citate assise di Vicenza30 e di Gerona,31 in cui comunque si rigetta anche la remunerazione per la lettera che formalizza la concessione dei predetti ministeri e l'esercizio degli incarichi.
25 Riteniamo che nessuno di voi ignori quanto frequenti e quanto severe leggi vietino di esigere denaro per le sepolture e per le esequie funebri.32
Basterà comunque citarvi San Gregorio Magno, che, scrivendo a Gennaro, vescovo di Cagliari,33 così si duole: "La famosissima signora Nereida si è lamentata con noi del fatto che vostra fraternità non si è vergognato di chiederle cento solidi per la sepoltura della figlia.
Se è vero, è davvero troppo grave e distante dalla dignità sacerdotale chiedere un prezzo per la terra concessa alla putrefazione e voler trarre un utile dal lutto altrui.
Nella nostra chiesa noi l'abbiamo vietato, e non abbiamo mai consentito che la malvagia consuetudine si ripristinasse.
Attenzione, a non ricadere in questo vizio dell'avarizia o in altri!".
Nessuna legge mai ha vietato la lodevole e pia abitudine, invalsa nella Chiesa fin dai primi secoli, di fare offerte a favore dei morti durante i funerali; né nell'accettarle, veniva meno la libertà dei sacerdoti.
Perciò il sommo Pontefice Gregorio aggiunse tosto: "Se qualche parente del morto, congiunto o erede desidera offrire spontaneamente qualcosa per l'illuminazione, non vietiamo di accettare.
Proibiamo invece che venga chiesto o preteso alcunché".34
Analogo ordine impartì, con parole chiare, Innocenzo III nel concilio Lateranense.35
26 In verità, venendo a mancare le decime personali e quelle, sia reali sia miste, a favore dei monasteri e dei capitoli dei canonici, fu in un certo senso necessario che i laici venissero quasi costretti alle pie offerte, fin qui consuete, con le quali si provvedeva alle necessità dei parroci e delle chiese parrocchiali.
Tuttavia si tenne sempre presente la santità della disciplina ecclesiastica per garantire che non ci si allontanasse troppo da queste lodevoli consuetudini: i chierici per eccesso, i laici per difetto.
Tra l'altro fu sancito in particolare che esequie, funerali e sepolture di defunti - sia cittadini sia stranieri - non dovessero essere impediti o ritardati per poter ottenere il denaro derivante da questa pia consuetudine; inoltre, che non si dovesse pretendere niente per il permesso di trasferire i cadaveri e seppellirli in un luogo piuttosto che in un altro.
27 Da ciò dunque avrete compreso, Venerabili Fratelli, che è intollerabile che nelle vostre diocesi si accetti denaro, al di là delle consuete offerte collegate alle pietose incombenze che si prestano al cadavere ed in suffragio dell'anima.
Né il parroco - attuale o abituale - dev'essere pagato in funzione della condizione del morto, della distinzione del grado, ovvero in relazione alla posizione favorevole ed al decoro dei luoghi nei quali i cadaveri devono essere inumati, sia in chiesa, sia in luogo più prestigioso della chiesa.
È inoltre aberrante per i sacri canoni che il Vescovo pretenda o riceva denaro per seppellire qualcuno, sia adulto, sia bambino, in qualsiasi chiesa diocesana o anche delle comunità religiose.
La sacra Congregazione del Concilio, intervenendo contro il Vescovo vicentino e la sacra Congregazione dei Vescovi riunita a Gerona36 hanno espresso chiara condanna nonostante qualunque consuetudine contraria, anche antichissima.
28 Nella visita pastorale alla diocesi, eviterete con poca fatica qualunque sospetto di avarizia e sarà chiaro a tutti facilmente che voi chiedete non nel vostro interesse ma in quello di Gesù Cristo, se vi atterrete scrupolosamente a quanto raccomandarono in materia i Padri del Concilio Tridentino: "Si curino i vescovi in visita di non essere onerosi per nessuno con inutili spese; né personalmente né attraverso qualcuno del seguito, accettino alcunché: né per aver in qualche modo propiziato la visita, né per le pietose abitudini dei testamenti, eccetto quel che deriva per legge dai lasciti pii.
Non accettino, dunque, né denaro né doni di qualunque tipo né a qualunque titolo offerti, nemmeno se in tal senso esistano abitudini, anche antichissime.
Restano esclusi soltanto gli alimenti, che verranno forniti al vescovo ed al suo seguito in misura frugale, e soltanto per il tempo necessario alla visita e non oltre.
Coloro che ricevono la visita possono decidere se preferiscono consegnare una somma di denaro predeterminata, come solevano fare in precedenza, oppure fornire le citate vettovaglie.37
29 Su questo decreto vennero prodotte diverse dichiarazioni e decisioni della sacra Congregazione del Concilio, alcune delle quali è qui opportuno riportare.
Il primo argomento del quale si discusse più volte fu se il vescovo potesse esigere le cosiddette "provvigioni" in occasione della visita alla cattedrale ed al clero della città - o altro luogo - in cui risiede abitualmente.
Quando fu chiaro che la "provvigione" era stata istituita dal Concilio di Trento per la visita alla diocesi, e che non si faceva alcuna menzione della città; inoltre che lo stesso Concilio aveva imposto la somministrazione di vettovaglie "soltanto per il tempo necessario", e che pareva pertanto non ce ne fosse alcuna necessità quando il vescovo visita luoghi nei quali è tenuto a risiedere ovvero nei quali trascorre parte dell'anno; la sacra Congregazione stabilì che gli antichi canoni di diverso avviso ed ogni usanza contraria erano stati rimossi dal decreto del citato Concilio di Trento, e pertanto rispose costantemente in modo negativo al dubbio proposto.38
Di identico parere era stata la Congregazione dei Vescovi, come emerge dalla lettera al Patriarca di Venezia datata 26 maggio 1592, nonostante gli usi e qualunque motivazione contraria.
Indice |
23 | Cum in ecclesiae corpore, 9, cap. Ad apostolicam, 42, De simonia |
24 | Loc. cit., cap. 7 e 8 |
25 | Thes. resolut. tomo 2, p. 280 |
26 | Per maggiori informazioni cf. Thes. resolut., tomo 6, p. 209 |
27 | Cap. Non satis, 8 cap. Eaquae, 16 cap. Ad nostram, 21 cap. In tantum, 36 De simonia, ed altri ancora come indicato da Cristiano Lupo, loc. cit., cap. 7, paragrafo Secundum sacramentum |
28 | Constit. Apostolica 43, Bullar. tomo 1 |
29 | Ad. 2 apud Petram, Comment. ad constitut. 5 Innocentii IV, n. 38 |
30 | 7 febbraio e 8 marzo 1602 |
31 | 25 ottobre 1588, Ad. 7 |
32 | Cristiano Lupo, loc. cit., cap. 12 e Van Espen in Jus eccles. univ., par. 2, tit. 38, cap. 4 |
33 | Lib. 9, indict. 2, epist. 3, e lib. 7, indict. 2, epist. 56 |
34 | Pontificale Romanum |
35 | Cap. Ad Apostolicam, 42 De simonia |
36 | Ad. 10, Fagnani., cap. In ordinando de simonia, n. 32 ss. |
37 | Sess. 24, cap. 3, De ref. |
38 | In particolare per la "provvigione" nel caso di Castres del 17 novembre 1685, per quella di Alife del 18 luglio 1705, per quella di Policastro del 1 giugno 1737 e recentemente per quella di Valenza del 30 gennaio 1768 |