È giunto
Maestà, è giunto a Nostra conoscenza che fra i vari progetti annunciati nel programma del nuovo Ministero Brasiliano, ve ne sono alcuni che, toccando gl'interessi più vitali della religione e rompendo il filo delle gloriose tradizioni di cotesto Impero, avrebbero per effetto, qualora fossero recati a compimento, di turbare la pace delle coscienze, di affievolire in coteste cattoliche popolazioni il sentimento religioso o di preparare un avvenire pieno di pericoli per la Chiesa cattolica non meno che per la civile società.
Intendiamo parlare della libertà di culto e d'insegnamento e delle disposizioni che vi si collegano, le quali, sebbene non indicate apertamente nella pubblica dichiarazione del governo, pur nondimeno non lasciano alcun dubbio sulla loro qualità e natura.
Non è qui Nostro proposito di svolgere tutti gli argomenti, che si oppongono all'introduzione degli anzidetti progetti.
Parlando alla Maestà Vostra, di cui è noto lo spirito colto ed elevato, basterà esporne alcuni tra i principali.
La libertà di culto considerata in rapporto alla società è basata su questo concetto, che lo Stato, anche in una nazione cattolica, non è tenuto a professarne od a favorirne alcuno; esso deve essere indifferente a riguardo di tutti ed averli in conto di giuridicamente uguali.
Non si tratta quindi di quella tolleranza di fatto, che in date circostanze può essere accordata ai culti dissidenti; ma bensì di riconoscere a questi i medesimi diritti che competono a quell'unica vera religione, che Dio costituì nel mondo e distinse con caratteri e segni ben chiari e definiti, perché tutti potessero ravvisarla come tale ed abbracciarla.
Con siffatta libertà pertanto si pone nella stessa linea la verità e l'errore, la fede e l'eresia, la Chiesa di Gesù Cristo e qualsiasi istituzione umana: con essa si stabilisce una deplorevole e funesta separazione tra la società umana e Dio che n'è l'autore, e si giunge alla triste conseguenza dell'indifferentismo dello Stato in materia di religione, o ciò ch'è lo stesso, del suo ateismo.
Eppure nessuno potrà ragionevolmente negare che il civile consorzio, non meno che l'uomo preso individualmente, ha doveri verso Dio suo creatore, legislatore supremo e benefattore provvidentissimo.
Rompere ogni vincolo di sudditanza e di rispetto coll'Essere supremo, ricusare di onorarne il potere e dominio sovrano, disconoscere i benefici che la società ne riceve, è cosa condannata non solo dalla fede, ma dalla ragione e dal sentimento generale degli stessi antichi pagani, i quali posero a base del loro pubblico ordinamento e delle loro imprese civili e militari il culto alla divinità, da cui ripetevano la loro prosperità e grandezza.
Ma sarebbe superfluo insistere su queste riflessioni.
Già altre volte in pubblici documenti diretti al mondo cattolico abbiamo dimostrato quanto sia erronea la dottrina di coloro che, sotto il nome seducente di libertà di culto, proclamano l'apostasia legale della società dal suo Autore divino.
Quello che qui C'interessa sia avvertito, si è che libertà siffatta è fonte di danni incalcolabili per i governi e per i popoli.
Ed invero, mentre la religione prescrive ai cittadini di obbedire al potere legittimo come a ministero divino, vietando tutti quei movimenti sediziosi che possono turbar la tranquillità e l'ordine pubblico, è pur troppo evidente che lo Stato, col dichiararsi indifferente in fatto di religione e dar solennemente prova di tenerla in non cale, si priva di un elemento morale il più potente e viene a separarsi dal vero e naturale principio, onde attinge ogni forza generatrice il rispetto, la fedeltà e l'amore dei popoli.
Che anzi, mancando in tal guisa ai suoi più sacri doveri verso Dio, non solo lo Stato rinunzia a questo mezzo efficacissimo per conciliarsi l'obbedienza e la venerazione dei cittadini, ma viene a scuotere quel sentimento religioso, in cui il popolo trova forza, rassegnazione e conforto per sopportare le angustie e le miserie della vita, dando esso stesso un esempio tanto più pernicioso quanto più elevata è la sfera da cui procede.
E qui non occorrerà fare osservare alla Maestà Vostra che, soprattutto nell'epoca presente, in cui si fa sentire più che mai il bisogno dell'influenza salutare della religione, attesi i disordini morali e sociali sempre crescenti ond'è sconvolta la società, non può non tornare sommamente pericoloso e funesto alla cosa pubblica l'inaugurare in un paese cattolico un sistema, che non può avere altro risultato tranne quello d'indebolire, o distruggere nelle popolazioni l'unico freno morale capace di ritenerle nella cerchia dei loro doveri.
Le nazioni che si spinsero sulla via di questi rinnovamenti hanno dovuto o debbono deplorare l'aumento progressivo di delitti, di discordie e rivolte, l'instabilità del potere e tutte le ruine morali e materiali, che si stanno accumulando sopra di esse.
E perciò uomini savi ed imparziali dovettero riconoscere dopo lunga esperienza che un popolo, il quale perde il suo spirito religioso è un popolo che cammina verso la decadenza, e che conseguentemente l'unico mezzo per richiamarlo a salvezza è riposto nell'azione benefica della religione, che sola assicura in modo efficace il rispetto alle leggi ed alle autorità costituite, sola ridesta e scuote nell'uomo la coscienza, quella potenza ammirabile, che impera nel fondo dell'anima, che presiede a tutti i suoi movimenti, li approva o condanna secondo le norme della giustizia eterna, e somministra alla volontà la forza e l'energia per operare il bene.
Ma non meno feconda di tristi conseguenze nell'istesso campo sociale è l'altra libertà così detta d'insegnamento.
Con questa infatti si dà larga licenza di svolgere nelle scuole teorie e dottrine di ogni genere, siano pure le più contrarie alle verità naturali ed a quelle rivelate.
Sotto il mentito pretesto della scienza, al cui vero progresso non solo non ha mai nociuto, ma ha sempre potentemente contribuito la fede, si scalzano o si combattono apertamente quei principi fondamentali su cui riposano morale, giustizia e religione.
Quindi è che il magistero devia dal suo nobile scopo, ch'è quello di dare alla società non solo uomini istruiti, ma onesti, che con l'esatto adempimento dei loro doveri verso i loro simili, verso la famiglia e verso lo Stato concorrano ad assicurare la felicità generale.
Esso invece di comprimere negli animi giovanili i germi delle passioni, che generano l'egoismo, l'orgoglio e la cupidigia, e farvi fiorire i sentimenti e le virtù che distinguono il buon figlio, il buon padre, il buon cittadino, si rende istromento di corruzione, spingendo la gioventù inesperta nella via del dubbio, dell'errore e dell'incredulità e deponendo nel cuore di essa i germi di tutte le perniciose tendenze.
Questi effetti sono tanto più inevitabili in quanto che se da un lato si apre la porta ad ogni mostruosità di opinioni, dall'altro, inaugurato il principio del libero insegnamento, si suole intralciare in mille modi la libertà della Chiesa e la sua legittima influenza nella educazione della gioventù.
Queste poche considerazioni saranno sufficienti, ne siamo certi, a mostrare alla Maestà Vostra i mali gravissimi, a cui potrebbero dare origine le mentovate riforme in un paese, che ha conservato fino ad ora gelosamente il prezioso retaggio della fede, ed i cui abitanti sono così fedeli alle sante tradizioni dei loro padri.
Non vogliamo poi ricercare quali sieno le altre disposizioni complementari, a cui si fa allusione nel programma del Ministero: la formula con cui vengono adombrate è vaga e generale, e potrebbe racchiudere altre innovazioni perniciose, tra cui quella perniciosissima del così detto matrimonio civile ed altre consimili.
Noi però amiamo meglio credere che gli uomini chiamati dalla sovrana fiducia di Vostra Maestà a dividere la responsabilità del potere, comprenderanno nel loro senno politico quanto sia utile per un popolo di conservare intatti i preziosi vantaggi della pace religiosa.
Confidiamo soprattutto che la Maestà Vostra nella sua alta penetrazione e nel suo costante attaccamento alla religione cattolica, di cui avemmo non ha guari una nuova e luminosa prova nell'opera tanto sapientemente e generosamente compiuta dell'abolizione della schiavitù nel suo Impero, non permetterà mai che sieno cambiate le basi di una legislazione corrispondente ai veri interessi del popolo e dell'autorità sovrana che lo governa, e sia schiusa un'era di discordie e di turbamenti religiosi e sociali.
La Maestà Vostra coll'allontanare dal suo Impero questa sventura contribuirà efficacemente alla prosperità del medesimo e chiamerà sopra di Sé, sopra l'Augusta sua Famiglia e sopra la nazione Brasiliana le benedizioni del cielo.
Con questa intima persuasione impartiamo di tutto cuore alla Maestà Vostra ed a tutta l'Imperiale Famiglia l'Apostolica benedizione.
Dal Vaticano, 19 luglio 1889.
Leone XIII