16 marzo 1986
1. Eccoci di nuovo nell'imminenza del Giovedì Santo, giorno in cui Gesù Cristo istitui l'Eucaristia e, nel medesimo tempo, il nostro sacerdozio ministeriale.
Il Cristo, « avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine » ( Gv 13,1 ).
Buon Pastore qual era, stava per dare la propria vita per le sue pecore ( cfr. Gv 10,11 ), per salvare gli uomini, riconciliarli col Padre e introdurli in una vita nuova.
E già agli Apostoli egli offriva in cibo il suo Corpo, dato per loro, e il suo Sangue, versato per loro.
Ogni anno, questo giorno è grande per tutti i cristiani.
Sull'esempio dei primi discepoli, essi vengono per comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo nella liturgia della sera, che rinnova la Cena.
Ricevono dal Salvatore il testamento dell'amore fraterno che dovrà ispirare tutta la loro vita, e cominciano a vegliare con lui, per unirsi alla sua Passione.
Voi stessi li radunerete e guiderete la loro preghiera.
Ma questo giorno è grande specialmente per noi, cari fratelli sacerdoti.
È la festa dei sacerdoti.
È il giorno in cui nasce il nostro sacerdozio, che è partecipazione all'unico Sacerdozio di Cristo Mediatore.
In questo giorno, i sacerdoti del mondo intero sono invitati a concelebrare l'Eucaristia coi loro Vescovi e a rinnovare attorno ad essi le promesse dei loro impegni sacerdotali a servizio di Cristo e della sua Chiesa.
In questa occasione io mi metto particolarmente vicino a ciascuno di voi.
E, come ogni anno, in segno della nostra unione sacramentale nel medesimo sacerdozio, spinto dalla stima affettuosa che vi porto e dal mio dovere di confermare tutti i miei fratelli nel loro servizio al Signore, vi invio questa lettera per aiutarvi a ravvivare il dono inaudito che vi è stato conferito per l'imposizione delle mani ( cfr. 2 Tm 1,6 ).
Questo sacerdozio ministeriale, che è nostra parte, è anche nostra vocazione e nostra grazia.
Segna tutta la nostra vita col sigillo del servizio più necessario e più esigente che ci sia: la salvezza delle anime.
Noi vi siamo d'altronde condotti da una moltitudine di predecessori.
Uno di questi rimane assai presente alla memoria della Chiesa, e sarà particolarmente commemorato quest'anno, in occasione del secondo centenario della sua nascita: San Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars.
Desideriamo tutti ringraziare Cristo, il Principe dei Pastori, per il modello straordinario di vita e di servizio sacerdotale, che il Santo Curato presenta a tutta la Chiesa ed innanzitutto a noi sacerdoti.
Quanti tra noi si sono preparati al sacerdozio, o esercitano oggi il loro difficile compito di parroci, tenendo sotto gli occhi la figura di San Giovanni Maria Vianney!
Il suo esempio non può cadere nell'oblio.
Noi abbiamo più che mai bisogno della sua testimonianza, della sua intercessione per affrontare le situazioni del nostro tempo, nel quale, nonostante un certo numero di segni di speranza, l'evangelizzazione è contrastata da una laicizzazione crescente, nel quale inoltre si trascura l'ascesi soprannaturale, molti perdono di vista le prospettive del Regno di Dio e spesso, anche nella pastorale, ci si preoccupa troppo esclusivamente dell'aspetto sociale e degli obiettivi temporali.
Il Curato d'Ars ha dovuto affrontare, nel secolo scorso, difficoltà che avevano forse un altro modo di presentarsi, ma che non erano meno grandi.
Con la vita e con l'azione, egli ha costituito, per la società del suo tempo, come una grande sfida evangelica, che ha portato mirabili frutti di conversione.
Non v'è dubbio che egli presenti anche oggi per noi tale grande sfida evangelica.
Vi invito dunque a meditare sul nostro sacerdozio davanti a questo pastore straordinario, che ha illustrato il pieno compimento del ministero sacerdotale ed insieme la santità del ministro.
Voi sapete che Giovanni Maria Battista Vianney è morto ad Ars il 4 agosto 1859, dopo una quarantina d'anni di estenuante dedizione.
Aveva settantatré anni.
Al suo arrivo, Ars era un'oscura borgata della diocesi di Lione, oggi di Belley.
Alla fine della sua vita, vi si accorreva da tutta la Francia, e la sua fama di santità, dopo la sua morte, attirò subito l'attenzione della Chiesa universale.
San Pio X lo beatificò nel 1905; Pio XI lo canonizzò nel 1925, e poi, nel 1929, lo dichiarò Patrono dei parroci di tutto il mondo.
Nel centenario della sua morte, Papa Giovanni XXIII scrisse l'Enciclica « Sacerdotii nostri primordia » per presentare il Curato d'Ars come modello di vita e d'ascesi sacerdotali, modello di pietà e di culto eucaristico, modello di zelo pastorale, e ciò nel contesto dei bisogni del nostro tempo.
Qui vorrei soltanto attirare la vostra attenzione su alcuni aspetti essenziali che ci aiutano a riscoprire e a vivere meglio il nostro sacerdozio.
Il Curato d'Ars è innanzitutto un modello di volontà per coloro che si preparano al sacerdozio.
Il susseguirsi di molte prove avrebbe potuto scoraggiarlo:
gli effetti della tormenta rivoluzionaria,
la mancanza d'istruzione del suo ambiente rurale,
la reticenza di suo padre,
la necessità di contribuire al lavoro dei campi,
i rischi del servizio militare,
e soprattutto, malgrado la sua intelligenza intuitiva e la sua viva sensibilità, la grande difficoltà ad apprendere e a memorizzare, e dunque a seguire i corsi di teologia e di latino,
ed infine, per questa ragione, una dimissione dal seminario di Lione.
Essendo stata tuttavia riconosciuta l'autenticità della sua vocazione, a 29 anni egli poté essere ordinato sacerdote.
Con tenacia nel lavoro e nella preghiera, trionfò su tutti gli ostacoli e i limiti, così allora come più tardi, quando, durante la vita sacerdotale, preparava laboriosamente i suoi sermoni o portava avanti, la sera, la lettura di opere di teologi e di autori spirituali.
Fin dalla giovinezza era animato da un grande desiderio di « guadagnare le anime al buon Dio » come sacerdote, ed era sostenuto dalla fiducia del vicino parroco d'Ecully, il quale, non dubitando della sua vocazione, si incaricò di una buona parte della sua preparazione.
Quale esempio di coraggio per coloro che, oggi, conoscono la grazia di essere chiamati al sacerdozio!
Il Curato d'Ars è un modello di zelo sacerdotale per tutti i pastori.
Il segreto della sua generosità si trova senza dubbio nel suo amore a Dio, vissuto senza misura, in costante risposta all'amore manifestato nel Cristo crocifisso.
Egli fonda lì il suo desiderio di fare di tutto per salvare le anime, riscattate da Cristo ad un prezzo così grande, e ricondurle all'amore di Dio.
Ricordiamo una delle frasi lapidarie di cui egli aveva il segreto: « Il sacerdozio è l'amore del Cuore di Gesù ».
Egli tornava sempre nei suoi sermoni e nelle catechesi su questo amore: « O mio Dio preferisco morire amandovi, che vivere un solo istante senza amarvi.
… Vi amo, o mio divin Salvatore, perché siete stato crocifisso per me, … perché mi tenete crocifisso per voi » ( Nodet, p. 44 ).
A causa di Cristo, egli cerca di conformarsi pienamente alle esigenze radicali che Gesù propone nel Vangelo ai discepoli che Egli invia in missione: preghiera, povertà, umiltà, rinuncia a se stessi, penitenza volontaria.
E, come Cristo, anch'egli prova per le sue pecorelle un amore che lo conduce ad un'estrema dedizione pastorale e al sacrificio di sé.
Raramente un pastore è stato tanto cosciente delle sue responsabilità, divorato dal desiderio di strappare i suoi fedeli al peccato o alla tiepidezza.
« O mio Dio, concedetemi la conversione della mia parrocchia: accetto di soffrire ciò che voi vorrete, per tutto il tempo della mia vita ».
Cari fratelli sacerdoti, alimentati dal Concilio Vaticano II, che ha felicemente situato la consacrazione del prete nel quadro della sua missione pastorale, cerchiamo il dinamismo del nostro zelo pastorale, con San Giovanni Maria Vianney, nel Cuore di Gesù, nel suo amore per le anime.
Se noi non attingiamo alla medesima sorgente, il nostro ministero rischierà di portare ben pochi frutti!
Nel caso del Curato d'Ars i frutti sono stati stupefacenti, un po' come per Gesù nel Vangelo.
A Giovanni Maria Vianney, che gli consacra tutte le forze e tutto il cuore, il Salvatore, in certo modo, dona le anime.
Gliele affida, a profusione.
Innanzitutto la sua parrocchia - che al suo arrivo contava soltanto 230 persone - sarà profondamente trasformata.
È un fatto che, in quel villaggio, c'era parecchia indifferenza ed assai poca pratica religiosa tra gli uomini.
Il Vescovo aveva così avvertito Giovanni Maria Vianney: « Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia: voi ve lo porterete ».
Ma abbastanza presto, ben al di là del suo villaggio, il Curato diventa pastore di una moltitudine che giunge da tutta la regione, da diverse parti della Francia e da altri Paesi.
Si parla di 80.000 per l'anno 1858!
Si attende a volte per parecchi giorni prima di incontrarlo e di confessarsi.
Ciò che attira, non è tanto la curiosità e neppure lo giustificata fama dei suoi miracoli e delle guarigioni straordinarie, che il Santo per altro vorrebbe nascondere.
È ben più il presentimento d'incontrare un Santo, sorprendente per la sua penitenza, così familiare con Dio nella preghiera, straordinario per la sua pace e la sua umiltà in mezzo ai successi popolari, e soprattutto così perspicace nel corrispondere alle disposizioni interiori delle anime e nel liberarle dai loro pesi, soprattutto al confessionale.
Sì, Dio ha scelto come modello per i pastori uno che poteva apparire agli occhi degli uomini povero, debole, senza difesa e spregevole ( cfr. 1 Cor 1,27-29 ).
Egli lo ha gratificato dei suoi doni migliori quale guida e medico delle anime.
Pur riconoscendo una grazia particolare concessa al Curato d'Ars, non abbiamo qui il segno di una speranza per i pastori che soffrono oggi di un certo deserto spirituale?
Giovanni Maria Vianney si consacrava essenzialmente all'insegnamento della fede, alla purificazione delle coscienze, e questi due ministeri convergevano verso l'Eucaristia.
Non bisogna vedere in ciò anche oggi i tre poli del servizio pastorale del sacerdote?
Se lo scopo è certamente quello di radunare il popolo di Dio attorno al mistero eucaristico per mezzo della catechesi e della penitenza, altri contatti apostolici, a seconda delle circostanze, sono pure necessari:
a volte è una semplice presenza, forse per lunghi anni, con la testimonianza silenziosa della fede negli ambienti non cristiani;
o anche la vicinanza alle persone, alle famiglie ed alle loro preoccupazioni;
a volte è un primo annuncio che si sforza di risvegliare alla fede gli increduli e i tiepidi;
può essere pure la testimonianza di carità e di giustizia condivisa con i laici cristiani, così da rendere più credibile la fede mettendola in pratica.
Di qui tutta una serie di attività o di opere apostoliche, che preparano o continuano la formazione cristiana.
Lo stesso Curato d'Ars si studiò di prendere delle iniziative adatte al suo tempo ed ai suoi parrocchiani.
Tuttavia, tutte le sue attività sacerdotali erano centrate sull'Eucaristia, la catechesi ed il sacramento della riconciliazione.
È certamente la sua instancabile dedizione al sacramento della penitenza, ciò che ha rivelato il carisma principale del Curato d'Ars ed ha creato a giusto titolo la sua fama.
È bene che un tale esempio ci porti oggi a ridare al ministero della riconciliazione tutta quella importanza che gli spetta e che il Sinodo dei Vescovi del 1983 ha così giustamente messo in evidenza.
Senza il cammino di conversione, di penitenza e di richiesta di perdono che i ministri della Chiesa devono instancabilmente incoraggiare ed accogliere, il tanto desiderato aggiornamento è destinato a restare superficiale ed illusorio.
Il Curato d'Ars si preoccupava innanzitutto di formare i fedeli al desiderio del pentimento.
Sottolineava la bellezza del perdono divino.
Tutta la sua vita sacerdotale e le sue forze non erano forse consacrate alla conversione dei peccatori?
Ebbene, è nel confessionale che si manifestava soprattutto la misericordia di Dio.
Egli pertanto non intendeva sottrarsi ai penitenti che venivano da ogni parte e ai quali consacrava spesso dieci ore al giorno, a volte quindici o anche più.
Per lui questa era senza dubbio la più grande delle pratiche ascetiche, un « martirio »: fisicamente, innanzitutto, nel caldo, nel freddo o nell'atmosfera soffocante; ed anche moralmente, perché soffriva egli stesso per i peccati accusati e più ancora per la mancanza di pentimento: « Piango per ciò per cui voi non piangete ».
Accanto a questi indifferenti, che egli accoglieva come meglio poteva e che tentava di svegliare all'amore di Dio, il Signore gli concedeva di riconciliare dei grandi peccatori pentiti, e anche di guidare verso la perfezione anime che ne avevano il vivo desiderio.
Era soprattutto qui che Dio gli domandava di partecipare alla Redenzione.
Noi oggi abbiamo riscoperto, meglio che nel secolo scorso, l'aspetto comunitario della penitenza, della preparazione al perdono, e dell'azione di grazie dopo il perdono.
Ma il perdono sacramentale richiederà sempre un incontro personale col Cristo crocifisso attraverso la mediazione del suo ministro.
Spesso, purtroppo, i penitenti non si accalcano con fervore attorno al confessionale, come ai tempi del Curato d'Ars.
Ora, il fatto stesso che un gran numero di essi, per varie ragioni, sembra astenersi totalmente dalla confessione, è segno che è urgente sviluppare tutta una pastorale del sacramento della penitenza,
portando incessantemente i cristiani a riscoprire le esigenze di una vera relazione con Dio,
il senso del peccato, per il quale ci si chiude all'Altro e agli altri,
la necessità di convertirsi e di ricevere, per il tramite della Chiesa, il perdono come dono gratuito di Dio
e, infine, le condizioni che permettono di ben celebrare il sacramento, superando i pregiudizi a suo riguardo, i falsi timori e la prassi abitudinaria.
Una tale situazione richiede nel medesimo tempo che noi rimaniamo assai disponibili per questo ministero del perdono, pronti a dedicarvi il tempo e la cura necessari, ed anzi, dirò di più, a dargli la priorità rispetto ad altre attività.
I fedeli comprenderanno così il valore che, sull'esempio del Curato d'Ars, noi gli conferiamo.
Certo, come scrivevo nell'Esortazione post-sinodale sulla penitenza, il ministero della riconciliazione resta senza dubbio il più difficile e il più delicato, il più faticoso e il più esigente, soprattutto quando i sacerdoti sono pochi.
Esso suppone anche, nel confessore, delle grandi qualità umane, e soprattutto una vita spirituale intensa e sincera; è necessario che il sacerdote ricorra egli stesso regolarmente a quel sacramento.
Siatene sempre convinti, cari fratelli sacerdoti: questo ministero della misericordia è uno dei più belli e dei più consolanti.
Vi permette di illuminare le coscienze, di perdonarle e di ridare loro vigore nel nome del Signore Gesù, di essere per loro medici e consiglieri spirituali; esso resta « la insostituibile manifestazione e verifica del sacerdozio ministeriale ».
I due sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia sono strettamente uniti fra loro.
Senza una conversione costantemente rinnovata e l'accoglienza della grazia sacramentale del perdono, la partecipazione all'Eucaristia non potrebbe pervenire alla piena efficacia redentrice.
Come Cristo cominciò il suo ministero col « Convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ), così il Curato d'Ars iniziava generalmente ognuna delle sue giornate col ministero del perdono.
Ma egli era felice di orientare i suoi penitenti riconciliati verso l'Eucaristia.
L'Eucaristia era veramente al centro della sua vita spirituale e della sua pastorale.
Diceva: « Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché esse sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio » ( Nodet, p. 108 ).
È lì che è reso presente il sacrificio del Calvario per la Redenzione del mondo.
Evidentemente, il sacerdote deve unire il dono quotidiano di se stesso all'oblazione della Messa: « Un prete fa dunque bene ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine! » ( Nodet, p. 107 ).
« La Santa Comunione ed il Santo Sacrificio della Messa sono i due atti più efficaci per ottenere la conversione dei cuori » ( Nodet, p. 110 ).
La Messa era inoltre per Giovanni Maria Vianney la grande gioia ed il conforto della sua vita di sacerdote.
Egli metteva grande impegno, malgrado l'afflusso dei penitenti, a prepararvisi silenziosamente per più di un quarto d'ora.
Celebrava con raccoglimento, esprimendo chiaramente la sua adorazione nei momenti della Consacrazione e della Comunione.
Con realismo egli osservava: « La causa della rilassatezza del sacerdote è che non si fa attenzione alla Messa! » ( Nodet, p. 105 ).
Il Curato d'Ars era particolarmente colpito dalla permanenza della presenza reale di Cristo nell'Eucaristia.
Era solitamente davanti al tabernacolo ch'egli passava lunghe ore d'adorazione, prima dell'alba o alla sera; verso di esso si volgeva spesso durante le sue omelie dicendo con emozione: « Egli è là! ».
È ancora per questo motivo che lui, così povero nella sua canonica, non esitava a spendere molto per abbellire la sua chiesa.
Apprezzabile risultato fu il fatto che i suoi parrocchiani presero presto l'abitudine di venire a pregare davanti al SS. Sacramento, scoprendo, attraverso il comportamento del loro Curato, la grandezza del Mistero della fede.
In merito ad una tale testimonianza, pensiamo a ciò che il Concilio Vaticano II ci dice oggi a proposito dei sacerdoti: « È nel culto eucaristico che si esercita soprattutto il loro ministero sacro ».
Ed assai di recente, il Sinodo straordinario ( dicembre 1985 ) ricordava: « La liturgia deve favorire e far risplendere il senso del sacro.
Deve essere impregnata di riverenza, di adorazione e di glorificazione di Dio …
L'Eucaristia è la sorgente ed il culmine di tutta la vita cristiana ».
Cari fratelli sacerdoti, l'esempio del Curato d'Ars ci invita ad un serio esame di coscienza.
Quale posto diamo, nella nostra vita quotidiana, alla Messa?
Resta essa come nel giorno della nostra ordinazione - fu il nostro primo atto di sacerdoti! -, il principio della nostra azione apostolica e della nostra santificazione personale?
Quale cura mettiamo nel prepararci ad essa?
Nel celebrarla?
Nel pregare davanti al SS. Sacramento?
Nel condurvi i nostri fedeli?
Nel fare delle nostre chiese la Casa di Dio, verso la quale la presenza divina attira i nostri contemporanei che hanno troppo spesso l'impressione di un mondo vuoto di Dio?
Il Curato d'Ars teneva ancora a non trascurare in nulla il ministero della Parola, assolutamente necessario per predisporre alla fede ed alla conversione.
Giungeva fino a dire: « Nostro Signore, che è la stessa verità non fa minor conto della sua Parola che del suo Corpo » ( Nodet, p. 126 ).
Si sa il tempo che egli dedicava, soprattutto agli inizi, nel preparare laboriosamente le prediche della domenica.
In seguito, egli giunse ad esprimersi più spontaneamente, sempre con una convinzione viva, chiara, con immagini e paragoni tratti dall'esperienza quotidiana, assai suggestivi per i fedeli.
Anche le sue catechesi ai fanciulli costituivano una parte importante del suo ministero, e gli adulti si univano volentieri ai fanciulli per approfittare di quella testimonianza senza pari, che sgorgava dal cuore.
Aveva il coraggio di denunciare il male in tutte le sue forme; senza condiscendenza, poiché ne andava della salvezza eterna dei suoi fedeli: « Se un pastore resta muto vedendo Dio oltraggiato e le anime rovinarsi, guai a lui! ».
San Giovanni Maria Vianney offre una risposta eloquente a talune rimesse in discussione della identità del sacerdote, che si sono manifestate nel corso degli ultimi vent'anni.
Ora tuttavia sembra che si stia arrivando a posizioni più equilibrate.
Il sacerdote trova sempre, ed in maniera immutabile, la sorgente della sua identità in Cristo Sacerdote.
Non è il mondo a fissare il suo statuto, secondo i bisogni o le concezioni dei ruoli sociali.
Il prete è segnato dal sigillo del Sacerdozio di Cristo, per partecipare alla sua funzione d'unico Mediatore e Redentore.
A causa appunto di questo legame fondamentale, si apre al sacerdote il campo immenso del servizio alle anime, per la loro salvezza nel Cristo e nella Chiesa.
Un servizio che dev'essere completamente ispirato dall'amore per le anime, a somiglianza di Cristo che offre per loro la sua vita.
Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, che nessuno di quei piccoli si perda ( cfr. Mt 18,14 ).
« Il sacerdote dev'essere sempre pronto a rispondere ai bisogni delle anime », diceva il Curato d'Ars ( Nodet, p. 101 ).
« Egli non è per sé; è per voi » ( Nodet, p. 102 ).
Il sacerdote è per i laici: egli li anima e sostiene nell'esercizio del sacerdozio comune dei battezzati - messo così bene in rilievo dal Concilio Vaticano II -, e che consiste
nel fare della vita un'offerta spirituale,
nel render testimonianza allo spirito cristiano nella famiglia,
nel farsi carico degli impegni temporali, e
nel partecipare alla evangelizzazione dei fratelli.
Tuttavia, il servizio del sacerdote è di un altro ordine.
Egli è ordinato
per agire nel nome di Cristo-Capo,
per far entrare gli uomini nella vita nuova inaugurata da Cristo,
per renderli partecipi dei suoi misteri - Parola, perdono, pane di vita -,
per radunarli nel suo Corpo,
per aiutarli a formarsi dall'interno, a vivere e ad agire secondo il disegno salvifico di Dio.
In sintesi, la nostra identità di preti si manifesta nel dispiegamento « creativo » dell'amore per le anime comunicato da Cristo Gesù.
I tentativi di laicizzazione del sacerdote sono dannosi per la Chiesa.
Ciò non significa affatto che il prete possa restare lontano dalle preoccupazioni umane dei laici: deve esservi vicinissimo, come Giovanni Maria Vianney, ma da prete, sempre in una prospettiva che sia quella della loro salvezza e del progresso del Regno di Dio.
Egli è il testimone ed il dispensatore di una vita diversa da quella terrena.
È essenziale per la Chiesa che la identità del sacerdote sia salvaguardata, con la sua dimensione verticale.
La vita e la personalità del Curato d'Ars ne sono una illustrazione particolarmente illuminante e vigorosa.
San Giovanni Maria Vianney non si è di fatto accontentato di compiere ritualmente gli atti del suo ministero.
È il proprio cuore e la propria vita ch'egli cercava di conformare a Cristo.
La preghiera era l'anima della sua vita: preghiera silenziosa, contemplativa, generalmente nella sua chiesa, ai piedi del tabernacolo.
Attraverso il Cristo, la sua anima sia apriva alle Tre Persone divine, alle quali egli nel testamento, consegnerà la « sua povera anima ».
« Conservava un'unione costante con Dio nel mezzo della sua vita estremamente occupata ».
E non trascurava né Ufficio divino né Rosario.
Si volgeva spontaneamente verso la Vergine.
La sua povertà era straordinaria.
Si spogliava letteralmente per i poveri.
E fuggiva gli onori.
La castità brillava nel suo sguardo.
Conosceva il prezzo della purezza per « ritrovare la sorgente dell'amore che è Dio ».
L'obbedienza a Cristo si traduceva, per Giovanni Maria Vianney, nell'obbedienza alla Chiesa e specialmente al Vescovo.
S'incarnava nell'accettazione del pesante incarico di parroco, che spesso lo spaventava.
Ma il Vangelo insiste soprattutto sulla rinuncia di sé, sull'accettazione della croce.
Molte croci si presentarono al Curato d'Ars nel corso del suo ministero:
calunnie della gente,
incomprensioni di un vicario o dei confratelli,
contraddizioni,
ed anche una lotta misteriosa contro le potenze infernali,
ed a volte persino la tentazione della disperazione nel mezzo di una notte dello spirito.
Tuttavia, egli non si accontentava di accettare queste prove senza lamentarsi: andava incontro alla mortificazione, sottoponendosi a continui digiuni e a ben altre rudi maniere di « ridurre il suo corpo in servitù », come dice san Paolo.
Ma ciò che bisogna veder bene in questa penitenza, della quale purtroppo il nostro secolo ha perso l'abitudine, sono i motivi: l'amore di Dio e la conversione dei peccatori.
Così egli interpella un confratello scoraggiato: « Avete pregato …, siete uscito in gemiti …, ma avete digiunato, avete vegliato? … » ( Nodet, p. 193 ).
Si raggiunge qui l'ammonimento di Gesù agii Apostoli: « Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno » ( Mt 17,21 ).
In definitiva, Giovanni Maria Vianney si santificava per essere più atto a santificare gli altri.
Certo, la conversione resta il segreto dei cuori, liberi della loro decisione, e il segreto della grazia di Dio.
Col suo ministero, il sacerdote non può che illuminare le persone, guidarle al confessionale e donar loro i sacramenti.
Questi sacramenti sono sì atti di Cristo, la cui efficacia non è diminuita dall'imperfezione o dall'indegnità del ministro.
Ma il risultato dipende anche dalle disposizioni di colui che li riceve, e queste sono grandemente favorite dalla santità personale del sacerdote, dalla sua comprovata testimonianza, come anche dal misterioso scambio di meriti nella comunione dei santi.
San Paolo diceva: « Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa » ( Col 1,24 ).
Giovanni Maria Vianney voleva in qualche modo strappare a Dio le grazie di conversione, non soltanto con la sua preghiera, ma col sacrificio di tutta la sua vita.
Voleva amare Dio per coloro che non l'amavano e persino compiere in gran parte la penitenza che essi non facevano.
Era veramente il pastore solidale col suo popolo peccatore.
Cari fratelli sacerdoti, non temiamo questo coinvolgimento personale - segnato dall'ascesi ed ispirato dall'amore - che Dio ci chiede per esercitare bene il nostro sacerdozio.
Ricordiamoci della recente riflessione dei Padri sinodali: « Sembra che nelle difficoltà attuali Dio voglia insegnarci più profondamente il valore, l'importanza ed il ruolo centrale della croce di Gesù Cristo ».
Nel sacerdote, il Cristo rivive la sua Passione per le anime.
Rendiamo grazie a Dio, che ci permette così di partecipare alla Redenzione nel nostro cuore e nella nostra carne!
Per tutte queste ragioni San Giovanni Maria Vianney non cessa di essere un testimone, sempre vivo, sempre attuale, della verità sulla vocazione e sul servizio sacerdotale.
Ci si ricordi del tono convinto col quale egli ha saputo parlare della grandezza del sacerdote e della sua assoluta necessità.
I sacerdoti, coloro che si preparano al sacerdozio e coloro che vi saranno chiamati hanno bisogno di fissare lo sguardo sul suo esempio e di seguirlo.
I fedeli stessi percepiranno meglio, grazie a lui, il mistero del sacerdozio dei loro sacerdoti.
No, la figura del Curato d'Ars non tramonta!
Cari fratelli sacerdoti, voi siete ben convinti dell'importanza dell'annuncio del Vangelo, che il Concilio Vaticano II ha messo al primo posto tra le funzioni del sacerdote.
Voi vi sforzate, mediante la catechesi, la predicazione e sotto altre forme che si avvalgono anche dei Massmedia, di arrivare al cuore dei nostri contemporanei, con le loro attese e le loro incertezze, per suscitare e nutrire la fede.
Come il Curato d'Ars e secondo l'esortazione del Concilio, dedicatevi ad insegnare la Parola di Dio in se stessa, la quale chiama gli uomini alla conversione ed alla santità.
Cari fratelli possano queste riflessioni ravvivare la vostra gioia d'essere sacerdoti, il vostro desiderio di esserlo più profondamente!
La testimonianza del Curato d'Ars contiene ancora molte altre ricchezze da approfondire.
Torneremo più ampiamente su questi temi in occasione del pellegrinaggio che io stesso avrò la gioia di compiere nell'ottobre prossimo ad Ars per onorare il secondo centenario della nascita di Giovanni Maria Vianney.
Vi invio questa prima meditazione, cari fratelli, per la solennità del Giovedi Santo.
In ciascuna delle nostre comunità diocesane ci riuniremo, in quel giorno della nascita del nostro sacerdozio, per rinnovare la grazia del sacramento dell'Ordine, per ravvivare l'amore che caratterizza la nostra vocazione.
Ascoltiamo Cristo che ripete a noi come agli Apostoli: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici …
Non vi chiamo più servi …, vi ho chiamati amici » ( Gv 15,13-15 ).
Davanti a Colui che manifesta l'Amore nella sua pienezza, noi rinnoviamo i nostri impegni sacerdotali, Sacerdoti e Vescovi.
Preghiamo gli uni per gli altri, ciascuno per il suo fratello, e ognuno per tutti.
Chiediamo al Sacerdote eterno che il ricordo del Curato d'Ars ci aiuti a ravvivare il nostro zelo al suo servizio.
Supplichiamo lo Spirito Santo di chiamare a servizio della Chiesa molti sacerdoti della tempra e della santità del Curato d'Ars: anche nella nostra epoca ne ha un grande bisogno, e non è meno capace di far sbocciare tali vocazioni.
E noi affidiamo il nostro sacerdozio alla Vergine Maria, Madre dei sacerdoti, alla quale Giovanni Maria Vianney ricorreva incessantemente con tenero affetto e totale fiducia.
Era questo, per lui, un motivo in più per ringraziare: « Gesù Cristo - diceva - dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa Madre » ( Nodet, p. 252 ).
Da parte mia, vi confermo tutto il mio affetto e, col vostro Vescovo, vi invio la mia Benedizione Apostolica.
Giovanni Paolo II