Melchitarum Catholicorum
3 giugno 1835
Il Sinodo dei Cattolici Melchiti, detto Antiocheno, che si tenne presso il monastero di Carcafe, nella diocesi di Beirut, nel 1806, e che è stato dato alle stampe con caratteri arabi senza che sia stata consultata preventivamente questa Apostolica Sede Romana, già da tempo è incorso in varie critiche da parte di persone preoccupate della purezza del dogma cattolico.
Infatti, anche non pochi Vescovi orientali e altri più umili pastori di anime dichiaravano che la dottrina del predetto Sinodo appariva loro, sotto molti riguardi, sospetta e inaccettabile.
E invero Noi, elevati al supremo osservatorio della Chiesa, udendo crescere ogni giorno queste recriminazioni, e insieme constatando che tendeva a diffondersi e a consolidarsi in Oriente, nel corso del tempo, l'uso del Sinodo, e giudicando essere tale questione la più grave del momento, Ci impegnammo affinché il testo del Sinodo, tradotto in lingua italiana con scrupolo e sottoscritto di pugno dal Venerabile Fratello Massimo Mazlum e da lui riconosciuto fedele e concordante con il testo arabo originale, fosse sottoposto ad accurato controllo da parte di esperti teologi e del Consiglio dei Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti alla revisione dei libri della Chiesa orientale.
Prima però di esporre il Nostro responso su tale questione, ritenemmo opportuno avvertire il Venerabile Fratello Massimo Mazlum, eletto in quel tempo Patriarca dei Cattolici Melchiti, con una lettera scritta per Nostro incarico dalla Congregazione di Propaganda Fide, circa il voto negativo che la censura Romana aveva espresso su tale libro; contemporaneamente chiedemmo sull'argomento il parere del suddetto Patriarca eletto, cioè qual era il suo giudizio sulla dottrina del Sinodo già ricordato.
Egli allora scrisse di nuovo di suo pugno alla Congregazione di Propaganda Fide una lettera che ora è in Nostro possesso e con la quale ha confermato con tali eloquenti espressioni la sua devozione e la sua piena obbedienza verso la Chiesa Romana, che non restava motivo alcuno di dubitare della sua sincerità.
A proposito poi del Sinodo di Carcafe, dice che avrebbe considerato valido ogni decreto della Santa Sede Romana e che ad essa avrebbe prestato assoluta obbedienza e salda fiducia.
Dice inoltre che, essendo ancora pendente il giudizio, non avrebbe distribuito copie del libro, né di esso avrebbe applicato i decreti, né avrebbe attribuito a quel testo alcuna autorità, come gli era stato prescritto per ordine Nostro.
Questa chiarissima prova di ossequio e di obbedienza e contemporaneamente la dichiarata riprovazione delle errate opinioni di Germano Adam, un tempo Arcivescovo di Gerapoli ( alle quali il Venerabile Fratello Massimo Mazlum affermò con altra lettera a Noi inviata di non aver mai aderito ) tanto Ci piacquero e tanto allietarono e resero sicuro il Nostro animo, che nello stesso tempo, per dovere del Nostro magistero, decretammo di condannare il Sinodo e di confermare il Patriarcato al Venerabile Fratello Massimo e di inviargli un pallio ispirato alla salma del beatissimo Pietro.
Benché il libro del Sinodo porti nel frontespizio una certa approvazione di Luigi Gandulfo, già Delegato apostolico del Libano, che la Santa Sede non ha mai riconosciuta e che è dovuta piuttosto o alla ignoranza della lingua araba o alla frode o alla falsità di qualcuno ( poiché l'approvazione dei Sinodi non è annoverata tra le facoltà ordinarie dei delegati ), tuttavia è certo che vi sono molti errori sia nel Sinodo, sia nelle istruzioni annesse.
Infatti, prima di tutto, questo Sinodo tacitamente e fraudolentemente si è ispirato in molte cose al già condannato Sinodo di Pistoia e contiene, in parte letteralmente, in parte insinuate ambiguamente, alcune proposizioni dello stesso Sinodo di Pistoia riprovate dalla Santa Sede Romana.
Poi talvolta riporta definizioni o decisioni, come circa i Sacramenti e le virtù, che sanno di Baianismo, di Giansenismo e di altre simili opinioni.
Inoltre diminuisce la forza e la natura delle indulgenze; insegna da chi solamente può essere rimessa la pena canonica, e perciò rinnova la dottrina già condannata di Lutero e del Sinodo di Pistoia, ed impugna la potestà ecclesiastica e in particolar modo la coercitiva; impedisce indirettamente gli appelli alla Santa Sede Romana; falsamente asserisce che nei tempi antichi l'autorità del Sinodo provinciale era perentoria, e sembra traviare l'origine della Sacra giurisdizione; in particolare calunnia con inopportuno impegno la disciplina della Chiesa e il celibato ecclesiastico, che talvolta porta all'amministrazione delle parrocchie i meno idonei; rende difficile l'esercizio dei Vescovi e del Clero con molti ed ingiusti rigori; con troppa audacia definisce varie controversie ancora sottoposte a giudizio ed estranee alla competenza del Sinodo provinciale, e infine con il pretesto fallace di una riforma, non senza una certa apparenza di pietà e di zelo, sconvolge l'ordine della Chiesa.
Pertanto Noi, con l'autorità apostolica, a tenore della presente lettera riproviamo e condanniamo il predetto Sinodo Antiocheno contenente i suddetti e molti altri errori contro la santa dottrina e l'approvata disciplina della Chiesa, e dichiariamo nulli e irriti i suoi atti e i suoi decreti.
Infine proibiamo l'uso di tutto il libro in qualsiasi lingua, sia nello stesso codice manoscritto, sia stampato, e proibiamo che sia stampato in avvenire.
Gravemente ammoniamo lo stesso Patriarca dei Melchiti Cattolici, il Venerabile Fratello Massimo Mazlum, e tutti gli altri Patriarchi e Vescovi dei vari riti e delle varie genti affinché escludano dall'uso delle loro chiese il libro del detto Sinodo e riprovino la dottrina nel senso da Noi riprovata e condannata.
Essi abbraccino piuttosto i Sinodi ortodossi, specialmente gli antichi, che numerosi nella Chiesa di Dio furono celebrati da santi e dotti Padri, e approvati dai Nostri Predecessori Romani Pontefici, e prendano da quelli la norma della loro condotta e della loro dottrina.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l'anello del Pescatore, il 3 giugno 1835, anno quinto del Nostro Pontificato.
Gregorio XVI