Catholicae Religionis
22 febbraio 1842
La difesa della Religione Cattolica, affidata alla Nostra fragilità dal supremo Principe dei pastori e dall'amorevolissimo Redentore del genere umano Gesù Cristo, e quella carità con la quale accogliamo tutti i popoli, le genti, le nazioni, Ci premono e Ci sollecitano a tal punto che non possiamo mai trascurare cosa alcuna che da Noi sia riconosciuta idonea a custodire intatto il deposito della fede e ad allontanare il flagello delle anime.
Si sa per certo quale sia lo stato della Religione in Spagna e con quanta angoscia dell'animo Nostro siamo da molti anni costretti a piangere sulle funeste vicende della Chiesa in quel Regno.
Eppure quel popolo, che non si è allontanato dai santissimi precetti dei suoi padri, è tenacemente dedito alla fede ortodossa; il clero in massima parte combatte con coraggio le battaglie del Signore e quasi tutti i sacri Vescovi, sebbene crudelmente perseguitati o addirittura espulsi, e colpiti da gravissime tribolazioni, si dedicano con ogni energia alla salvezza del loro gregge.
Tuttavia non pochi uomini corrotti si ritrovano ivi congiunti in sordida alleanza e come flutti di mare in tempesta, spargendo la schiuma del loro disordine mentale, muovono la più truce guerra contro Cristo e i suoi Santi; dopo aver recato gravissimi danni alla Religione Cattolica, coltivano il delittuoso proposito di distruggerla, se fosse possibile.
Sicuramente Noi, alzando la voce apostolica per dovere del Nostro ministero, non desistemmo dal deplorare pubblicamente le gravissime ferite inflitte alla Chiesa dal Governo di Madrid, e dichiarammo interamente nulli e vani tutti gli atti del potere civile emanati contro i diritti e le leggi della Chiesa stessa.
Inoltre, con ogni espressione di dolore Ci lamentammo aspramente per le feroci ingiurie e le sciagure inflitte ai Venerabili Fratelli Vescovi di quel regno, alle sacre persone dell'uno e dell'altro clero; per gli atti esecrandi compiuti in luogo santo; per i beni ecclesiastici in modo sacrilego dilapidati, liquidati e aggiudicati al pubblico erario; richiamammo pure alla memoria le pene e le censure ( applicabili ipso facto ) che le Costituzioni Apostoliche e i Concili Ecumenici comminano a coloro che non temono di commettere tali scelleratezze.
E reiteratamente avemmo cura di adempiere al dovere del Nostro ministero apostolico con due Allocuzioni ai Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa pronunciate nei Concistori del primo febbraio 1836 e del primo marzo 1841: Allocuzioni che ordinammo di dare alle stampe affinché restasse una pubblica e perenne testimonianza della Nostra sollecitudine apostolica e della Nostra riprovazione.
Invero Ci sorreggeva la speranza che questa Nostra voce, erompente dal cuore esulcerato del Padre comune di tutti i fedeli, trovasse ascolto, e che avesse fine, in virtù delle Nostre ripetute ammonizioni e preghiere, codesta crudele persecuzione contro la Religione Cattolica.
Per questo motivo, prostrati notte e giorno ai piedi di Gesù Crocifisso, tra copiose lacrime e lamenti, non tralasciammo mai di pregare, con umiltà di cuore, affinché nella sua immensa misericordia volesse porgere la destra ausiliatrice alla travagliata Nazione Spagnola e mostrare la luce della sua verità ai traviati per farli ritornare sulla via della giustizia.
Ma per divino e insondabile decreto, nessun evento corrispose finora alla Nostra speranza: anzi vediamo ogni giorno estendersi a tal punto i mali in quelle vastissime regioni, che la Religione Cattolica viene quasi minacciata dell'ultimo sterminio.
Infatti, passando sotto silenzio gli altri numerosi decreti, abbastanza noti, ivi deliberati di recente e applicati contro le santissime leggi della Chiesa e i diritti di questa Sede Apostolica, Ci rammarichiamo che si sia giunti a tale empietà che con diabolica malizia si è proposto alle supreme assemblee del regno una esecrabile legge intesa soprattutto ad abolire radicalmente la legittima autorità ecclesiastica e ad adottare il detestabile principio che il potere laico, con suo pieno diritto, debba avere il predominio sulla stessa Chiesa e sui suoi beni.
In quella legge si prescrive inoltre che il popolo spagnolo non deve tenere in alcun conto questa Sede Apostolica; che si deve interrompere ogni rapporto con essa per quanto concerne i privilegi ecclesiastici, gli indulti, le concessioni, e si devono punire severamente coloro che si oppongono a siffatta ingiunzione.
E, ancora, si stabilisce che le lettere apostoliche e gli altri rescritti emanati dalla stessa Santa Sede non si osservino e siano privi di qualsiasi efficacia se non sono richiesti dalla Spagna; anzi, coloro che li riceveranno, dovranno consegnarli senza indugio all'autorità civile, in modo che questa li faccia pervenire al Governo; una condanna sarà inflitta a coloro che trasgrediscono tale prescrizione.
Si decide inoltre che gli impedimenti matrimoniali siano sottoposti ai Vescovi del regno, finché il codice di diritto civile non abbia stabilito la differenza tra il contratto del matrimonio e il sacramento; che nessuna controversia su questioni di religione può essere affidata dalla Spagna a Roma; che in nessun momento verrà accolto in Spagna un Nunzio o un Legato di questa Santa Sede con facoltà di concedere grazie o dispense, benché gratuite.
Che altro ancora? Si esclude anche il santissimo diritto del Romano Pontefice di confermare o di respingere i Vescovi eletti in Spagna; addirittura si infligge la pena dell'esilio sia ai sacerdoti assegnati a qualche Chiesa vescovile, che abbiano richiesto da questa Santa Sede o la conferma o una lettera apostolica; sia ai Metropolitani che ad essa abbiano richiesto il pallio.
Infine è motivo di stupore il fatto che in quella legge il Romano Pontefice sia confermato come il centro della Chiesa, e tuttavia non si lascia spazio alla comunicazione con Lui se non per intercessione e per presa visione del Governo.
Conseguentemente, in questo così grave turbamento della Religione Cattolica nella Spagna, bramando ardentemente, per quanto sta in Noi, reprimere i mali ivi crescenti e recare il Nostro soccorso a quei carissimi fedeli che già da tempo tendono a Noi le mani supplichevoli, sull'esempio dei Nostri Predecessori, abbiamo deciso di ricorrere alle preghiere della Chiesa universale e di sollecitare col massimo zelo la pietà di tutti i fedeli verso quella afflitta Nazione.
E poiché nessuno può esimersi dal partecipare a questa afflizione, e poiché in tanto pericolo per la Religione e per la Fede è comune a tutti il motivo di dolersi, del pari deve essere concorde la volontà di porgere aiuto.
Pertanto, mentre con questa lettera rinnoviamo e confermiamo i lamenti e le richieste espresse nelle Allocuzioni già ricordate, respingiamo e abroghiamo tutti gli atti finora emanati dal Governo di Madrid contro i diritti e la dignità della Chiesa e di questa Santa Sede, e soprattutto la legge recentemente proposta; li dichiariamo di nessun valore, e con insistenza preghiamo tutti i Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi ( che, per quanto è vasto il mondo cattolico, hanno grazia e comunione con questa Sede Apostolica ) in nome di quella carità che ci accomuna nel Signore e di quella fede per la quale siamo uniti in un solo corpo, affinché, mescolando le loro lacrime con le Nostre, si impegnino con tutte le loro forze a placare l'ira divina e ad implorare la misericordia di Dio Onnipotente per l'infelice Nazione Spagnola, e con tutto il loro zelo inducano ad assidue preci il clero e il popolo affidati alle loro cure.
Inoltre vogliamo e ordiniamo che ognuno dei Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi che fanno parte dello Stato Pontificio, nelle loro diocesi, nel modo che a loro giudizio può maggiormente piacere a Dio, facciano elevare pubbliche preghiere al Padre delle misericordie, in modo che per il sangue di Suo Figlio, che è stato effuso per tutti, si accorcino nella Spagna i giorni della prova.
E perché Iddio pieghi più facilmente le orecchie alle Nostre preci, tutti si rivolgano supplichevoli alla Vergine Madre di Dio, potentissima ausiliatrice della Chiesa, Madre amorevole di Noi tutti e fedelissima patrona della Spagna; chiedano inoltre l'intercessione del Principe degli Apostoli che Cristo elesse come pietra della sua Chiesa e contro la quale non prevarranno le porte dell'inferno; chiedano ancora l'intercessione di tutti i Celesti, e soprattutto di quelli che onorarono la Spagna con la virtù, la santità, i miracoli.
E affinché ogni fedele di qualsivoglia ordine, grado e condizione, con più fervida carità e con più pingue frutto insista nelle orazioni e nelle suppliche, abbiamo deciso di spargere con generosa mano i tesori dei doni celesti.
Quindi concediamo l'indulgenza plenaria in forma di Giubileo, che potrà essere lucrata da tutti i fedeli cristiani che, purificati con la sacramentale Confessione e rinnovati con la Santissima Eucaristia, interverranno almeno tre volte alle solenni preghiere che saranno stabilite ad arbitrio del competente Ordinario, e nella Chiesa indicata dagli stessi Ordinari pregheranno con fervore tre volte nello spazio di quindici giorni per la suddetta causa.
Confidiamo che gli angeli della pace, reggendo con la loro mano le ampolle d'oro e il turibolo d'oro, offrano al Signore sull'altare d'oro le fervide ed umili preghiere Nostre e di tutta la Chiesa in favore della Spagna, affinché Colui che è ricco di misericordie le accolga con volto benigno, voglia annuire ai voti unanimi Nostri e dei fedeli, e contemporaneamente fare in modo che nella Sua destra e nel braccio della Sua forza, rimosse finalmente le avversità e gli errori, la Santa Madre Chiesa possa respirare dopo tanti affanni e possa godere di quella pace e di quella libertà che Cristo le ha donato.
Affinché questa Nostra lettera sia più facilmente nota a tutti, né alcuno possa mai dichiarare di ignorarla, vogliamo e ordiniamo che essa, secondo il costume, sia pubblicata, e un suo esemplare sia affisso, per mano di qualche Nostro Cursore, alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria Apostolica, nonché della Curia generale in Monte Citorio e nella piazza di Campo dei Fiori, in Roma.
Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l'anello del Pescatore, il 22 febbraio 1842, anno duodecimo del Nostro Pontificato.
Gregorio XVI