Giovedì, 25 luglio 2013
Residenza di Sumaré, Rio de Janeiro
Non dobbiamo mai dimenticare che siamo come "vasi di creta" nei quali custodire il tesoro che Dio ci ha donato con la rivelazione del mistero dell'Incarnazione.
Quando lo dimentichiamo, ci illudiamo di essere qualcosa di diverso dalla creta; allora tutto si rivolta e pensiamo di essere più grandi di quello che siamo.
Un pericolo - ha detto Papa Francesco nell'omelia della messa celebrata giovedì mattina, 25 luglio, nella residenza del seguito papale, con un folto gruppo di presuli, sacerdoti e seminaristi della diocesi - soprattutto i consacrati, i sacerdoti, i vescovi: tutti quelli, ha specificato, che ricevono questo dono da custodire senza dimenticare la grande differenza tra l'immensità del regalo ricevuto e la bassezza di chi lo riceve.
Se si perde il senso di questo rapporto, si perde l'equilibrio e si finisce per rinnegare la missione di servizio al popolo di Dio per la quale siamo divenuti custodi del mistero.
È a questo punto che si insinua il tarlo del carrierismo, « che ha fatto e fa tanto male alla Chiesa ».
Per recuperare l'equilibrio, ha concluso, è necessario soprattutto riscoprire il sacramento della confessione.
A Rio Papa Francesco celebra, prima di iniziare la sua attività quotidiana, la messa alla quale partecipano di volta in volta diversi fedeli.
La mattina di venerdì 26 luglio ha celebrato con i confratelli gesuiti nella sua residenza di Sumaré.
Il giorno prima, giovedì 25, aveva celebrato la messa nella cappella della residenza del seguito, alla quale avevano partecipato anche un folto gruppo di presuli, sacerdoti e seminaristi brasiliani.
La fragilità umana, o meglio la consapevolezza della fragilità umana davanti all'immensità del mistero di Dio, era stato l'argomento di riflessione proposto all'omelia, tenuta in spagnolo.
Siamo come vasi di creta che custodiscono un tesoro immenso: guai dimenticarlo, perché si finirebbe per illudersi di essere qualcosa che non si è e dunque di cedere a quelle lusinghe che fanno tanto male alla Chiesa.
Si tratta di un rischio che tocca tutti, anche i vescovi.
E il Pontefice lo ha precisato prendendo spunto dalla prima lettera di san Paolo, il quale « per spiegare il mistero dell'Incarnazione non aveva parole.
Doveva andare avanti smontando i sistemi ideologici che non spiegavano bene questo grande mistero.
Doveva lottare contro le correnti più gnostiche che venivano dagli esseni o contro il pelagianesimo nominalista della corrente fariseo-ortodossa ».
Non sapeva, ma « si muoveva sempre fra due cose: la grandezza di Gesù Cristo, che chiamava "mio Signore", e la nostra bassezza, di quelli che lui aveva scelto per annunziare il Vangelo ».
Dunque al centro della questione sta la tensione che nasce tra la consistenza del tesoro donato e la fragilità del contenitore, « un semplice vaso di creta ».
Un argomento che riguarda « tutti noi, consacrati, religiosi, sacerdoti, vescovi », ha detto il Pontefice, perché « abbiamo ricevuto un regalo » e tutti « siamo vasi di creta ».
Il problema è dunque non perdere l'equilibrio in questa tensione.
Può capitare infatti che uomini e donne, anche di Chiesa, « che ricevono il dono, sanno che sono di creta, ma nell'arco della vita si entusiasmano in modo tale che si dimenticano di essere di creta o si dimenticano che il dono è un dono grande.
Allora questa tensione perde l'equilibrio che ci fa tanto bene ».
È così che subentra la tentazione di « truccare il vaso di creta: dipingerlo, abbellirlo.
Quindi noi cominciamo a ingannare noi stessi e a credere che non sia più di creta ».
Anche gli apostoli a un certo punto caddero nell'inganno mondano, tanto da cominciare a discutere su chi fosse il più importante.
Ma « Gesù li frena: "Tra voi non è così: il servo è quello che serve" ».
La Chiesa « ha sofferto molto - ha detto Papa Francesco in proposito - e soffre molto ogni volta che uno dei chiamati a ricevere il tesoro in vaso di creta accumula tesoro, si dedica a cambiare la natura della creta e crede di essere migliore, di non essere più di creta ».
Siamo di creta « fino alla fine, da questo non ci salva nessuno.
Ci salva Gesù a modo suo, ma non alla maniera umana del prestigio, delle apparenze, di avere dei posti rilevanti.
Qui nasce il carrierismo nella Chiesa che fa tanto male ».
Ma come rendersi conto del pericolo che si avvicina?
Per capirlo, ha detto il Santo Padre, basta pensare a come ci confessiamo e verificare se realmente ci mettiamo di fronte alla verità « detta da noi stessi ».
E come riconoscere la grandezza del dono?
Domandandosi, ha spiegato il Pontefice, se siamo capaci di adorare Gesù e se lo adoriamo.
Dunque, ha concluso, « come ci confessiamo ci indicherà se abbiamo coscienza di essere di creta; e come preghiamo, se adoriamo nella preghiera, ci dirà che abbiamo coscienza che questo è un dono, è un grande regalo ».