Giovedì, 20 marzo 2014
C'è una parola « più che magica », capace di aprire « la porta della speranza che neppure vediamo » e restituire il proprio nome a chi l'ha perduto per aver confidato solo in se stesso e nelle forze umane.
Questa parola è « Padre » e va pronunciata con la certezza di sentire la voce di Dio il quale ci risponde chiamandoci « figlio ».
È una meditazione quaresimale che richiama all'essenzialità della fede quella proposta da Papa Francesco nella messa celebrata giovedì 20 marzo nella cappella della Casa Santa Marta.
L'invito a « confidare sempre nel Signore » viene, ha detto il Pontefice nell'omelia, dai testi della liturgia.
Infatti « la prima lettura di oggi ( Ger 17,5-10 ) incomincia con una maledizione: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" ».
Anche « in altri passi della Bibbia c'è la stessa maledizione, forse con altre parole », come per esempio: « Maledetto l'uomo che confida in se stesso ».
Sempre viene definita « maledetta la persona » che confida solo nelle proprie forze, « perché porta dentro di sé una maledizione ».
Invece, ha proseguito il Pontefice rimarcando « la contrapposizione », è « benedetto l'uomo che confida nel Signore », perché - come si legge nella Scrittura - « è come un albero piantato lungo un corso d'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell'anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti ».
Proprio « questa immagine - ha spiegato - ci fa pensare a quelle parole di Gesù sulla casa: è felice l'uomo che edifica la sua casa sulla roccia, sul sicuro.
Invece è un infelice quello che edifica sulla sabbia: non ha consistenza ».
Dunque « la parola di Dio oggi ci insegna che soltanto nel Signore è la nostra sicura fiducia: altre fiducie non servono, non ci salvano, non ci danno vita, non ci danno gioia ».
Anzi, « ci danno morte, siccità ».
È un insegnamento chiaro che ci trova tutti d'accordo, ha puntualizzato il Pontefice.
« Ma il nostro problema è che il nostro cuore è infido », come dice la Scrittura.
E così, anche se sappiamo di sbagliare, comunque « ci piace confidare in noi stessi o confidare in quell'amico o confidare in quella situazione buona che ho o in quella ideologia », assecondando « quella tendenza » a decidere noi stessi dove porre « la nostra fiducia ».
Con la conseguenza che « il Signore resta un po' da parte ».
Ma, si è chiesto il Papa, « perché è maledetto l'uomo che confida nell'uomo, in se stesso?
Perché - è stata la risposta - quella fiducia lo fa guardare soltanto a se stesso; lo chiude in se stesso, senza orizzonti, senza porte aperte, senza finestre ».
Finisce così per essere « un uomo chiuso in se stesso » e « non avrà salvezza », perché « non può salvare se stesso ».
Il Pontefice ha poi fatto riferimento al passo evangelico di Luca ( Lc 16,19-31 ), che racconta la storia di « un uomo ricco che aveva tutto, indossava vestiti di porpora, mangiava tutti i giorni grandi banchetti, e si dava alla buona vita ».
Ed « era tanto contento che non si accorgeva che alla porta della sua casa, coperto di piaghe, c'era un tale Lazzaro: un poveretto, un barbone, e come un buon barbone con i cani ».
Lazzaro « era lì, affamato, e mangiava soltanto quello che cadeva dalla tavola del ricco: le briciole ».
E, ha aggiunto, « forse quando Gesù raccontava questo, si è ricordato della cananea, di quella donna che aveva chiesto la salute per la figlia: chiedeva soltanto le briciole » che si danno ai cagnolini.
Il brano del Vangelo, ha detto il Santo Padre, propone una riflessione: « Noi sappiamo il nome del barbone: si chiamava Lazzaro.
Ma come si chiamava quest'uomo, il ricco? Non ha nome! ».
Proprio « questa è la maledizione più forte » per la persona che « confida in se stessa o nelle forze o nelle possibilità degli uomini e non in Dio: perdere il nome! ».
Tanto che alla domanda « come ti chiami? » risponde non con il proprio nome ma con « il conto numero tale nella banca tale », oppure indicando « tante proprietà, tante ville » o «le cose, gli idoli ».
E « guardando queste due persone » proposte nel Vangelo - « il povero che ha il nome e che confida nel Signore e il ricco che ha perso il nome e che confida in se stesso » - noi « diciamo: è vero, dobbiamo confidare nel Signore! ».
Invece « tutti noi abbiamo questa debolezza, questa fragilità di mettere le nostre speranze in noi stessi o negli amici o nelle possibilità umane soltanto.
E ci dimentichiamo del Signore ».
È un atteggiamento che ci porta lontano dal Signore, « sulla strada della infelicità », esattamente come il ricco del Vangelo che « alla fine è un infelice perché si è condannato da se stesso ».
E questo è, dunque, il significato autentico dell'espressione biblica: « Benedetto quello che confida nel Signore; maledetto quello che confida in se stesso o nelle possibilità umane ».
Si tratta di una meditazione particolarmente adatta alla quaresima, ha puntualizzato il Papa.
Così « oggi ci farà bene domandarci: dov'è la mia fiducia?
È nel Signore o sono un pagano che confido nelle cose, negli idoli che io ho fatto?
Ho ancora un nome o ho incominciato a perdere il nome e mi chiamo "io"? », con tutte le varie declinazioni: « me, con me, per me, soltanto io: sempre nell'egoismo, io! ».
Questo, ha ribadito, è un modo di vivere che certo « non ci dà salvezza ».
Riferendosi ancora al Vangelo, Papa Francesco ha indicato che, nonostante tutto, « c'è una porta di speranza per tutti quelli che si sono piantati nella fiducia nell'uomo o in se stessi, che hanno perso il nome ».
Perché « alla fine, alla fine, alla fine sempre c'è una possibilità ».
E lo testimonia proprio il ricco, che « quando si è accorto che aveva perso il nome, aveva perso tutto, alza gli occhi e dice una sola parola: "Padre!".
La risposta di Dio è una sola parola: "Figlio!" ».
E così è anche per tutti coloro che nella vita puntano ad « avere fiducia nell'uomo, in se stessi, finendo per perdere il nome, per perdere questa dignità: c'è ancora la possibilità di dire questa parola che è più di magica, è di più, è forte: "Padre!" ».
E sappiamo che « lui sempre ci aspetta per aprire una porta che noi non vediamo. E ci dirà: "Figlio!" ».
A conclusione il Pontefice ha chiesto « al Signore la grazia che a tutti noi ci dia la saggezza di avere fiducia soltanto in lui e non nelle cose, nelle forze umane: soltanto in lui ».
E a chi perde questa fiducia, Dio conceda « almeno la luce » di riconoscere e di pronunciare « questa parola che salva, che apre una porta e gli fa sentire la voce del Padre che lo chiama: figlio ».