Venerdì, 21 marzo 2014
Umiltà e preghiera, nella Chiesa, sono l'antidoto contro le alterazioni della parola di Dio e la tentazione di impadronirsene, interpretandola a proprio piacimento e ingabbiando lo Spirito Santo.
È la sintesi della meditazione proposta dal Pontefice nella messa celebrata venerdì mattina, 21 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta.
Proprio « durante questi giorni di quaresima il Signore si fa vicino a noi e la Chiesa ci conduce verso il triduo pasquale, verso la morte e risurrezione di Gesù » ha detto il Papa riferendosi alla due letture della liturgia.
Nella prima, tratta dalla Genesi ( Gen 37,3-4.12-13.17-28 ), si racconta la storia di « Giuseppe che è una profezia e un'immagine di Gesù: venduto per venti monete dai suoi fratelli ».
E poi il Vangelo di Matteo ( Mt 21,33-43.45 ) presenta « questa parabola che lo stesso Gesù dice alla gente e ai farisei, ai sacerdoti, agli anziani del popolo per far capire dove sono caduti ».
Siamo davanti, ha spiegato, al « dramma non del popolo - perché il popolo capiva che Gesù era un grande profeta - ma di alcuni capi del popolo, di alcuni sacerdoti di quel tempo, dei dottori della legge, degli anziani che non erano con il cuore aperto alla parola di Dio ».
Infatti essi « sentivano Gesù ma invece di vedere in lui la promessa di Dio, o invece di riconoscerlo come un grande profeta, avevano paura ».
In fondo, ha notato il Pontefice, è « lo stesso sentimento di Erode ».
Anche loro dicevano: « Quest'uomo è un rivoluzionario, fermiamolo in tempo, dobbiamo fermarlo! ».
Per questo « cercavano di catturarlo, cercavano di metterlo alla prova, perché cadesse e potesserlo catturare: è la persecuzione contro Gesù ».
Ma perché questa persecuzione?
« Perché questa gente - è stata la risposta del Papa - non era aperta alla parola di Dio, erano chiusi nel loro egoismo ».
È proprio in questo contesto che « Gesù racconta questa parabola: Dio ha dato in eredità un terreno con una vigna che ha fatto con le sue mani ».
Si legge infatti nel Vangelo che il padrone « piantò una vigna, la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre ».
Sono tutte cose che « ha fatto lui, con tanto amore ».
E poi ha dato « la vigna in affitto a dei contadini ».
Esattamente quello che « Dio ha fatto con noi: ci ha dato la vita in affitto » e con essa « la promessa » che sarebbe venuto a salvarci.
« Invece questa gente - ha fatto notare Papa Francesco - ha visto un bel negozio qui, un bell'affare: la vigna è bella, prendiamola, è nostra! ».
E così « quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, sono andati i servi di questo signore a ritirare il raccolto.
Ma i contadini, che già si erano impadroniti della vigna, hanno detto: no, cacciamoli via, questo è nostro! ».
La parabola di Gesù, ha spiegato, racconta precisamente « il dramma di questa gente, ma anche il dramma nostro ».
Quelle persone infatti « si sono impadronite della parola di Dio.
E la parola di Dio diventa parola loro.
Una parola secondo il loro interesse, le loro ideologie, le loro teologie, al loro servizio ».
A tal punto che « ognuno la interpreta secondo la propria volontà, secondo il proprio interesse ».
E « uccidono per conservare questo ».
È quanto è successo anche a Gesù, perché « i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro quando avevano sentito questa parabola » e così « cercarono di catturarlo e farlo morire ».
Ma in questo modo « la parola di Dio diventa morta, diventa imprigionata ».
E « lo Spirito Santo è ingabbiato nei desideri di ognuno di loro.
Lo stesso succede a noi, quando non siamo aperti alla novità della parola di Dio, quando non siamo obbedienti alla parola di Dio ».
Ma disobbedire alla parola di Dio è come voler affermare che « questa parola non è più di Dio: adesso è nostra! ».
Come « la parola di Dio è morta nel cuore di questa gente, può anche morire nel nostro cuore ».
Eppure, ha affermato il Santo Padre, la parola « non finisce perché è viva nel cuore dei semplici, degli umili, del popolo di Dio ».
Infatti quanti cercavano di catturare Gesù ebbero paura del popolo che lo considerava un profeta.
Era « la folla semplice, che andava dietro Gesù perché quello che Gesù diceva faceva bene e scaldava il cuore ».
Questa gente « non usava la parola di Dio per il proprio interesse » ma semplicemente « sentiva e cercava di essere un po' più buona ».
A questo punto il Papa ha suggerito di pensare a « cosa noi possiamo fare per non uccidere la parola di Dio, per non impadronirci di questa parola, per essere docili, per non ingabbiare lo Spirito Santo ».
E ha indicato due semplici strade: quella dell'umiltà e quella della preghiera.
Non era certo umile, ha notato, « questa gente che non accettava la parola di Dio ma diceva: sì, la parola di Dio è questa, ma la interpreto secondo il mio interesse! ».
Con questo modo di fare « erano superbi, erano sufficienti, erano i "dottori" fra virgolette »: persone che « credevano di avere tutto il potere per cambiare il significato della parola di Dio ».
Invece « soltanto gli umili hanno il cuore disposto per ricevere la parola di Dio ».
Ma bisogna precisare, ha rilevato, che « c'erano anche buoni e umili sacerdoti, umili farisei che avevano ricevuto bene la parola di Dio: per esempio i Vangeli ci parlano di Nicodemo ».
Dunque « il primo atteggiamento per ascoltare la parola di Dio » è l'umiltà, perché « senza umiltà non si può ricevere la parola di Dio ».
E il secondo è la preghiera.
Le persone di cui parla la parabola infatti « non pregavano, non avevano bisogno di pregare: si sentivano sicuri, si sentivano forti, si sentivano dei ».
Dunque « con l'umiltà e la preghiera andiamo avanti per ascoltare la parola di Dio e obbedirle nella Chiesa ».
E « così non succederà a noi ciò che è accaduto a questa gente: non uccideremo per difendere quella parola che noi crediamo essere la parola di Dio » ma che invece è divenuta « una parola totalmente alterata da noi ».
In conclusione il Pontefice ha chiesto « al Signore la grazia dell'umiltà, di guardare Gesù come il Salvatore che ci parla: parla a me!
Ognuno di noi deve dire: parla a me! ».
E « quando leggiamo il Vangelo: parla a me! ».
Da qui l'invito ad « aprire il cuore allo Spirito Santo che dà forza a questa parola » e a « pregare, pregare tanto perché noi abbiamo la docilità di ricevere questa parola e obbedirle ».