Giovedì, 12 giugno 2014
Per praticare la giustizia fino in fondo, vivendo il comandamento dell'amore, bisogna essere realisti, coerenti e riconoscersi figli dello stesso Padre, quindi fratelli.
Sono i tre criteri pratici suggeriti da Papa Francesco nella messa celebrata giovedì mattina, 12 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta.
Nel passo evangelico di Matteo ( Mt 5,20-26 ) proposto dalla liturgia, Gesù - ha spiegato il Pontefice - ci parla di « come dev'essere l'amore fra noi ».
Egli comincia il suo discorso « dicendo una cosa per capire bene come noi dobbiamo andare sulla strada dell'amore fraterno ».
Ecco le sue parole: « Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli ».
Dunque, afferma Gesù, « dobbiamo essere giusti, dobbiamo amare il prossimo, che è il problema di oggi; ma non come questi dottori della legge che avevano una filosofia speciale », cioè dire bene « tutto quello che si deve fare » - ritenendosi « intelligenti » e « bravi » - ma « poi non farlo ».
Ed è per questo che, riguardo a loro, « Gesù dice: fate quello che dicono ma non quello che fanno ».
E lo dice « perché non erano coerenti ».
Erano infatti persone che « sapevano che il primo comandamento era amare Dio; sapevano che il secondo è amare il prossimo ».
Però « avevano tante sfumature di idee, perché erano ideologi ».
E operavano tutta una serie di distinguo su ciò che significa « amare il prossimo ».
Finendo, quindi, per assumere « un atteggiamento che non era amore », ma piuttosto « indifferenza verso il prossimo ».
Ecco allora che Gesù raccomanda di superare questo modo di fare, che « non è giustizia ma è equilibrio sociale ».
E per farlo, ha affermato il Papa, Gesù ci suggerisce « tre criteri ».
Il primo è proprio « un criterio di sano realismo ».
Dice infatti Gesù che « se tu hai qualcosa contro l'altro, e voi non potete sistemare » la questione e « cercare una soluzione », è opportuno trovare il modo « almeno di mettervi d'accordo ».
Soprattutto, raccomanda il Signore, « mettiti d'accordo col tuo avversario mentre sei in cammino ».
Forse « non sarà l'ideale, ma l'accordo è una cosa buona: è realismo! ».
E a quanti obiettano che « gli accordi non durano » tanto che, come si suol dire, « si fanno per romperli », la risposta è che « lo sforzo di fare accordi » serve a « salvare tante cose: uno fa un passo, l'altro fa un altro passo » e « così almeno c'è la pace ».
Anche se, ha riconosciuto il Papa, forse è « una pace molto provvisoria » perché nasce da un accordo.
In sintesi, « Gesù è realista » quando afferma che « questa capacità di fare accordi tra noi significa anche superare la giustizia dei farisei e dei dottori della legge ».
È « il realismo della vita ».
Tanto che Gesù raccomanda espressamente di raggiungere « un accordo mentre siamo in cammino, proprio per fermare la lotta e l'odio tra noi.
Invece noi tante volte vogliamo finire le cose, portarle al limite ».
« Un secondo criterio che ci dà Gesù è il criterio della verità » ha spiegato il Pontefice.
C'è, infatti, il comandamento di non uccidere; ma « anche sparlare dell'altro è uccidere, perché la radice è lo stesso odio: non hai il coraggio di ucciderlo o pensi che è troppo, ma lo uccidi in un'altra maniera, con le chiacchiere, con le calunnie, con la diffamazione ».
Nel Vangelo di Matteo, le parole di Gesù a riguardo sono nette: « Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna ».
Perciò, ha spiegato il Papa, « quando sentiamo persone che si dicono tante cose brutte », bisogna sempre ricordare che dando dello « stupido » o del « pazzo » si uccide il fratello, perché l'insulto « ha una radice di odio ».
Esso infatti « nasce dalla stessa radice del crimine: è la stessa, l'odio! ».
Invece, ha proseguito, « cercare insulti è una abitudine molto comune fra noi ».
C'è «gente - ha notato - che per esprimere il suo odio contro un'altra persona ha una capacità impressionante ».
E non pensa quanto faccia male « sgridare e insultare ».
Il terzo criterio che ci dà Gesù « è un criterio di filiazione ».
Noi, ha affermato il Pontefice, « non dobbiamo uccidere il fratello » proprio in quanto egli è nostro fratello: « abbiamo lo stesso padre ».
E, si legge nel Vangelo, « non posso andare dal padre se non sono in pace con il mio fratello ».
Dice infatti Gesù: « Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono ».
Dunque, raccomanda il Signore, « non parlare con il padre se non sei in pace con tuo fratello » o « almeno con un accordo ».
Ecco, ha riepilogato il Papa, « i tre criteri: un criterio di realismo; un criterio di coerenza, cioè non ammazzare ma non insultare pure perché chi insulta ammazza, uccide; e un criterio di filiazione: non si può parlare col padre se non posso parlare col mio fratello ».
Sono i tre criteri per « superare la giustizia degli scribi e dei farisei ».
Un « programma non facile », ha riconosciuto il vescovo di Roma, « ma è la via che Gesù ci indica per andare avanti ».
E in conclusione Papa Francesco ha chiesto al Signore proprio « la grazia di poter andare avanti in pace fra noi », magari anche « con gli accordi ma sempre con coerenza e con spirito di filiazione ».