Giovedì, 1 ottobre 2015
È « la nostalgia di Dio » che ci porta a trovare in lui la nostra vera « identità ».
Forte di questa consapevolezza, maturata anche attraverso la storia del popolo di Israele, il Papa ha invitato a guardare dentro se stessi proprio per non far spegnere mai nel cuore quella « nostalgia ».
Nella messa celebrata giovedì 1° ottobre, memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, nella cappella della Casa Santa Marta, il Papa si è riferito alla prima lettura, tratta dal libro di Neemia ( Ne 8,1-4.5-6.7-12 ), per ricordare che il testo costituisce « il finale di una lunga storia, di decenni, di anni di storia: il popolo di Israele era stato deportato a Babilonia, era lontano da Gerusalemme, e da anni, decine di anni, viveva lì ».
E « tanti, tanti di loro si abituarono a quella vita e quasi dimenticavano la loro patria ».
Ma « c'era qualcosa dentro che sempre li faceva ricordare, e quando veniva quel momento di ricordo, pregavano con le parole del salmo: "Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo" ».
Tuttavia, ha proseguito Francesco, « era un ricordo impossibile, lontano, un passato che non sarebbe tornato mai ».
Fino a quando « Neemia, un israelita molto vicino al re, riuscì ad avere il permesso di tornare a Gerusalemme per rifarla, perché era tutta rovinata, tutta in rovine ».
Così « incomincia quella storia di anni -i ritorno a Gerusalemme ».
« È una storia difficile - ha affermato il Pontefice - perché dovevano portare i legni, poi trovare le pietre per fare i muri ma, anche lì, c'erano alcuni che non volevano e distruggevano i muri nuovi ».
E dunque coloro « che volevano ricostruire la città facevano la veglia durante la notte per custodire i muri: e così è andata ».
Poi, ha proseguito il Papa ripercorrendo la pagina biblica, « hanno distrutto gli altari agli idoli e hanno fatto l'altare di Dio, il tempio, lentamente ».
Infatti « non è stata cosa di un giorno, ma cosa di anni ».
E « alla fine arriva questo giorno che abbiamo sentito oggi: loro hanno trovato la Legge, il libro della Legge ».
Proprio « Neemia chiede allo scriba Esdra di leggerlo davanti al popolo, tutto il popolo, davanti a loro nella piazza ».
E dunque «lo scriba Esdra, aiutato da altri scribi, leggeva la Legge e quel popolo incominciò a sentire che quel ricordo che aveva era vero, quel ricordo che li tratteneva dal cantare i canti di Gerusalemme quando erano deportati: "Ma come canteremo i canti noi in terra straniera?" ».
Quel popolo, ha spiegato Francesco, « ha sentito quello che tanto elegantemente dice il salmo: "Quando il Signore ristabilì la sorte di Gerusalemme, la nostra bocca si riempì di sorriso" ».
È davvero « un popolo felice ».
Il Papa ha indicato un fatto « curioso »: il popolo di Israele « era gioioso ma piangeva, e sentiva la parola di Dio; aveva gioia, ma anche pianto, tutto insieme ».
Come si spiega questo?
« Semplicemente - ha detto - questo popolo non soltanto aveva trovato la sua città, la città dov'era nato, la città di Dio: questo popolo al sentire la Legge, trovò la sua identità, e per questo era gioioso e piangeva ».
Tanto che Neemia e i leviti, insieme, esortavano la gente con queste parole: « Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio, non piangete, non fate lutto ».
Infatti, ha ricordato il Papa, davvero « tutto il popolo piangeva mentre ascoltava le parole della Legge: ma piangeva di gioia, piangeva perché aveva incontrato la sua identità, aveva ritrovato quell'identità che con gli anni di deportazione un po' si era persa ».
Per il popolo di Israele è stato « un lungo cammino ».
Così Neemia raccomanda: « Non vi rattristate perché la gioia del Signore è la vostra forza ».
È « la gioia che dà il Signore quando troviamo la nostra identità ».
Però « la nostra identità si perde nel cammino, si perde in tante deportazioni o auto-deportazioni nostre, quando facciamo un nido qua, un nido là, un nido … e non nella casa del Signore ».
Ecco, allora, l'importanza di « trovare la propria identità ».
La questione posta da Francesco, dunque, è come fare per trovare la propria identità.
« C'è un filo che ti porta lì: c'è la nostalgia, la nostalgia della tua casa ».
Tanto che « quando tu hai perso quello che era tuo, la tua casa, quello che era proprio tuo, ti viene questa nostalgia e questa nostalgia ti porta di nuovo a casa tua ».
È stato proprio così anche per il popolo di Israele, che « con questa nostalgia ha sentito che era felice e piangeva di felicità per questo, perché la nostalgia della propria identità lo aveva portato a trovarla: una grazia di Dio ».
Suggerendo un esame di coscienza, Francesco ha proposto questa riflessione: « Se noi, per esempio, siamo pieni di cibo, non abbiamo fame; se noi siamo comodi, tranquilli dove stiamo, non abbiamo bisogno di andare altrove.
E io mi domando, e sarebbe bene che tutti noi ci domandassimo oggi: sono tranquillo, contento, non ho bisogno di niente - spiritualmente, parlo - nel mio cuore?
La mia nostalgia si è spenta? ».
Il Pontefice ha invitato nuovamente a guardare il popolo « felice che piangeva e era gioioso: un cuore che non ha nostalgia, non conosce la gioia ».
E « la gioia, proprio, è la nostra forza: la gioia di Dio ».
Perché « un cuore che non sa cosa sia la nostalgia non può fare festa, e tutto questo cammino che è incominciato da anni finisce in una festa ».
Il passo del libro di Neemia si conclude con l'immagine di tutto il popolo che « andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni e a esultare con grande gioia, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate ».
Avevano trovato, insomma, « quello che la nostalgia gli faceva sentire » per « andare avanti ».
In conclusione il Papa ha insistito perché tutti ci si chieda « come è la nostra nostalgia di Dio: siamo contenti, stiamo felici così o tutti i giorni abbiamo questo desiderio di andare avanti? ».
E nella preghiera ha domandato « che il Signore ci dia questa grazia: mai, mai, mai, si spenga nel nostro cuore la nostalgia di Dio ».