Martedì, 15 dicembre 2015
Quali sono le caratteristiche del popolo di Dio?
Come deve essere la Chiesa?
È questo il tema della meditazione che Papa Francesco, partendo dalla liturgia del giorno, ha sviluppato durante la messa celebrata martedì 15 dicembre a Santa Marta.
Di fronte al brano del Vangelo di Matteo ( Mt 21,28-32 ) nel quale Gesù, rivolgendosi ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, afferma: « In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio », il Pontefice ha fatto notare « l'energia » con la quale egli rimprovera a coloro che erano considerati maestri il « modo di pensare, di giudicare, di vivere ».
Anche il profeta Sofonia, nella prima lettura ( Sof 3,1-2.9-13 ), « prende la voce di Dio e dice: "Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime.
Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione.
Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio" ».
È, praticamente, « lo stesso rimprovero » rivolto « al popolo eletto, ai chierici di quei tempi ».
E, ha sottolineato il Papa, « dire a un sacerdote, a un capo dei sacerdoti, che una prostituta sarà più santa di lui nel regno dei Cieli » è un'accusa decisamente « forte ».
Del resto, Gesù « aveva questo coraggio di dire la verità ».
Ma allora, ha aggiunto Francesco, di fronte a certi rimproveri, viene da chiedersi: « Come deve essere la Chiesa? ».
Le persone di cui si legge nel Vangelo, infatti, erano « uomini di Chiesa », erano « capi della Chiesa ».
Era venuto Gesù, era venuto Giovanni Battista, ma loro « non avevano ascoltato ».
E nel brano del profeta si ricorda che nonostante Dio abbia scelto il suo popolo, « questo popolo diviene una città ribelle, una città impura, non accetta come deve essere la Chiesa, come deve essere il popolo di Dio ».
Ecco però che, di fronte a tutto questo, il profeta Sofonia, comunica al popolo una promessa del Signore: « Io ti perdonerò ».
Cioè, ha spiegato il Papa, « il primo passo perché il popolo di Dio, la Chiesa, noi tutti, siamo fedeli è sentirci perdonati.
E dopo la promessa del perdono, c'è anche la spiegazione di « come deve essere la Chiesa: "Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero e confiderà nel nome del Signore" ».
Il popolo di Dio fedele, ha ribadito Francesco, deve quindi « avere queste tre tracce: umile, povero, con fiducia nel Signore ».
Il Pontefice, a questo punto, si è soffermato ad analizzare ognuna di queste tre caratteristiche fondamentali.
Innanzitutto la Chiesa deve essere « umile ».
Ovvero una Chiesa « che non si pavoneggi dei poteri, delle grandezze ».
Ma attenzione, ha avvisato il Papa: « umiltà non significa una persona languida, fiacca », con l'espressione dimessa, perché questa « non è umiltà, questo è teatro!
Questo è fare finta di umiltà ».
La vera umiltà, invece, parte « da un primo passo: io sono peccatore ».
Se, ha spiegato Francesco, « tu non sei capace di dire a te stesso che sei peccatore e che gli altri sono migliori di te, non sei umile ».
Dunque, « il primo passo nella Chiesa umile è sentirsi peccatrice » e lo stesso è per « tutti noi ».
Se invece « qualcuno di noi ha l'abitudine di guardare i difetti degli altri e chiacchierare », non è certo umile, ma « si crede giudice degli altri ».
Dice il profeta: « Lascerò in mezzo a te un popolo umile ».
E noi, ha raccomandato il Pontefice, « dobbiamo chiedere questa grazia, che la Chiesa sia umile, che io sia umile, ognuno di noi, umile ».
La meditazione è quindi passata alla seconda traccia: il popolo di Dio « è povero ».
A tale riguardo Francesco ha ricordato come la povertà sia « la prima delle beatitudini ».
Ma cosa vuol dire « povero nello spirito? ».
Significa « soltanto attaccato alle ricchezze di Dio ».
Non lo è certo « una Chiesa che vive attaccata ai soldi, che pensa ai soldi, che pensa a come guadagnare i soldi .. .».
Ad esempio, ha spiegato il Papa, c'è stato chi « ingenuamente » diceva alla gente ch- per passare la porta santa « si doveva fare un'offerta »: questa, ha affermato chiaramente il Pontefice, « non è la Chiesa di Gesù, questa è la Chiesa di questi capi dei sacerdoti, attaccata ai soldi ».
Per far meglio comprendere il suo pensiero, Francesco ha richiamato anche la vicenda del diacono Lorenzo - che era « l'economo della diocesi » - il quale, quando l'imperatore gli chiese « di portare le ricchezze della diocesi » per pagare qualcosa ed evitare di essere ucciso, tornò « con i poveri ».
Sono cioè proprio i poveri « le ricchezze della Chiesa ».
E si può anche essere « il padrone di una banca », ma solo se « il tuo cuore è povero, non è attaccato ai soldi » e ci si mette « al servizio » degli altri.
« La povertà », ha aggiunto il Papa, è caratterizzata proprio da « questo distacco » che ci porta a « servire i bisognosi ».
E il ragionamento si è concluso con una domanda rivolta a ognuno: « Io sono o non sono povero? ».
Infine la terza traccia: il popolo di Dio « confiderà nel nome del Signore ».
Anche qui una domanda molto diretta: « Dov'è la mia fiducia?
Nel potere, negli amici, nei soldi? Nel Signore! ».
È quindi questa « l'eredità che ci promette il Signore: "Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero, confiderà nel nome del Signore".
Umile perché si sente peccatore; povero perché il suo cuore è attaccato alle ricchezze di Dio e se ne ha è per amministrarle; fiducioso nel Signore perché sa che soltanto il Signore può garantire una cosa che gli faccia bene ».
Perciò Gesù ha dovuto dire ai capi sacerdoti, i quali « non capivano queste cose », che « una prostituta entrerà prima di loro nel regno dei Cieli ».
E, ha concluso il Pontefice, « in questa attesa del Signore, del Natale » chiediamo che egli ci dia « un cuore umile », un cuore « povero » e soprattutto « fiducioso nel Signore », perché « il Signore non delude mai ».