Martedì, 10 gennaio 2017
Perché Gesù insegnava con un'autorità che « stupiva » e conquistava, e invece gli scribi e i dottori della legge potevano solo imporre leggi ma « non entravano nel cuore del popolo »?
La meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta martedì 10 gennaio è stata tutta improntata a rilevare le differenze tra l'« autorità reale » dell'uno e l'« autorità formale » degli altri.
Un confronto eloquente, che porta a riflettere sul rischio che quanti sono chiamati a « insegnare la verità » possano cadere nella tentazione del « clericalismo » invece di seguire la strada della « vicinanza alla gente ».
Il Pontefice ha preso spunto da una parola tratta dal vangelo del giorno ( Mc 1,21-28 ) nel quale « si dice che la gente era stupita ».
Perché, si è chiesto, questo « stupore »?
« Per il modo in cui Gesù insegnava » ha risposto, aggiungendo che egli « insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi, cioè i dottori della legge ».
Tutta quella gente, infatti, insegnava, « ma non entrava nel cuore del popolo » e perciò non aveva « autorità ».
L'autorità, ha precisato il Papa, è un tema ricorrente nel Vangelo.
In particolare, quella di Gesù si ritrova « messa in questione, tante volte » proprio dai dottori della legge, dai farisei, dai sacerdoti e dagli scribi: « Ma con quale autorità tu fai questo? Diteci!
Tu non hai autorità per fare questo! Noi abbiamo l'autorità! ».
Al fondo della questione, ha spiegato Francesco, c'è « il problema dell'autorità formale e dell'autorità reale ».
Mentre scribi e farisei « avevano autorità formale », Gesù « aveva un'autorità reale ».
Ma, ha aggiunto, « non perché fosse un seduttore ».
Infatti, se è vero che Gesù portava un « insegnamento nuovo », è anche vero che « Gesù stesso disse che lui insegnava la legge fino all'ultimo puntino ».
La novità rispetto ai dottori della legge era che « Gesù insegnava la verità, ma con autorità ».
A questo punto, è importante capire « dov'è la differenza di questa autorità ».
Il Papa ha cercato di chiarirlo spiegandone le caratteristiche.
« Prima di tutto - ha detto - l'autorità di Gesù era un'autorità umile: Gesù insegnava con umiltà ».
La sua era una dimensione di « servizio », tant'è che egli « consiglia lo stesso ai suoi discepoli: "I capi delle nazioni le opprimono, ma tra voi non sia così.
Il più grande sia come quello che serve: si faccia il più piccolo; e quello sarà il grande" ».
Gesù, quindi « serviva la gente, spiegava le cose perché la gente capisse bene: era al servizio della gente.
Aveva un atteggiamento di servitore, e questo dava autorità ».
Al contrario, i dottori della legge, « avevano una psicologia da principi ».
E pensavano: « Noi siamo i maestri, i principi, e noi insegniamo a voi.
Non servizio: noi comandiamo, voi obbedite ».
Perciò, anche se la gente ascoltava e rispettava, « non sentiva che avessero autorità su di loro ».
Gesù, invece, « mai si è fatto passare come un principe: sempre era il servitore di tutti e questo è quello che gli dava autorità ».
Un secondo « atteggiamento dell'autorità di Gesù », ha aggiunto il Papa, « era la vicinanza ».
Lo si legge nel vangelo: « Gesù era vicino alla gente, era in mezzo alla gente », e la gente stessa, « non lo lasciava andare ».
Il Signore « non aveva allergia alla gente: toccare i lebbrosi, i malati non gli faceva ribrezzo ».
E questo « essere vicino alla gente », ha sottolineato Francesco, « dà autorità ».
Il paragone con dottori, scribi e sacerdoti è evidente: questi « si allontanavano dalla gente, nel loro cuore disprezzavano la gente, la povera gente, ignorante », amavano distinguersi, passeggiando « nelle piazze, ben vestiti, con il mantello di lusso ».
Essi, ha spiegato il Pontefice, « avevano una psicologia clericalistica: insegnavano con un'autorità clericalistica ».
Gesù invece « era vicinissimo alla gente » e ciò gli dava autorità.
A tale riguardo, il Papa ha ricordato la vicinanza alle persone « che aveva il beato Paolovi ».
Un esempio, ha detto, si può trovare « nel numero 48 della Evangelii nuntiandi », dove si riconosce « il cuore del pastore vicino: è lì l'autorità di quel Papa, la vicinanza ».
Riprendendo le fila del discorso, Francesco ha riassunto le caratteristiche dell'autorità di Gesù e ha ricordato che innanzitutto « il capo è quello che serve ».
In proposito ha spiegato che Gesù « capovolge tutto, come un iceberg.
Dell'iceberg si vede il vertice; invece Gesù capovolge e il popolo è su e lui che comanda è sotto e da sotto comanda ».
In secondo luogo c'è la « vicinanza ».
E infine c'è una « terza differenza » rispetto ai dottori della legge: la « coerenza ».
Gesù, ha rimarcato il Papa, « era coerente, viveva quello che predicava.
C'era come una unità, un'armonia fra quello che pensava, sentiva, faceva ».
Cosa non riscontrabile nell'atteggiamento di scribi e farisei: « La loro personalità era divisa al punto che Gesù consiglia ai suoi discepoli: "Fate quello che vi dicono, ma non quello che fanno".
Dicevano una cosa e ne facevano un'altra ».
Gesù spesso li definisce ipocriti.
E « uno che si sente principe, che ha un atteggiamento clericalistico, che è un ipocrita, non ha autorità.
Dirà le verità, ma senza autorità.
Invece Gesù, che è umile, che è al servizio, che è vicino, che non disprezza la gente e che è coerente, ha autorità ».
Ed è questa, ha aggiunto il Pontefice riferendosi anche ai giorni nostri, « l'autorità che sente il popolo di Dio ».
Un'autorità che stupisce e conquista.
Per far capire bene questo concetto, il Papa, a conclusione dell'omelia, ha richiamato anche la parabola del buon samaritano, che è « figura di Gesù », e ha brevemente riassunto il noto passo evangelico.
« C'è quell'uomo lì, picchiato, bastonato, lasciato mezzo morto sulla strada dai briganti ».
E quando passa il sacerdote, « fa un giro perché c'è il sangue e pensa: "La legge dice che se io tocco il sangue rimango impuro … no, no, me ne vado" ».
Quando dopo di lui passa il levita, probabilmente pensa: « Se io mi immischio in questo, domani dovrò andare in tribunale, rendere testimonianza, e domani ho tante cose, devo … no, no, no … ».
E se ne va.
Poi arriva il samaritano, « un peccatore, di un popolo diverso », il quale invece « ha pietà di quest'uomo e fa tutto quello che noi sappiamo ».
Ma, ha aggiunto Francesco, nella parabola « c'è un quarto personaggio: il locandiere », che - ecco l'aggancio con l'intera meditazione del Pontefice - « è rimasto stupito; stupito non tanto dalle ferite di quel povero uomo, perché lui sapeva che su quel cammino, su quella strada i briganti c'erano »; e neanche per l'atteggiamento del sacerdote e del levita, « perché li conosceva e sapeva come era il modo di procedere ».
Il locandiere è « stupito per quel samaritano » di cui non capiva la scelta.
Forse pensava: « Ma, questo è pazzo! Ma è anche straniero, non è ebreo, è un peccatore …
Ma questo è pazzo, io non capisco! ».
« Questo - ha concluso il Papa - è lo stupore »: lo stesso « stupore della gente » davanti a Gesù, « perché la sua autorità era un'autorità umile, di servizio, era un'autorità vicina alla gente ed era un'autorità coerente ».