Lunedì, 12 novembre 2018
« Quando si fanno le indagini per l'elezione dei vescovi » bisogna seguire il criterio suggerito da Paolo nella sua lettera a Tito: « che siano amministratori di Dio, irreprensibili, umili servitori », e poco importa se « sono abili coi piani pastorali o sono simpatici ».
Facendo notare che le indicazioni risalgono proprio a san Paolo - dunque ben prima del concilio Vaticano II - Papa Francesco, nella messa celebrata lunedì 12 novembre a Santa Marta, ha chiesto di pregare perché tutti i vescovi si riconoscano nel profilo tracciato dall'apostolo « per mettere in ordine la Chiesa ».
« Nel libro degli Atti degli apostoli leggiamo come è nata la Chiesa » ha suggerito il Papa.
« La Chiesa - ha spiegato - nacque in confusione, nella confusione, in disordine; con fervore, ma nel disordine, al punto che la gente che sentiva parlare gli apostoli, diceva: "sono ubriachi" ».
« Confusione e così nacque la Chiesa » ha rilanciato Francesco.
« E anche questa confusione - ha proseguito - appare, per esempio, quando Pietro va da Cornelio: subito una confusione e Pietro capisce che è lo Spirito lì e battezza, ma senza confusione, anzi con cose ammirabili ».
E ancora, ha aggiunto il Papa, « per esempio pensiamo al ministro dell'economia della regina Candàce, una cosa strana: anche quest'uomo porta la Chiesa nel suo paese ».
Ma « sempre c'è confusione, la forza dello Spirito, disordine e non dobbiamo spaventarci ».
La Chiesa « nacque così: è un bel segno quello ».
« Mai la Chiesa è nata tutta ordinata, tutto a posto, senza problemi, senza confusione » ha ribadito il Pontefice.
« Sempre - ha continuato - è nata così e questa confusione, questo disordine, va sistemato: è vero, perché le cose devono mettersi in ordine; pensiamo, per esempio, al primo concilio di Gerusalemme: c'era la lotta fra i giudaizzanti e i non giudaizzanti; pensiamo bene: fanno il concilio e sistemano le cose ».
« Questo succede ogni volta che la Chiesa è annunciata per la prima volta » ha fatto notare il Papa, facendo riferimento al brano della lettera a Tito ( Tt 1,1-9 ) proposto dalla liturgia come prima lettura.
« È questo ciò che Paolo lascia nella mani di Tito: "Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane" ».
In pratica, perché Tito « metta ordine nella Chiesa ».
Ma Paolo « gli ricorda » che la « prima cosa è la fede, gli dà il tesoro, gli dà la trasmissione della fede forte: "Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per portare alla fede quelli che Dio ha scelto e per far conoscere la verità che è conforme a un'autentica religiosità, nella speranza della vita eterna - promessa fin dai secoli eterni da Dio, il quale non mente, e manifestata al tempo stabilito nella sua parola mediante la predicazione a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore - a Tito, mio vero figlio nella medesima fede: grazia e pace da Dio Padre" ».
Paolo « trasmette tutto questo "pacco di esperienze di fede" » a Tito, ha affermato il Pontefice.
E « poi dice: in quella Chiesa tu metti "ordine" e che tu "stabilisca alcuni presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato" ».
In pratica gli chiede che « stabilisca i vescovi e metta ordine nei laici e parla - questo lo leggeremo domani - dei giovani, degli anziani, delle vedove, delle donne: ognuno, come si deve mettere ordine ».
In sostanza Paolo « dà dei criteri per mettere ordine ».
« Oggi - ha puntualizzato Francesco - mi fermerò sul profilo del vescovo, di come Tito deve mettere ordine con i vescovi e, con tanti preti che sono qui, sembra questo un collegio presbiterale! »
Dunque, ha proseguito, « parliamo del vescovo, infatti, come amministratore di Dio: la definizione che dà del vescovo è un "amministratore di Dio", non dei beni, del potere, delle cordate, no: di Dio ».
Per questa ragione, ha affermato il Papa, il vescovo « sempre deve correggere se stesso e domandarsi: "Io sono amministratore di Dio o sono un affarista?" ».
Perché « il vescovo è amministratore di Dio, deve essere irreprensibile: questa parola è la stessa che Dio ha chiesto ad Abramo: "Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile".
È parola fondante, di un capo ».
San Paolo, sempre nella lettera a Tito, « dice cosa non deve essere un vescovo e poi cosa deve essere » ha affermato il Pontefice.
Il vescovo, dunque, « non deve essere arrogante, cioè superbo, non collerico - che litiga sempre - non dedito al vino - possiamo dire non dedito ai vizi; il vino era abbastanza comune in quel tempo perché anche alle vedove raccomanda di non essere dedite al vino.
Si vede che era un dei vizi più vicini - non violento - pensiamo a un vescovo collerico, arrogante, dedito al vino, violento ».
È « una calamità per la Chiesa un vescovo del genere, anche se avesse uno solo di questi i difetti » ha fatto presente Francesco.
Egli poi non deve essere « avido di guadagni disonesti: che non faccia l'affarista, che non sia attaccato ai soldi ».
E « questo è ciò che non deve essere il vescovo ».
« Cosa deve essere il vescovo? » si è chiesto allora il Papa.
E la sua risposta è stata: « Ospitale - dare ospitalità - amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone di sé, fedele alla parola degna di fede che gli è stata insegnata ».
E « tutte queste virtù "perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori" », come scrive san Paolo a Tito.
« Così è il vescovo, questo è il profilo del vescovo » ha rilanciato il Pontefice.
« E quando si fanno le indagini per l'elezione dei vescovi - ha aggiunto - sarebbe bello fare queste domande all'inizio per sapere se si può andare avanti in altre indagini ».
Ma « soprattutto si vede che il vescovo deve essere umile, mite, servitore, non principe ».
E « questa è la parola di Dio: "Ah, sì, padre, questo è vero, questo dopo il Vaticano II si deve fare!" - "No, dopo Paolo!" ».
Perché « non è una novità postconciliare questa, questo è dall'inizio, quando la Chiesa si è accorta che doveva mettere in ordine con vescovi del genere ».
« Qui siamo due soltanto - ha proseguito il Papa - ma questo è per tutti, per pregare per i nostri vescovi che siano così: non che siano simpatici, non che abbiano abilità nei metodi pastorali - sì, questo è tutto buono! - ma che siano umili, miti, servitori, con tutte queste qualità e non con i vizi che ha nominato Paolo ».
E « nella Chiesa non si può mettere ordine senza questo atteggiamento dei vescovi: anche con quello dei preti e dei laici, ma pensiamo ai vescovi ».
E « Paolo lascia Tito per mettere ordine a Creta scegliendo vescovi del genere ».
« Un vescovo conta davanti a Dio non se è simpatico, se predica bene, ma se è umile, se è mite, se è servitore, con tutte queste virtù » ha concluso il Pontefice, ha confidando di aver proposto questa meditazione anche perché « oggi: festeggiamo un vescovo nella liturgia »: san Giosafat Kuncewicz.
E ha chiesto di riprendere « questo brano e pregare per i vescovi: che siano così, che siamo così, come Paolo ci chiede di essere ».